“Progetto per una futura smentita” di Carmelo Fucarino

È una semplice provocazione chiedere a un poeta di formulare un suo manifesto di poetica, a meno che non si voglia carpire e spiare una masturbazione narcisistica, ancor più scandalosa e irriverente, perché rivelata in pubblico. Ma voglio stare al gioco.

Occorre innanzi tutto sgombrare il campo dal pregiudizio che la poesia possa essere rappresentata da una poetica definitoria.  Le letture critiche e le storie letterarie sono ad uso scolastico, cioè nascono da una esigenza didascalica di sistemazione e di inquadramento e da un dettato pedagogico, quando non è spudoratamente paternalistico ed etico. I virtuosismi auto-esultanti, le ingegnose scoperte e le criptografie aberranti dei ‘critici’ in nulla giovano all’attività artistica, né a definizione, né a chiarimento, anzi spesso risultano devianti e deleteri. Non hanno esito migliore le poetiche dei poeti stessi: il vero grande Pascoli non è quello del ‘fanciullino’, né Marinetti è il poeta del ‘Manifesto’.

Altri che in particolari contingenze scrissero di sé furono poi smentiti dalla loro stessa opera e dal loro futuro, perché il testo poetico è estremamente polivalente e polisemantico e perché l’uomo è sempre in fieri.

A rischio di essere smentito e di smentirmi fra un attimo, la poesia è “segreta pulsione interiore che si elabora, come seta dal filugello, sul palcoscenico del nostro egoismo, dal quale vorremmo tutti attoniti e plaudenti”, è “mediatica trascrizione di divino attraverso il fango della miseria umana”, è “confessione recitata ad alta voce, per il piacere del peccato e del perdono”, è profezia di un vate che si ascolta, messaggio dell’individuo all’universo”, è “divina armonia che ammalia con la purezza dei suoni, che sono la sola  sua essenza, è “gesto plateale di un segreto singulto”, è “ sintesi di un attimo lanciato nell’eternità”, “orgoglio di sondare e plasmare l’animo umano, “ segno che brucia e ricrea”, “ottimismo-pessimismo”, “armonia-sregolatezza”, “Satana-Dio”, “io-lui”, “terra-idea”, “silenzio-grido, “tutto-nulla”.

A questo punto non mi resta che sperare che la mia poesia sopravviva a questa mia xenolalia. C’è comunque la certezza che non mi potrò mai contraddire e ciò spiega la mia sicurezza.

E veniamo alla domanda compromettente ed oscena, - mi fa schifo la mia nudità - : Chi sono io? Io non sono un poeta. Io non sono che un piccolo fanciullo che piange. Perciò codesto possiamo solo oggi dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo. Ho l’impressione che mi stia citando. Ma sono certo che non è un peccato mortale: pure questo è la poesia, citazione. Il delitto di plagio è invenzione dei falsari, perciò sconosciuto nei secoli in cui non governava l’editore.

Potrei comunque essere natura ed idea, messaggio e solipsismo, parola e musica, stile e metrica, sillaba ed accento, scala armonica che si svolge dal macrocosmo al microcosmo.

Sono tutto quello che sostanzia la mia poesia e anche quello che non ho saputo e potuto dire, quello che mai dirò. Perciò il mio orgoglio di essere oggi poeta, quando si vuol “simulare” l’intelligenza, annullare il rischio.

Concludo: non ho nulla da confessare che l’uomo già non conosca, ma io voglio dirlo lo stesso. Questo lo stupendo paradosso della poesia, la sua eterna vitalità.

Perciò in questo momento di crisi – che è sintomo di sviluppo e di progresso -, quando la poesia si è chiusa in segrete formulazioni di algoritmi e di codici clericali, si è auto ascoltata e ammirata, nel permanente stato di avanguardia, è mancato l’interprete del tempo dopo Ungaretti e Montale. Ma non dureranno i geroglifici dello stupore, le coprofagie e le cazzate pornografiche in eterogenei revival di giovani rimasti tali fino a settanta anni.

A questo punto non sarebbe giusto moralmente estrapolare due nomi, anche perché mi mancherebbe la necessaria umiltà.

Agli scolari del 2050 la gioia di godere dei due autori.

 

Convegno “Poesia e comunicazione”, 28-29 novembre 1985

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