Myriam De Luca recensisce "La Casa dell'Ammiraglio" di Tommaso Romano (CulturelitEdizioni)

 
 
La Casa dell’Ammiraglio è l’ennesimo capolavoro letterario di Tommaso Romano,
ascrivibile a un genere di narrativa psicologica ad alto tasso evocativo ed emozionale.
Dalla prima all’ultima pagina, l’introspezione e la condizione della mente sono la cifra stilistica di questo romanzo.
Uno stupore sincero per la capacità dell’autore di entrare dentro “le cose”, di non cedere alla perversione dell’infelicità, di camminare alto sulla mediocrità di certe persone, di costruire scale davanti a mura altissime.
 
L’Ammiraglio abita tre case diverse:
 
La casa familiare che condivide con la moglie.
 
La casa di campagna che considera un “naturale prolungamento della casa madre" dove si annoda con lo spirito della natura e con quello dell’amatissimo padre che, indomito, aleggia tra vigneti e foraggere.
 
La casa dell’anima, all’interno di un palazzetto Liberty vicino l’hotel des Palmes su cui ruota la narrazione.
 
“La casa dell’anima era, pertanto, a volte custodita come la dimora delle mirabilie nel fluire dell’apparenza di visite furtive o di ritorni ripetuti e spesso insensati, altre rare volte vissuta come la casa della devozione sincera, dell’autentica dedizione, della leale passione.”
 
In questo luogo, sacro e inviolabile, l’anima dell’Ammiraglio pulsa di vita, si nutre di affetti e calore, di ricordi e di pace.
Uno spazio psichico circoscritto, dove trovare un equilibrio fra il mondo interno e quello esterno.
Una sorta di centro spirituale in strettissimo rapporto con tutti gli oggetti presenti nella casa da lui collezionati nel corso della sua esistenza.
 
“D’altronde, l’Ammiraglio, quando non aveva né gradi né mostrine e neppure decorazioni al merito, poco più che adolescente aveva segnato il suo personale destino con l’acquisto di una potiche in vetro squisitamente Liberty, comperata per poche lire al mercato delle pulci della sua città sempre molto amata, malgrado la crescente volgarità.”
 
Fin da fanciullo, infatti, egli nutre un singolare interesse per il bello e una straordinaria passione nel ricercare oggetti rari, insoliti ed eleganti.
Un’anomala occupazione per un ragazzo di quell’età che diverrà un destino da cui non potrà più sottrarsi.
Attraverso ogni porcellana, ogni quadro, ogni statua si apre un varco verso l’assoluto, tra il divenire e l’eternità.
L’effimero nella bellezza delle cose si fa eterno e si manifesta l’invisibile.
 
“Fra poltrone, merletti e sofà con un bicchiere colmo a metà di Porto da centellinare d’inverno, lo zammut da versare copioso sull’acqua fredda d’estate, un sigaro toscano o una pipa, un libro amico o un giornale da consumare, l’Ammiraglio passava le giornate e gli anni si cumulavano fra i tanti abitanti silenziosi di quella magione amata, mai tradita.”
 
In un totale e dolce abbandono, l’Ammiraglio si gode il privilegio di sentire bellezza in un tempo che rimane immutato e, sprofondando nella poltrona materna foderata di rosso carminio, si lascia abbracciare dal mare calmo della sua anima libera.
 
“La Casa dell’Ammiraglio” in versi
 
Mi immergo nella profonda
e viva bellezza degli oggetti
della mia casa
Essi si fanno padre, madre
diventano il fanciullo che ero
la voglia di andare e di tornare
Sono il passato, il presente,
il futuro da lasciare a chi
vorrà ricordarmi
Orfani o morti
sarebbero stati
se non li avessi salvati
da mercanti e rigattieri
Gioiscono e piangono
insieme a me
Muti mi amano
con la sola pretesa di essere
ogni tanto spolverati
al contrario di tanti stolti che
con untuose e rumorose parole
mi adulano per sfruttare
il mio talento
Provvida la loro presenza
quando la tirannia del tempo
mi ha portato via la giovinezza,
gli amici cari, il mio fedele cane,
il senso del giorno e della notte
Efficaci antidoti ai rigurgiti di vita,
al brutto e all’ingiusto,
ai torti e alle accuse,
all’invidia e al rancore
E tra queste “cose”
e in ciò che scrivo nessuno
potrà mai uccidermi
né il tempo, né la morte
decretare la mia fine
 
 
 
 
 
 
 
 
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