Un ricordo di Leo Longanesi. Intellettuale poliedrico a 120 anni dalla nascita - di Niccolò Lucarelli
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- Category: Scritture
- Creato: 06 Settembre 2025
- Scritto da Redazione Culturelite
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Noi italiani siamo il cuore dell’Europa ed il cuore non sarà mai né il braccio né la testa: ecco la nostra grandezza e la nostra miseria. Ecco chi era Longanesi, scrittore, giornalista, editore, pittore, disegnatore, e aforista, nei 120 anni dalla nascita
Nasceva il 30 agosto di 120 anni fa Leopoldo Longanesi (Bagnacavallo, 1905 – Milano, 1957), poliedrico intellettuale italiano del Novecento che fu scrittore, giornalista, editore, pittore, disegnatore, e aforista. Rampollo di un’agiata famiglia della borghesia agraria romagnola, si formò nella Bologna dei primi Anni Venti, frequentando i caffè letterari di cui all’epoca la città era ricca, e dove conobbe Bruno Cicognani, Galvano della Volpe e Gustavo Del Vecchio; l’incontro più importante fu quello con il pittore Giorgio Morandi, che ne guidò la ricerca artistica. Ma fu il giornalismo letterario, il campo d’azione più incisivo di Longanesi, che vi si accostò fin dagli inizi e dove dispiegò umorismo e causticità, mantenendo però un fondo di conservatorismo; lo fece con coerenza, senza fanatismi, sempre aperto al dialogo, e la sua apertura mentale non ne permette una precisa classificazione. Più semplicemente, Longanesi fu un uomo libero.
Longanesi e il fascismo
Il rapporto di Longanesi con il fascismo si sviluppò principalmente attraverso le riviste, iniziando nel 1924 la collaborazione con il periodico bolognese L’Assalto (organo ufficiale della federazione fascista cittadina, capeggiata da Leandro Arpinati), e del quale divenne direttore il 6 luglio 1929. Nel frattempo, nel 1926, a Bologna, fondò L’Italiano, rivista storico-letteraria di carattere tradizionalista e patriottico, nonché sostenitore della genuinità paesana contro le minacce della civiltà moderna; ma in una prospettiva più ampia, e in apparente contraddizione con quanto sopra, lo scopo della rivista, nella parole di Longanesi, era “impedire l’imborghesimento del fascismo, di sostenerne le finalità rivoluzionarie, di colpire a fondo gli avversari di Mussolini, d’inventare un’arte e una letteratura fasciste”. Da queste parole si evince come Longanesi rispettasse del fascismo quel suo carattere riformista che avrebbe potuto rappresentare per l’Italia un autentico elemento di cambiamento, soprattutto dal punto di vista della giustizia sociale, pur mantenendo però il carattere fondamentalmente agrario della società italiana; le premesse del 1919, però, non si realizzarono, deludendo più di un sostenitore (Giuseppe Berto fu tra quelli).
La vicenda dell’Italiano
L’Italiano metteva insieme le poesie di Ungaretti e la traduzione di opere straniere, l’autarchia culturale e la rivoluzione fascista. Ma l’amicizia personale con Mussolini non avrebbe nel tempo impedito a Longanesi di vederne gli errori, evitando quindi di essere un complice del regime. E la sua onestà intellettuale è dimostrata anche dal fatto che Longanesi alla fine della guerra non fu incriminato o indagato per collaborazionismo o comunque per un particolare atteggiamento di favore verso il fascismo.
Omnibus
Probabilmente questo settimanale è il capolavoro di Longanesi, che ebbe purtroppo vita breve perché pubblicato soltanto dal 1937 al 1939. ritenuto il prototipo del rotocalco moderno, e si distinse per anticonformismo, originalità e spregiudicatezza del tono e dei contenuti. Anche l’aspetto grafico era innovativo, perché gli articoli erano corredati dalle fotografie di Cesare Barzacchi, in formato più grande rispetto alle altre riviste italiane. Politica estera, cinema, letteratura, musica e architettura erano gli argomenti principali, affrontati con spirito d’osservazione e senza seguire le linee guide del Minculpop; il quale, però, in seguito a un articolo di Alberto Savinio, apparso il 28 gennaio 1939, decise la chiusura di Omnibus; Il sorbetto di Leopardi, questo il titolo, era dedicato al poeta recanatese a 102 anni dalla scomparsa. Venne giudicato irriverente, e si procedé alla chiusura. Il settimanale era da tempo attenzionato dal regime, come si evince dal telegramma del Ministro della cultura popolare al Prefetto di Milano, del 2 febbraio 1939: “Prego V.E. Disporre che settimanale “Omnibus” edito da Rizzoli-Milano sospenda sue pubblicazioni per revoca riconoscimento del gerente responsabile Leo Longanesi causa atteggiamento tenuto periodico in questi ultimi tempi”. Longanesi aveva assunto nei confronti del regime una posizione percepita come troppo indipendente e autonoma, e ne pagò appunto le conseguenze.
