"L'opera di Gaspare Occhipinti " - di Anna Maria Esposito

 

Uomo in frak

 

Conosco da pochissimo Gaspare Occhipinti, vulcanico docente, padre, artista… l’occasione, fortuita, è stata la prestigiosa riapertura del Museo di arte contemporanea di Gibellina, curato da Tano Bonifacio, che presenta, tra le altre, un’opera del raffinatissimo Enzo Tardia. E quando l’evento si è concluso siamo rimasti noi, Enzo e Gaspare, con la voglia di vivere ancora momenti, così come l’Arte ci dona. Non esistono formalità fra noi, devoti dell’irrefrenabile mondo dell’inconscio, devoti al Momento contingente. Il risultato fu un un angolo fortunosamente recuperato in una pizzeria già piena ed un piatto di formaggi (neppure cibo c’era, per noi, quella sera). Nascono così le ammirazioni, nella joie de vivre, come direbbe Matisse; una serata di risate e pensieri creativi e solari.

Anche quelle poche ore, infine, trascorsero. Soltanto cronologicamente, però: esse restano nell’animo senza tempo, restano “in essere”. E così trascorrono le nostre vite, tra dolci amicizie di persone creative e generose. Un privilegio. E, a distanza di quasi un anno, Gaspare espone nella bellissima mostra a Palazzo Riso, presentata dal finissimo Aldo Gerbino.

È una grande gioia potere ammirare il suo lavoro ed ancora di più esporsi al sole della sua personalità franca e positiva, incontenibile. Soltanto così sono entrata in contatto con il suo lavoro e ho osservato il pubblico, i suoi allievi, le opere, lo spirito che aleggiava. Perché questo è ciò che cerchiamo: un modo diverso di vivere.

Certo, riconosco che il mio è un modo atipico.

Si deve procedere conoscendo l’opera, che t’interessa e ti incuriosisce, poi s’intervista l’artista, per chiarimenti e approfondimenti, e infine ne descrivi la poetica.

E quindi adesso è necessario passare a questa parte del racconto.

Ho letto diversi testi critici, e ho notato che pochi sottolineano la rarefazione. Gaspare procede per sottrazione. Non descrive gli eventi, ma ciò che li circonda e ciò che li circoscrive. A furia di sottrarre, restano soltanto i contorni, e di questi soltanto gli essenziali. Così, non temo di dire che tutto il suo lavoro attuale, per quanto ne ho visto, è fatto di appunti, di cenni, di ricordi frammentari. Chi acquista una sua opera pittorica acquista un vuoto, acquista un ricordo, ne acquista i contorni. Cenni, accenni.

“I Vespri”: 800 anni fa due schiere si affrontano, gli uni per mantenere lo “status quo”, gli altri per riottenere la libertà. Di quell’evento rimane un ricordo lontano, un eco. Ma, ci ricorda Gaspare, di tutto dobbiamo tenere memoria.

Egli ha costruito un suo mondo, fatto del suo presente e del suo passato. E coltiva queste radici a cui si ancora non soltanto per dare forza a se stesso ma anche a tutti coloro di cui si circonda.

Una frazione dispersa, un angolo della Sicilia, immerso nel verde, un pezzo di territorio fertile e creatore di cibo, è un universo che basta. Questa è un’altra delle sue lezioni: ancorarsi, radicarsi. E poi, da lì, espandersi. Prendere (poco) per dare molto, aprirsi senza limitarsi.

Dare: alla famiglia, agli allievi, agli amici. Dare, soprattutto, una lezione: non avere timore di prendere, perché tutto ci è donato. E poi spandere il bene con gratitudine ed abbondanza. La sua arte è ritmica, fatta di echi.

Sottolinea il codice nascosto nelle cose: quelle poche tracce che ne restano vengono disposte su supporti poveri ed essenziali. Non occorre la tela, basta il sacco. Non occorre il colore , ma basta la traccia di esso. Traccia sottolineata dal fondo bianco, l’unico lusso descrittivo che si concede. Tutti i suoi soggetti passano dal setaccio della sottrazione. E se è vero che meno è più (“less is more”, ci ha insegnato Mies van der Rohe) allora ecco spiegata la ricchezza sontuosa della sua esposizione, nella quale spiccano le sculture, opere maestre in bronzo caratterizzate da una ritmicità primigenia, quasi danze in schiera, memori di sirtaki mediterranei. Da sottolineare il folle Don Quijote, guerriero, filiforme, urlante.

Mi sembra sempre un padre tra i suoi figli, il Maestro, l’artista: le opere lo guardano, lo chiamano a coro. Lui le rassicura con la sua presenza.

 

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