Recensione di Giovanni Teresi al testo “Il processo a Gesù” di padre Avvinti

La lettura del testo “Il processo a Gesù di Nazaret” di padre Avvinti  pone delle profonde riflessioni sulla stoicità della vita terrena di  Gesù, e le preghiere, che accompagnano i vari momenti della passione, esaltano il profondo Amore verso il Santissimo fattosi Uomo per la remissione dei nostri peccati vincendo la morte per la Vita Eterna.

Da una attenta analisi del testo, ho colto, riprendendo alcuni passi del Nostro, la descrizione della procedura di condanna seguita da Pilato nei confronti di Gesù, il disaccordo degli studiosi riguardo il processo e ciò che dai Vangeli traspare, dal punto di vista giuridico, sulla condanna.

Il Concilio Vaticano II e il magistero postconciliare dei papi Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI hanno difeso con coraggio e profezia la visione cristiana della natura e del destino dell'uomo alla luce del mistero di Cristo. Soprattutto Giovanni Paolo II, difensore strenuo dei diritti dell'uomo, ha indicato ripetutamente l'uomo come la via fondamentale della Chiesa. Negli ultimi decenni, tuttavia, si è dolorosamente registrata una distanza sempre più accentuata tra la visione cristiana dell'uomo e quella della cultura liberale-radicale. Con l'affermarsi delle biotecnologie e del riduttivismo scientista da una parte, e il diffondersi dell'indifferenza religiosa dall'altra, si è drammaticamente imposta la cosiddetta "questione antropologica".

"E' in corso infatti, con una forza e una radicalità che si sono accresciute negli ultimi decenni, una trasformazione o ridefinizione dei modelli di vita, dei comportamenti diffusi e dei valori di riferimento, e sempre più anche delle scelte legislative, amministrative e giudiziarie, che cambia in profondità gli assetti sociali e i profili di una civiltà formatasi attraverso i secoli con il contributo determinante del cristianesimo. Ciò avviene con particolare evidenza negli ambiti della tutela della vita umana, della famiglia, della procreazione e di tutto il complesso dei rapporti affettivi, che rappresentano, insieme al lavoro, al guadagno e al sostentamento, e naturalmente alla sicurezza del vivere, i fondamentali interessi e le preoccupazioni quotidiane della gente" (Card. Camillo Ruini).

E’ importante, ora precisare che l'origine della questione antropologica è strettamente intrecciata con la questione teologica. Il problema dell'uomo, cioè, è direttamente intrecciato con il problema di Dio. La crisi di Dio, infatti, ha condotto lentamente alla crisi dell'uomo. La postmodernità, con la crisi della metafisica e l'avvento del pensiero debole, ha messo in crisi i classici assoluti metafisici:

"Dio, uomo, mondo". La prima conseguenza dell'indebolimento del concetto di Dio è

l'indebolimento del concetto dell'uomo. All'idea forte della natura umana, considerata immutabile perché creata da Dio, si è sostituita, perciò, l'idea debole di una natura umana, considerata manipolabile, perché prodotta dalla biotecnologia. La conseguenza terribile di questa trasformazione è che tutto ciò che è "fatto" può essere anche "disfatto". L'uomo postmoderno non vuole accettare i limiti della natura umana e tenta di creare nuovi modelli di esistenza, determinati non dalla "sacralità" della vita ma dalla "qualità" della medesima.

Cristo si fa cibo dell’anima per ogni uomo di buona volontà e viatico per la vita eterna. Ogni cristiano è chiamato ad adorarLo in ogni modo e con ogni mezzo, piegando le ginocchia e prostrando tutte le facoltà di intelletto, volontà, sentimenti e sensazioni. Lui, infatti, ha detto: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui” ed anche: “In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita”. Il testo dice proprio così: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

Lui è la vita e questa vita senza di Lui è illusione, è pura follia, utopia pura di un sogno senza fondo di verità. Non ci sono altre vie. La via è una sola, come una sola è la possibilità di bene: solo con Lui. Bisogna anche ricordarsi che Egli è padre e, come tale, corregge i suoi figli per farli ravvedere e crescere. Egli è Signore e dà la vita non la morte infatti dice: “Io non voglio la morte del peccatore ma che si converta e viva … e Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”.

Gesù ci illustra, con rigore logico, la virtù e ci insegna a seguirlo sempre, perché essere con Lui significa rimanere nella nostra vita, tenerla unita, senza disperderla.

Il profeta Isaia, nel testo del “servo sofferente”, così esprime la sua angoscia: “Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per provare in lui diletto. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima”.

Maria ci sia maestra e guida, come “maestra spirituale” alla sua conoscenza sempre più approfondita e, come madre orienti i nostri sentimenti ad amarlo con tutto il cuore come fratello nostro consustanziale a Lei per il corpo e a noi per la grazia, che da lui arriva ad ogni uomo che si affaccia e si unisce alla sua persona.

La procedura seguita da Pilato nei confronti di Gesù pare essere stata quella di una «cognitio extra ordinem» propria delle zone provinciali, periferiche e difficili, che non prevedeva la presenza di una corte vera e propria.

