“Contro la nuova retorica antifascista. Aridatece Renzo De Felice” di Mario Bozzi Sentieri

 

Dopo l’appello-denuncia  “Libera parola in libero Stato”, a firma di Luca Ricolfi e Paola Mastrocola,  contro il regime dell’artifizio e dell’ipocrisia, voluto dai legislatori del linguaggio “politicamente corretto”, cresce   il disagio del mondo culturale (quello vero) nei confronti della  debordante (e volgare) deriva del “nuovo” antifascismo.

 In un recente articolo, intitolato “L’antifascismo è una cosa seria”, pubblicato sull’inserto ligure de “il Giornale”, Dino Cofrancesco, Professore Emerito dell’Università di Genova, intellettuale di estrazione liberal-socialista,  si è scagliato, senza mezzi termini,   “contro la stomachevole retorica  antifascista che è arrivata persino a proporre 'Bella ciao’ come inno nazionale da eseguire subito dopo ‘Fratelli d'Italia’ (e senza risparmiarsi la disgustosa ipocrisia che , in tal modo, si sarebbe fatto un passo avanti nell'unione spirituale di tutti gli Italiani)”.

Cofrancesco, mentre  rivendica coloro che hanno segnato la sua vita di studioso e di cittadino  (Guido Calogero, Leo Valiani, Giuseppe Faravelli, Augusto Del Noce), pone l’accento  sulle distinzioni tra  gli “insopportabili settari” della più recente vulgata antifascista e la generazione di intellettuali e di “Maestri antifascisti”, “tanto intransigenti nella difesa della libertà quanto rispettosi dei nemici politici (Valiani, decisivo nell’esecuzione di Mussolini, dedicò le sue memorie, Tutte le  strade conducono a Roma,1947, ai caduti dell’una e dell’altra parte)”. A figura emblematica di questo scontro tra gli “ayatollah dell’antifascismo” e un “revisionismo storiografico serio” lo studioso genovese  pone Renzo De Felice, un richiamo che va rimarcato.

De Felice ci riporta ad una stagione straordinaria e troppo rapidamente dimenticata della nostra cultura nazionale.   Nel 1975, a dieci anni dall’uscita del primo volume della monumentale biografia di Mussolini,  la sua Intervista sul fascismo a  Michael Ledeen fece scalpore e accese un grande dibattito,  nella prospettiva di  una comprensione più distaccata del nostro passato.  Al punto che  venne perfino  difesa da comunisti come Giorgio Amendola, la cui Intervista sull’antifascismo (1976), a cura di Piero Melograni, arrivò a confermare non poche tesi dell’altra.

De Felice  aprì  scenari inusuali sulla distinzione fascismo-regime e fascismo-movimento, in esso individuando motivi di rinnovamento sociale, elementi di idealizzazione e modernizzazione e ben delineando la distinzione tra regimi conservatori ed esperienze propriamente fasciste.

Amendola  rilanciò  una lettura problematica del fascismo e dell’antifascismo, entrambi immagini speculari di una complessità, insieme ideologica e politica  (Amendola si interrogò sulle contaminazioni rivoluzionarie del fascismo, rappresentate dall’anarco-sindacalismo, dall’interventismo rivoluzionario, dal corporativismo, dall’avanguardismo giovanile)  non riconosciuta però dalla vulgata antifascista, incapace di fare veramente i conti con la propria storia, “che è – parole di Amendola – storia di un movimento che ebbe, accanto a momenti di alta tensione morale e politica, brusche cadute. Si preferisce ignorare tali limiti e debolezze per mantenere una versione di comodo, retorica e celebrativa, che non risponde alla realtà”.

De Felice riconsegnò il fascismo alla Storia dell’Italia, costringendo tutti, a sinistra e a destra, ad uscire dal tunnel delle incomprensioni e della retorica di parte, con un’unica preoccupazione:   quella  – disse in occasione della contestatissima Intervista, rilasciata a Ledeen -  “di capire il fascismo, anche se qualcuno obbietta che così c’è il rischio di capirlo troppo”.

Il paradosso è che, rispetto alla metà degli Anni Settanta e alle acquisizioni di scuola defeliciana, si sia purtroppo tornati indietro. Oggi, le  “affermazioni  apodittiche”, la “demonologia”, le  “interpretazioni basate su un classismo rozzo ed elementare” – parole di De Felice – rischiano di farci arretrare  sulla strada della verità storica e dell’integrazione nazionale. Il fascismo  più che un  problema storiografico è  diventato il collante almeno per una parte dei vecchi partiti antifascisti ed  il solo produttore di identità etico-sociale nella desertificazione dei valori.

La  Storia, quella vera, sembra  interessare  a pochi, laddove più facile è  lasciare il campo alla retorica di parte.  Con il risultato che ora la vulgata corrente  è in mano a mezze figure, più impegnate a lanciare anatemi che a fare una seria ricerca storica. Da Guido Calogero ed  Augusto Del Noce … a Michela Murgia,   non ci  sembra un bell’acquisto per la cultura antifascista …

 

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