Salvatore Vecchio recensisce "La casa dell'Ammiraglio" di Tommaso Romano (CulturelitEdizioni)

Fresco di stampa, edito da Culturelite nel maggio del 2020, è La casa dell’Ammiraglio di Tommaso Romanoun romanzo che riprende nell’interrogare e nell’interrogarsi dei protagonisti o del protagonista Tempo dorato. Raccontare è raccontarsi (2014) e Oltre il sopravvivere (2019).
Questi romanzi costituiscono una trilogia e sono attuali, anzi attualissimi, se consideriamo il particolare momento del coronavirus che ha allarmato e allarma tante popolazioni; essi toccano il passato e lo strascico che si porta dietro, il tema della morte e il bello che resiste e sconfigge la morte stessa.
Tommaso Romano che, oltre ad essere un poeta e scrittore, uno storico e ricercatore instancabile (si veda il ricco catalogo delle opere che spaziano da un sapere ad un altro), è un filosofo molto vicino a quanti si rifanno al nuovo umanesimo, Heidegger compreso, anche se un’ombra molto pessimistica, data da un modernismo spesso deleterio, offusca i buoni propositi e la vita autentica, intendendo con questo termine non tanto la negatività che può sottintendere, bensì quanto di buono c’è nell’uomo, non necessariamente dal punto di vista religioso.
I romanzi sopraccitati hanno un filo di fondo comune, che si riallaccia all’uomo pensante, capace di gestirsi e, di conseguenza, agire, e lo mette nelle condizioni, sempre che lo voglia, di uscire dal “labirinto” e dal “deserto”, in cui si trova, argomento ripreso anche in un suo poemetto (Nel labirinto, nel deserto) edito nel 2019. 
Questi romanzi - ripetiamo - rispecchiano l’attualità. La quarantena, a cui si è stati forzatamente sottoposti, se da un lato ha chiuso alle relazioni sociali, ha fatto ritrovare la nostra intimità o, perlomeno, ha permesso di riscoprirci e di leggere il nostro tempo, quello interiore che più interessa. Ebbene, se in Tempo dorato. Raccontare è raccontarsi l’io narrante, come in una retrospettiva, rivive il passato con un pizzico di nostalgia (la modernità ha agito su persone e cose, spesso, e in più delle volte, in senso negativo) e in Oltre il sopravvivere il protagonista, che è Marco Colonna, arriva alla conclusione che si può vivere, morendo, basta che si creino e lascino i presupposti (anche il laico Foscolo pervenne a questa conclusione), ne La casa dell’Ammiraglio, a dare una risposta è il bello fine a se stesso, senza altri scopi, se non quello di dar vita e di gustare disinteressatamente cose e oggetti che ad occhi estranei non dicono niente, mentre a chi li possiede e custodisce, agli amatori, e nel nostro caso all’Ammiraglio, che è l’alter ego di Romano, rivelano un mondo sconosciuto, aperto, visibile, comunicatore di verità e di conoscenze non facilmente acquisibili da tutti.
L’Ammiraglio, così chiamato, anche se in pensione, passa il suo tempo ora in famiglia, ma spesso e volentieri in una sua casa museo, nella “casanima” - come la chiama - addobbata di cimeli, quadri e oggetti acquistati nei viaggi e nei mercatini rionali di mezzo mondo. Per questo, aveva perfezionato lo studio della psicometria, «disciplina che indaga circa la capacità di captare vibrazioni inconsuete attraverso il contatto con gli enti materiali» (p. 15). Egli si compiace del suo “tesoro”, lo ammira, standosene seduto, ora in una, ora in un’altra stanza, lo apprezza, e spesso si rivolge ai singoli oggetti, come se fossero viventi e li tiene in considerazione, meglio di stare con i suoi simili. Lo fa, tra gli altri, con Cometa, «la bella fanciulla di marmo, osservandola china a studiare con una matita in mano» (p. 49).
Di rado, negli ultimi tempi, va anche in una sua vecchia tenuta di famiglia, dove era convinto di ritrovare calma e riposo, come l’Autore scrive: «L’unico luogo in cui avrebbe respirato il silenzio e risentito il profumo del padre amatissimo, riascoltando nell’aria tersa il suo sconfinato amore per la terra e per Dio. Avrebbe così ripercorso ancora la fanciullezza, l’adolescenza, gli affetti familiari, i giochi innocenti, l’assenza di inutili sprechi, l’importanza della semplicità» (p. 90).
I ricordi gli affiorano come acqua di sorgiva. Il momento particolare, che l’Ammiraglio stava vivendo nella “casanima”, il sentire gli oggetti rivolgergli la parola, qui ha una continuazione ed egli trova gli appigli per andare alla soluzione. Di che si tratta? Nella casa di campagna oggetti e immagini gli si rivelano e parlano, gli confermano che anch’essi «sono come se cercassero la Verità» (p.97), e che ogni cosa che vi si trova «è stata ricomposta, restaurata, riportata a dignità di vita estetica e spirituale» (102). L’Ammiraglio, che nella “casanima” pensava fosse caduto in uno stato di allucinazione, qui acquista la piena consapevolezza di trovarsi dinanzi ad una realtà a cui non è facile approdare, e se prima rimaneva ad ascoltare, ora, da consapevole, si getta nella mischia, dialoga con gli oggetti, vuole saperne di più e andare sino in fondo. Perciò reagisce, e a Don Alessandro che lo mette con le spalle al muro con un aut aut, così risponde: «È questa la mia condanna: la ricerca della perfezione che mi manca e che ho tanto chiesto nell’illusione del primo bagliore alla luce della coscienza, disperdendomi in quella gnosi che non vive nel sottosuolo e che mi sono illuso di conoscere… ed io faccio i conti con tutto questo» (122).