Longanesi, l’arte e la letteratura
Se Morandi era stato il suo primo maestro, l’orizzonte di Longanesi fu, anche nell’arte, particolarmente ampio, e andava dalla tradizione della stampa popolare italiana dei lunari e degli almanacchi, agli stili ormai storicizzati di Daumier, Toulouse-Lautrec, Grosz, fino al contemporaneo Mino Maccari; un interessante mélange di Europa, Ottocento, e malapartiano Strapaese. Partecipò anche a diverse mostre, fra cui la II Mostra del Novecento italiano a Milano (1929), la Mostra del decennale della rivoluzione fascista a Roma (1932), la I e II Quadriennale (1931 e 1935), la XIX Biennale di Venezia (1934), e la Mostra del disegno italiano a Berlino (1937). Longanesi scrittore ha regalato numerosi esempi della sua acuta capacità d’osservazione, in romanzi e saggi; per brevità, citiamo un unico libro, abbastanza esemplificativo: In piedi e seduti (1948), un romanzo che copre l’arco temporale dal 1919 al 1943; una ricostruzione sociale impietosa del costume e del malcostume italiani, sempre rispondente a un bisogno di verità, ma venata di brillante umorismo, a metà fra dramma e melodramma.
Longanesi e la Repubblica
Stabilitosi a Milano nel 1946, Longanesi sviluppò qui la sua ultima parte della carriera, interrotta dalla prematura scomparsa nel 1957, poco più che cinquantenne, a causa di un infarto cardiaco. Il 1º febbraio, in società con l’industriale Giovanni Monti, aveva fondata la casa editrice Longanesi & C, specializzata in narrativa, saggistica, arte, archeologia e scienza; fra gli autori pubblicati dopo la morte del fondatore, anche Gianni Brera fu Carlo, cantore dello sport come pagina d’arte e di vita. Nel 1950 ideò Il Borghese, rivista culturale di costume (di cui fino al 1953 disegnò le copertine), a cui collaborano, fra i tanti, Indro Montanelli, Giuseppe Prezzolini, Giovanni Spadolini, Mario Tedeschi, Alberto Savinio, Ennio Flaiano, Ernst Junger, Giovannino Guareschi. La sua visione rimase genuinamente conservatrice, nella convinzione che il disordinato sviluppo industriale degli anni Cinquanta snaturasse l’identità nazionale, che per lui rimane quella contadina. Osservando in retrospettiva i guasti dell’incontrollato “miracolo economico”, dal consumismo e dalla società di massa, forse Longanesi non era completamente in errore. Ma la sua non era sfiducia verso lo sviluppo industriale in se stesso, bensì nelle capacità della classe politica italiane di traghettare con lungimiranza e onestà il Paese dall’economia agraria a quella industriale; gli scempi sul paesaggio, la corruzione, le tante “cattedrali nel deserto” sorte in particolare nel Mezzogiorno, gli danno forse ragione. Longanesi aveva il dubbio che un certo servilismo continuasse ad ammorbare anche l’Italia democratica, e celebre è rimasto in proposito un suo aforisma: “Non è la libertà che manca; mancano gli uomini liberi “. E soprattutto, lo faceva amaramente sorridere la disinvoltura con cui tutti innastavano la bandiera dell’antifascismo, così come la corruzione che cominciava a incancrenire il tessuto produttivo del Paese; fu proprio un’inchiesta del «Borghese» a svelare i metodi corruttivi dell’ENI e l’esistenza di un conflitto d’interessi fra l’ente e il quotidiano Il Giorno, con la pubblicazione della documentazione comprovante, attirandosi un biasimo che oggi si chiamerebbe bipartisan. Ma qualsiasi società ha sempre bisogno di voci libere e critiche come appunto fu Longanesi.
da: arttribune.com