LE COSE

 (...)    Come per incanto, le Cose, queste risvegliate Presenze proferiscono suoni impercettibili che si elevano al di sopra della loro considerevole massa che gremisce i luoghi del mondo. Al di là dell’oblio si è aperta nelle Cose la soglia della coscienza, e ora esse vedono, senza occhi, dentro la loro notte. Vedono. E anelano la luce, sollevate un poco dalle fatiche del mondo.

      I Personaggi le udirono e ascoltarono il loro segreto. Appresero che la loro venuta nel mondo fu una penosa caduta; che erano state felici nel luogo dell’origine, quando non avevano ancora un corpo ed erano solo un sogno del loro creatore, di quel dio che la loro sorella Clessidra, vecchia saggia e amante del tempo, aveva chiamato «uomo». E ora, invece, erano infelici nel mondo, dove giacciono e sono natura morta. Ora servitrici accondiscendenti e devote, sottomesse alla bontà e alla necessità dell’uso; ora mute presenze, abusate, rese schiave dall’uso indiscriminato e scriteriato. Ma ciò che più le addolora è il divenire preda dell’oblio, è quel loro lento impallidire nell’uso quotidiano fino alla completa e inesorabile sparizione, dimenticate dal loro dio, che le distrugge o le mortifica facendone mercato, merci vendute e comprate, abusate dal denaro. E quando sono usate contro la loro natura, fuori cioè dall’uso cui sono state destinate, o nascono già strumenti di violenza e di morte, molto allora soffrono per queste deviazioni indesiderate. E qui le Cose manifestarono tutto il loro disappunto e il loro dolore per questo grande torto subìto fin dai tempi della Clava: l’antenata sorella, inconsolabile per il suo uso malvagio che si ripete, ogni volta, attraverso le sue micidiali, terribili e tecnologiche discendenti e che è causa di lutti e di morte violenta, oltre che per le Cose stesse, anche per l’uomo, per questo loro dio sconosciuto, venerato e odiato, al tempo stesso.

 (...) Le Cose non avevano speranza di lasciare la loro scorza. Nonostante la loro sapienza, e nonostante fossero nel mondo, mai avrebbero visto la sua luce, né quel dio verso il quale provavano un sentimento di amore e di odio perché un dio creatore e distruttore, un dio che sfruttava e dimenticava le sue creature che pure lo servivano fedelmente e alle quali non aveva dato occhi e nemmeno braccia e né gambe, negando loro il movimento e così ogni possibilità di fuga, di salvezza! (...) Le Cose avevano certamente ragione di lamentarsi, ma erano Cose, ed era già tanto che avessero la capacità di pensare, di comunicare! Per il resto, erano anime morte, natura morta. Sì, anche di questo erano coscienti quelle infelici, quelle povere cieche e immobili sognatrici, condannate a sentire la vita, a coglierne il respiro e il rumore, ad avvertire soprattutto la bellezza della natura, partecipata loro segretamente dalla natura stessa di cui erano fatte. E per questo, soprattutto, infelici … per non poterne godere con gli occhi. Sì. Anime morte, sepolte nel buco nero dell’uso, nell’assoluta immobilità e nell’oblio in cui ora navigavano in cerca della luce che avevano ricevuto. Quella luce della vita e del mondo che si accendeva invisibilmente, improvvisamente, in qualche atomo segreto della loro materia.

 

(da "H-OMBRE-S", romanzo)

 

 

 

 

 

 

 

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