Non vi è accordo tra gli studiosi se si sia trattato di uno o di due processi distinti. Dai vangeli traspare che Gesù sia comparso di fronte a due tipi di autorità, quella sinedriale e quella legale romana. Dal punto di vista giuridico, essendo la Palestina occupata e sotto giurisdizione romana, un processo per reati che comportassero la pena di morte era competenza esclusiva del giudice supremo, il procuratore romano (o nel caso specifico il praefectus). Tale fatto è concorde con quanto attestato dal Vangelo secondo Giovanni: "A noi non è lecito far morire nessuno!". Secondo la prassi giuridica in vigore infatti la procedura legale prevedeva che il processo fosse condotto mediante un atto preciso di accusatio, in questo caso da parte dei sacerdoti, che comportava l'interrogatorio, da parte del magistrato inquirente, dell'imputato e che questi si discolpasse, cosa che concorda con quanto riportato dai vangeli e avvalora la tesi del processo unico davanti a Pilato. L'operato descritto dai vangeli riporterebbe quindi la serie di interrogatori subiti da Gesù allo scopo di formulare un preciso libellus inscriptioni. Secondo la Lex Julia iudiciorum publicorum di Augusto l’accusa si doveva intentare con precise modalità in un documento scritto e firmato. Secondo opinioni autorevoli il dibattimento contro Gesù dinanzi al Sinedrio riferito dai vangeli ebbe la funzione di approntare un atto di accusa da presentare al governatore romano e non rappresentò un "processo" vero e proprio.

I testi contenuti nei quattro vangeli canonici riportano una varietà di motivazioni che, durante il ministero di Gesù, provocarono reazioni contro la sua persona ma solo alcune potevano essere considerate motivo sufficiente per decidere la sua morte.  I testi dei quattro Vangeli riportano, durante il ministero di Gesù: “ricorrenti attacchi contro scribi e farisei che costituivano le autorità religiose legate alle sinagoghe presenti dovunque nei villaggi e nelle città della Palestina del tempo. Ne criticò apertamente e pubblicamente l'esteriorismo e il formalismo accusandoli di ipocrisia, chiamandoli "ciechi e guide di ciechi" (Mt15,14), "serpenti e razza di vipere" (Mt23,33) e perfino "sepolcri imbiancati" (Mt23,27)” …

Al processo e al momento della condanna nella fortezza Antonia partecipò una piccola folla di Ebrei: non più di 100 persone sarebbero potute entrare nel cortile del palazzo di Pilato e inoltre, essendo avvenuto il processo di venerdì, la maggior parte degli Ebrei era intenta a preparare la mensa pasquale, non essendo possibile lavorare durante il sabato. Furono quindi i pochi Ebrei presenti a rendersi corresponsabili della morte di Gesù, in quanto fecero pressione su Pilato perché ne eseguisse la condanna capitale. Nei Vangeli non compaiono motivazioni utili a spiegare tale comportamento degli Ebrei contro Gesù: si suppone che la folla si sia adeguata alle indicazioni delle autorità religiose; nell’Occidente Cristiano dei secoli seguenti questa aggressività mostrata da alcuni Ebrei si ripercosse sull’intero popolo ebraico e fu la principale giustificazione razionale dell’antisemitismo, sintetizzata dall’accusa agli Ebrei di essere deicidi, cioè «uccisori di Dio».

I soldati romani di stanza a Gerusalemme, durante i frenetici eventi del processo flagellarono, coronarono di spine, insultarono e derisero Gesù, e furono gli esecutori materiali della sua morte per crocifissione («summum supplicium»). Sebbene dalle fonti storiche romane non appaia chiaramente quale fosse la legione presente allora a Gerusalemme, è probabile che si trattasse della X Legione, detta «Fretense», o di una guarnigione ausiliaria ad essa correlata.

Si vede, oggi più che mai, una spinta umanistica come un “nuovo umanesimo” che tende a riportare la priorità assoluta, non su Dio, ma sull’uomo, che sembra essere su di un piedistallo, occupando il posto di Dio. In modo particolare, negli ultimi tempi, il Concilio Vaticano II, portò l’idea sociale sessantottina di contestazione e di riforma progressista contro tutte le forme culturali e sociali ordinate da codici di leggi tradizionali e, comprovate dall’esperienza nel tempo di generazione in generazione, fino ad arrivare a sfociare nella “teologia della liberazione”. Con questa linea teologica si tendeva a collocare Dio nell’uomo, facendo sì che tutta l’attenzione posta da sempre in Dio come essere trascendente, passasse all’uomo come realtà immanente dello stesso Dio, solo che la cosa è sfuggita diabolicamente. In questa prospettiva Gesù (Logos nella Sarx umana) è l’incarnazione della proiezione umana di infinito che tutti chiamano Dio e, quando si dice “Padre” s’intende proprio questa proiezione della coscienza divina remota di Gesù e, nella prospettiva di “Amore innato” si legge la realtà dello Spirito Santo come coscienza prossima.

L'indebolimento della concezione di Dio, dunque, non può non condurre all'indebolimento della concezione dell'uomo, che, per essenza e destino, è aperto all'Assoluto e dall'Assoluto prende significato ed importanza. Se si elimina il Creatore, si elimina anche la creatura. Se scompare la persona di Dio, scompare anche la persona dell'uomo. Non si può separare la causa di Dio dalla causa dell'uomo. D'altra parte, non è l'uomo che fa Dio, ma è Dio che fa l'uomo, così come non è il finito che fa l'infinito, ma l'infinito che fa il finito.

Il “Il processo a Gesù di Nazaret” va letto e meditato. L’amore, che è il fulcro della Vita, non muore ma eterna il nostro “io” per l’Amore che Gesù mostra sempre nelle vicissitudini terrene.

 

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