Prefazione di Roberto Russano a "Occhi salvia e zafferano" di Simona Volpe (Ed. Bertoni)

Comporre poesie è da sempre tra le aspirazioni più intime e diffuse del genere umano: lo dimostrano i numerosi testi poetici che da ogni parte del mondo ci sono pervenuti sfidando i secoli e le migliaia di raccolte che continuano ogni anno ad arricchire il mercato editoriale in tutte le lingue conosciute.

La scrittura poetica cerca di rispondere a bisogni fondamentali, spesso apparentemente opposti ma in realtà complementari, dell’uomo: per esempio esplorare la propria interiorità o celebrare la natura ed il creato che ci circondano; ricreare un ordine dal caos dell’esistente o far esplodere in forma caotica le aporie di una realtà in decomposizione; esaltare le gioie della vita, la bellezza nelle diverse forme, l’amore e i bei sentimenti o esorcizzare in forma catartica i vizi, la violenza e la morte; incarnarsi nell’esistenza vivendone tutte le contraddizioni o cercare di eternarsi per sopravvivere a sé stessi; esaltare la presenza di Dio nel mondo o stigmatizzare e maledire la sua lontananza o assenza.

In questa ricerca l’ispirazione poetica è in grado di attingere a vette e a dimensioni precluse alla ragione discorsiva e, dunque, la poesia si pone nella scala del sapere ad un livello più alto rispetto alla filosofia ed alla prosa, lo stesso occupato dalla musica e dalle arti visive ed insieme a queste discipline si presenta come lo strumento più idoneo di cui l’uomo dispone per avvicinarsi ai misteri dell’Assoluto.

Stabilire se dietro una silloge poetica ci sia un vero poeta non è tanto compito del critico letterario, chiamato ad esaminarla con strumenti spesso asetticamente formali, ma in primis spetta al lettore il quale può emozionarsi alla lettura di quel testo o rimanerne indifferente se non, addirittura, disturbato: in quest’ultima veste posso sinceramente affermare che “Occhi salvia e zafferano” la silloge che Simona Volpe ci propone è vera poesia scritta da una vera poetessa e, di seguito, cercherò di motivare brevemente il mio giudizio.

La poesia è il risultato di un processo di alchimia emozionale attraverso il quale il poeta, guidato dalla sua sensibilità e cultura, trasforma immagini, suoni, sentimenti, concetti che fanno parte del suo vissuto in versi che liricamente esprimono questo caleidoscopio di elementi.

Simona, al suo esordio editoriale con la presente raccolta, dimostra di saper riuscire con grande maestria in questo processo: nelle sue liriche l’elemento musicale, pittorico, emozionale e linguistico compenetrandosi danno vita ad una forma poetica ben costruita all’interno della quale l’io poetante si muove in una continua tensione dialogica alla ricerca di un “tu”, individuato di volta in volta nella persona amata, nelle persone care e nella natura, con il quale aspira a congiungersi formando un “noi” in grado di porre dei punti fermi nella volatilità dei sentimenti e delle vicende esistenziali.

In questo anelito i versi di Simona si susseguono secondo un ritmo musicale ora fluido ora sincopato, espressione dei cambiamenti umorali e situazionali che fanno da cornice spazio- temporale alle sue composizioni come, ad esempio, nel bellissimo incipit della lirica Ritorno

L’entusiasmo//abbagliante//dei sorrisi estivi//lascia il passo//all’autunno//dai lenti ritorni.//Ritrovarsi,//presto,//prima che il giorno//si affacci assonnato,//che la pelle//si scopra gelata//e non abbia di che nutrirsi.

Come pietre preziose incastonate in dei gioielli alcune poesie contengono immagini che nella loro enfasi lirica svelano la vena filosofica di Simona, per la verità presente nell’intera raccolta: un esempio per tutti lo ritroviamo nei versi finali della poesia “Occhi salvia e zafferano” dalla quale la silloge prende il suo nome

Ogni tramonto//mi veste,//e mi consola,//con l’unica promessa//mai delusa://domattina sarà luce,//aurora vellutata,//miracolo che sorge//e ancora// mi commuove

L’architettura complessiva dell’intera raccolta ruota, a cominciare dal titolo, intorno allo speciale e profondo rapporto empatico di Simona con la natura in tutte le sue manifestazioni non umane alla quale lei sente, con tutta se stessa, di appartenere e che nella sua visione lirica appare vivente, panica, e rappresenta l’ elemento essenziale nel quale si collocano le coordinate spaziali e temporali all’interno delle quali si dipana l’intero ordito del suo universo poetico: non a caso il succedersi delle poesie è distribuito in base alle stagioni ed ai mesi che compongono l’anno e man mano che ci si addentra nella lettura dei testi si ha la sensazione di rivivere atmosfere ispirate dai quadri degli artisti romantici o impressionisti (una poesia è dedicata al famoso dipinto del pittore romantico Kaspar Friedrich “Viandante sul mare di nebbia”) e s’incontrano paesaggi naturali nei quali piante, fiori, frutti, spezie, animali, eventi atmosferici interagiscono, a volte antropomorficamente, con le vicende di vita dell’autrice: ancora un esempio tratto dalla poesia Piovono parole

Piovono parole//sull’asfalto aspro.//Si cerchiano//le pozzanghere,//ruggisce il cielo.//Nell’aria, profumo//di terra bagnata,//di vita sbocciata,//la mente chiama,//e fugge,//tra le grondaie e i tetti del cuore.

Con questa silloge, infine, l’autrice Simona Volpe si rivela al lettore in quanto donna attraverso il prisma dei sentimenti, delle passioni, delle attese e delle paure che ne segnano l’ esistenza, mettendosi a nudo, nella sua fragilità ma anche nella sua forza indomita, con un linguaggio ricercato e assolutamente sincero senza, tuttavia, mai cedere ad artifici verbali, non importa se retorici o autocelebrativi , cosicché al termine del suo viaggio il lettore può dire, ricordando la famosa frase di Pirandello, di aver incontrato nelle poesie di Simona un volto e non una maschera.

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