XIX Capitolo - "La mia vita" di Antonio Saccà

Lo stretto di Messina

Dopo la licenza liceale vi fu un periodo nel quale rimasi totalmente solo,  ormai non avevano luogo  raduno scolastico, relazioni sentite amichevoli , Ferdinando Salleo, partito, Giuseppe Russotti, bocciato, quindi doveva continuare a studiare, mese più mese meno, solo, non ne soffrivo, tutt'altro, mi chiudevo nella camera da pranzo con i mobili di mia madre quando viveva con mio padre, li ricordo e li voglio ricordare, i cristalli innestati nelle credenze, legno solido,  ben curvato, sul tavolo aveva fatto il mio leggio-scrittoio, e leggevo e scrivevo, leggevo e scrivevo e sentivo eternamente musica classica, se mi gradiva ripetevo un brano  senza fine. Mi rattrista  immensamente, ho detto, di aver perduto quel che ho scritto in quegli anni. specie un blocchetto di pagine minime, concepivo un personaggio, Federico Grottesh, ora non ricordo quel che agitava questo personaggio anche se rispettava la denominazione grottesca, con ingenua associazione denominazione/personaggio. inoltre poesie, qualche verso: “Ritorna maggio dalle bianche nubi e le donnette vanno a cercar fiori”, minuzie, vi era ben altro e tutt’altro, sopra tutto la spontaneità della prima giovinezza. Purtroppo perduta anche quale memoria di ciò che pensavo. Amen! Tra le perdizioni una poesia inviata a Nicola Capria, e, tempo ulteriore, una poesia inviata a Geno Pampaloni, mi rivolgo al Fato che siano ancora esistenti le missive tra Ferdinando Salleo e me quando lui era già partito, e le missive che inviavo a mia madre, la quale conservava ogni presenza. Io, potessi, conserverei il respiro, del resto ho memoria incombente e microbica del passato anche remotissimo. Anzi, più remoto, più rammento. Qualche mese, alcuni mesi questa solitudine, i poeti contemporanei, ignoti a scuola, li conobbi allora, da me, mi interessava  Vincenzo Cardarelli, la circostanza avrà sviluppi, quando  scrissi e pubblicai poesie, nel 1965, “La conclusione”, Editore Vallecchi, Mario Luzi che dirigeva la Collana con Geno Pampaloni e Carlo Betocchi, nella Prefazione affermò che io mi  legavo a La Ronda, una tendenza poetica che aveva fondamentale Vincenzo Cardarelli e si avvinceva alla lirica narrativa e concettuale di Giacomo Leopardi, fuori da oscurità ermetiche. Al dunque, la tradizione classica, greco-latina-italiana. Ma ne scriverò a suo tempo. Anche Giacomo Debenedetti allorchè ci conoscemmo a Roma mi disse che assomigliavo a Cardarelli, in vero Cardarelli mi piaceva, ed ancora, ma, nel caso rilevante è Giacomo Leopardi, versi insieme lirici, narrativi, concettuali. Vedremo. Comunque leggevo anche Eugenio Montale, Giuseppe Ungaretti, Salvatore Quasimodo, e negli scritti andati al nulla facevo strage, davvero mi rattrista la perdita, oggi non avrei l'animosità della giovinezza e la salutare energia polemica. Leggevo, leggevo ,e scriveva e sentivo, musica , dalla mattina alla notte, uscite per andare al Gabinetto di Lettura a prendere e restituire libri, leggevo, come ho accennato, instaccabilente, l'irrealtà diventava la mia realtà, i personaggi delle narrazioni più viventi delle persone, alcuni romanzi con figure che periscono  nella desolazione, di Stendhal, mi sconfortavano da chiederne ragione all'Autore, la chiusura de La Montagna incantata di Thomas Mann  , uno scoramento inconsolato, di Cervantes accenno, la morte di Don Chisciotte fu ed è un lutto  che mi doveva essere evitato, vorrei dire a Stendhal ed a Cervantes che non dovevano far tanto