Se questa è la sua reazione-confessione, da ammiraglio qual è, il nostro protagonista non rinuncia, continua la ricerca con l’ardore di chi vuole «seguir virtute e canoscenza». L’Ammiraglio, come un Ulisse moderno, non desiste, continua per la sua strada che non ha niente di materiale e di effimero, non riguarda l’estetica kirkegaardiana e neppure la scelta, perché ha scelto. Egli è risoluto a ricercare il bello che è nelle cose e nella vita, incurante degli altri che, per lo più, si attaccano all’esteriorità e al caduco. Eppure s’interroga e interroga, e non è una malattia la sua. Glielo confermano Bellanti e Nuaranti, due amici esperti che lo rassicurano e gli consigliano di continuare a fare e ad agire come ha sempre fatto, senza venir meno al suo stile di vita. La sua - ripetiamo - non è una malattia, come gli aveva diagnosticato «l’esimio erudito professore De Tullio» (p. 87), ma «un peculiare dono dall’Alto» (p. 159), che va custodito e fatto proprio. Cosa che farà l’Ammiraglio, quando, dopo il colloquio con l’Angelo, in una «visione lucente, eppure reale», in un «tempo senza tempo». dice: «Ho compreso che lo Spirito soffia dove vuole, ho visto lo straordinario, ho sentito le voci dell’anima che in voi hanno avuto l’Eco della comprensione e della compassione anche per me, in queste stanze che tanto ho amato e amo. Ho compreso. […] So che resterò con voi, angeli e cose, dato che nel Cosmo è iscritta la mia anima, libera, ora, da ogni pesante contingenza e necessità» (pp. 170-171).
La casa dell’Ammiraglio è un libro avvincente, ricco di pathos che scopre verità elementari, ma per questo trascurate o non prese in considerazione dalla stragrande maggioranza degli uomini. Il suo protagonista, pur mantenendo relazioni con gli altri, ha una propria visione del mondo che soddisfa l’anima e il corpo; non toglie niente, non va oltre l’umano, anzi lo realizza, non perdendosi nella materialità, dando un senso estetico e spirituale alla vita che è ciò che conta. È un romanzo rivelatore della condizione umana che fa i conti con la realtà odierna e l’Ammiraglio non l’accetta per il negativo che vi predomina; non dà consigli, non si erge a maestro, ma dà un esempio di vita con il suo operato e lo realizza come un sogno fatto di credo e di perseveranza. Non è un sentirsi altro il suo, un superumanismo alla D’Annunzio, ma una rinuncia all’omologazione che mortifica e rende insignificanti. Egli aspira a vivere in armonia con i propri ideali che alla fine riesce a realizzare.
Il romanzo si snoda come una radiografia del vissuto dell’Ammiraglio in una forma lineare intrisa di spunti psicologici, filosofici, letterari, artistici, con immagini visive e con introspezioni che lo rendono movimentato e ricco di approcci. Ci sono richiami che si rifanno alla filosofia antica e moderna, a scrittori italiani e stranieri dell’Otto e Novecento, oltre che ad artisti e uomini di assodata cultura. C’è, insomma, tutta la conoscenza artistica e culturale di Tommaso Romano, quasi, possiamo dire, filtrata, per non appesantire la struttura dell’opera, molto originale, unica nel suo genere. 
Altri autori italiani e stranieri, per la verità, hanno scritto opere ambientate in un luogo circoscritto con descrizioni e riferimenti personali. A proposito, ricordiamo Xavier de Maistre con il suo Voyage autour de ma chambre (1794) anch’esso molto originale, scritto perché impedito nella libertà personale. De Maistre descrive, dialoga, immagina, ma rimane nell’ambito dei ricordi. Persino quando immagina il battibecco tra corpo e anima è il corpo ad avere la meglio. Quello di Tommaso Romano è un viaggio tutto interiore. Anche se qua e là ci sono dei contatti con altre persone e fuori del suo mondo (la “casanima”, l’abitazione di famiglia, la casa di campagna, l’albergo), il punto focale è sempre quello: la «ricerca della bellezza quale sostanza dell’infinito, della grazia e dell’armonia, un segno di fede e verità» (19).
La casa dell’Ammiraglio, da questo punto di vista, è una novità letteraria, un viaggio che non cede alla materialità. Ripetiamo questo concetto, perché lo sguardo del suo autore è rivolto al bello che, se è tale, rimane sempre bello, e verso l’Alto, che nobilita e dà adito all’immortalità; in poche parole, così pensando e facendo, si è librati in uno spazio senza tempo, dove tutto è armonia e vita interiore. Questo non significa esularsi dalla realtà, ma non accettarla per com’è, volerla, attraverso l’arte e un ritorno alla spiritualità, più vivibile, renderla meno degradata, umana, nel senso pieno del termine. Presi, come sono, da un modernismo aberrante e da una grave crisi di valori, gli uomini spesso non si rendono conto del male che procurano a sé e all’ambiente in cui vivono. Tommaso Romano, in linea con altri pensatori, sostiene un ritorno all’umano, ma, a differenza di tanti, è fiducioso e spera, come il suo protagonista, in un cambiamento di rotta per un mondo migliore.
Questo nuovo romanzo di Tommaso Romano è un’ondata di frescura che dà sollievo in mezzo alla tanta calura in cui spesso ci troviamo. È un romanzo da leggere, non solo perché suscita molti interessi, ma anche perché infonde fiducia nelle potenzialità dell’uomo che, se vuole, può cambiare il mondo e stare bene con sé e con gli altri e, soprattutto, perché apre a prospettive inconsuete nel panorama letterario del nostro tempo.
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