amare i loro personaggi e subire la loro fine! Capito? Di Don Chisciotte non sono guarito, divento come Sancio Panza che prega Don Chisciotte di non morire. In sala da pranzo o nel pianerottolo antistante la porta d'ingresso con le bambine dell'appartamento accanto che uscivano e venivano e mi scorrazzavano, una compagnia, diciamo. I classici greci, lirici e teatro, la limpidezza , soprattutto nei dialoghi delle tragedie , rapidi, sentenziosi ,dentro la condizione umana, ma ci fu spazio anche per  le Memorie di Giacomo Casanova, sei sette libri, un due, tre giorni, la bibliotecaria, la signorina  in età Trimboli, alla presa e restituzione del Casanova chi sa che immaginò di quel ragazzo magro, “spiritato”, che se non otteneva subito un libro pativa come perdita inconsolabile. Questa è la giovinezza, la passione irrazionale, può suscitare sbagli demenziali ma fa vivere. Un giorno  tutto cambiò, Università, Facoltà di Giurisprudenza, come mai lo ignoro,  frequentavo e conobbi studenti, dopo qualche tempo  vennero da me, suppongo di aver detto la mia abitazione, un ragazzo calabrese ed uno di Messina, mi invitarono ad uscire e da quel momento diminuii e quasi abbandonai  le mia stanza per  l'Università ,intensamente, i gruppi di intervento politico e credo in quelle occasioni conobbi Nicola Capria mentre non so precisare come conobbi Franco Giacobbe, Armando Gentile al Gabinetto di Lettura, mio cugino Giuseppe Sobbrio, e tanti altri, la mia vita cambiò, divenne  sociale , l'Università animatissima, vi era l'UGI, Unione Goliardica Italiana, credo ,con tendenze radicali, non saprei, mi pare sia venuto un giovane alto, molto  discorsivo, con occhi larghi azzurri, Marco Pannella,  Messina o Taormina, incontri anche in Alta Italia, Modena, vi andai con Francesco(Ciccio) Cimino che diverrà Senatore socialista, mi sbalordì la nebbia, sconosciuta, ed acquistai il primo disco, musica da camera opera 18, Quartetti di Ludwig van Beethoven. La società italiana si scuoteva sia nei diritti civili, divorzio, aborto, sia nell’economia e nei confronti internazionali. Io ero all’oscuro del mondo presente fuori di me, mi inclinai verso un comunismo, era un comunismo umanitario, parteggiare con la gente sfruttata, la gente misera, maltrattata. Assolutamente. Come detto il comunismo mi appariva un cristianesimo senza religione e l'Unione Sovietica il compimento del bene dei poveri.  Allora questo supponevo. In ogni caso,  come ho ampiamente detto, vivevo nel rifiuto annientante di me stesso, della città, anche se in famiglia accadevano novità. Mia sorella  Caterina(Katia), la maggiore ,oltre la figlia Irene suscitò un'altra figlia alla quale si diede il nome della sventurata, rimpiantissima nostra  sorella scomparsa, Ermanna,  e si ripete quanto accaduto con la  nata dal nuovo matrimonio di mia madre, Anna (La Ferla), stavolta soltanto da parte mia non in gara con mio fratello, quando la piccolina veniva da noi era affezionatissima a me e mi stava vicino e si addormentava sulla mia spalla, io le cantavo ninnenanne, mentre stava con me si bagnava sicché la chiamavo Priscilla dalla doppia pipì  meravigliosa bambina, i capelli schiumosissimi, nerissimi, perfetta configurazione del volto, l'infanzia bella, il rapporto con l'infanzia, le prime parole, i primi passi, l'abbandono fiducioso totale spontanei gioioso, la vita, la vita che sboccia visibilmente, l'albero della vita, il sorriso e il festoso grido e la corsa per correre in braccio ed il sonno nella certezza della protezione...

Assolutamente, dovevo andarmene e come mi avveniva ed avverrà, subitaneamente, senza calcolo, senza meta, per un impulso ossessivo. Fu di notte che partii, che fuggii, la stazione è accanto al porto, il treno si intana spezzandosi, vedo le colline della Calabria, vedo le colline di Messina, le piccole, tondeggianti colline, le chiese, Montalto, Cristo Re, un sacrario, in una di queste colline abitava un amico che scriveva poesie, Nino Crimi, addio. Dal traghetto vedo Villa Mazzini, addio. Lontano riesco a vedere il campanile del Duomo, e saluto anche il campanile, la ferraglia del treno continua, l'equipaggio parla in dialetto con la “calata” messinese, addio, si può scendere, si può andare al bar, le arancine tonde o piramidali, soffritte, in bianco o rosse sono in mostra, anche le granite dal sapore limonino, caffè, fragola, addio, addio, sono sul traghetto e non sono sul traghetto, sono nel presente e sto nel futuro, torno nel vagone, mi riduco nel mio posto, non ricordo se viaggiai in cuccetta, vagone letto, è passata da quel giorno la mia eternità , 1958,   lo stacco, il traghetto si smuove, ecco il Museo, ecco la città che si allontana, ecco il suono delle onde sulle fiancate, il mare blu nero, densissimo, Scilla, Cariddi, Ulisse, le bande musicali, u Gilanti e a Gilantissa, la Vara, mentre mi strappo dalla città, la città mi percuote di  memorie come se fosse passato quel che è presente. Dormo, mi sperdo, le ferraglie ricominciano, il treno spezzato si congiunge, Villa San Giovanni, la parlata calabrese, l'altra riva, il Continente. Le manovre per uscire il treno dalla nave lunghe, affaticate, la sosta, forse guardavo, forse restavo nel sedile, forse disteso nella cabina, partivo, comunque, “Sicilia, terra amata, passeggiate, ricordi, ed il tempo perduto fu il più bel tempo che io abbia mai vissuto”, scriverò qualche anno a venite nel mio primo testo di versi (La Conclusione, Vallecchi, 1965).

Ma il futuro non era il presente, il presente era il viaggio notturno verso l'ignoto.  Infine il treno si stacca, comincia la partenza, Lamezia Terme, Sala Consilina, Salerno, Napoli, Roma, no, non è Roma  che porrà termine, Chiusi, Arezzo, il cielo si libera della notte, e con il sole giallo, arancione dell'alba sono a Firenze.

Perché a Firenze, non so, forse Roma mi suscitava ricordo triste, ma a Firenze non avevo sede, persone, era la mia urgenza che mi precipitava. Firenze, subito, fuori stazione, Santa Maria Novella, qualche centinaio di passi, Santa Maria del Fiore, la porta del Battistero , il Campanile di Giotto, cammino, cammino, Palazzo Vecchio, il David, la Loggia, gli Uffizi, Ponte Vecchio, dove sto? Medio Evo, Rinascimento, la Città, capisco, è non grande, concentratissima di arte, strade non vialoni, selciato,  nobilmente antica, il passato che amavo, in luoghi del genere era degno vivere, arte in ogni spuntone, perfino i colori, appassiti, velati, stagionati, ocra, rosa, che è successo, il destino mi ha fatto incontrare la donna da amare, Firenze? Tanto immalinconito da Roma, tanto esaltato da Firenze. Perfino un Bar accanto a Santa Maria del Fiore, che frequenterò presso che giornalmente, mi gabbava di molto, per dire alla toscana. La Città esisteva, ma io non sapevo dove allocarmi. Gira e gira, in via Cavour , nella piazzetta ove è raffigurato corporalmente lo Statista con una statua meta di uccelli,  incredibilissimamente scorgo persone  che conoscevo, di Messina, e la mia vita diventa quella che fu la mia vita.

Pin It

Potrebbero interessarti

Articoli più letti

Questo sito utilizza Cookies necesari per il corretto funzionamento. Continuando la navigazione viene consentito il loro utilizzo.