La quadriga dei leone

Francesco Messina, bozzetto in gesso della quadriga per il Palazzo dei Congressi a Roma

Due grandi artisti del “secolo breve” lavorarono a Roma in sinergia nel ‘40, erano l’architetto Adalberto Libera, asburgico trentino e Francesco Messina siciliano di Linguaglossa, paese etneo. L’opera era l’ edificando palazzo dei Ricevimenti e dei Congressiall’EUR, progettato da Libera, iniziato nel 1939, lavori in seguito interrotti per le vicende della guerra, venne ultimato solo nel 1954. Il quartiere dove sorgeva, era la New Rome, quella moderna, razionalista, con respiro d’aria fino al mare, un’area vasta scelta per ospitarvi L’E42, l’Esposizione Universale di Roma in programma nel 1942, mai partorita causa belli. L’edificio è una sintesi alchemica tra il neoclassicismo, teorizzato da Marcello Piacentini, con le idee rivoluzionarie del razionalismo italiano (MIAR) che aveva avuto in  Libera, Pagano, Terragni le sue punte di diamante. L’organismo congressuale è l’incastro ortogonale didue masse, un grande parallelepipedo al piano terra affacciato sull’attuale piazza Kennedy con un porticato, sul modello d’una basilica forense, più un cubo innestato sul primo dal quale s’erge in altezzaper ben 27 m e coperto da una volta a crociera ribassata, leggero rigonfiamento d’una vela, poggiata ai quattro vertici, lasciando altrettanti spicchi vetrati al fluire della luce.

La volta scarica su due travi reticolari in ferro ortogonali tra loro lungo le diagonali del quadrato, il resto della struttura è in cemento armato rivestito all’esterno da una pietra calcarea storica nell’ars costruendi romana: il travertino, lo stesso materiale dell’Anfiteatro Flavio. Sulla nuda facciata del prospetto principale, Libera fece realizzare una grande mensola a sbalzo, simile a un trampolino,sovrastante il nartece, struttura ideata peraccogliere la “ciliegina” di Messina, il gruppo statuario in bronzo d’ una quadriga che incedevatirando col  carro la figura alata della Vittoria fascista. L’incarico fu affidato allo scultore nel 1940, anno fatidico per l’entrata in guerra dell’Italia a fianco dell’ Allemagna; il clima e le sorti del conflitto costrinsero a un rapido raffreddamento delle opere cantierate quanto delle commesse, la quadriga non salì mai sul podio, anzi di lei si persero le tracce, la mensola restò lassù, in silenzio, in attesa.

Francesco Messina era nato il 15 dicembre del 1900 da una famiglia più che povera tanto che, agli inizi dell’anno che verrà, papà Angelo, di professione muratore a giornata, decise di tentare l’America portandosi moglie e figlio. Il bastimento che da Genova raccoglieva le speranze sulla rotta atlantica non lo avrebbero mai preso, forse per semplici ragioni di mancata pecunia per pagarsi l’imbarco.Fatto sta che la città ligure fu la sua nutrice, presa la terza elementare, eccolo garzone di bottega nel laboratorio di marmi Rigacci e Callegari, lì s’impara a scalpellar la pietra, si creano anche statue per il cimitero monumentale di Staglieno La sua sembra una storia scritta da C. Dickens, dalla miseria tra polveri di marmo e carrugi fino al successo vero partendo dai suoi verdi sedici anni, età della sua “prima” alla Società genovese Promotrice delle Belle Arti, ma di quelle opere niente ci rimane, insoddisfatto decise di ucciderle, come Saturno con ipropri figli.

Palazzo dei Ricevimenti e Congressi all’EUR, notare la mensola

Predisposta da A. Libera per ospitare la quadriga della Vittoria fascista

I profumi di limone della sua Sicilia restarono desideri dell’olfatto, delle pendici laviche del più maestoso vulcano d’Europa solo i racconti dei suoi genitori, Catania era un Eldorado ricostruito a frammenti nelle mani, la culla della Magna Grecia un nido nel quale radicarsi. Di giorno a lavorar duro per il pane, la sera studia alla Confederazione Operaiaper darsi un’istruzione e poi, più in là nel ‘19, quattro chiacchiere con E. Montale appassionato di musica, la più immediata delle arti per Kandinskij, alla quale pian piano anche lui s’ accostava. Fatal gli fu al core un posto al Politeama, coupe de foudreper Bianca Fochessati Clerici donna sposata con un bolzo, lei è più grande di Francesco, ne nascerà un feuilleton da romanzo d’ Ottocento, le sospirate nozze nel ’44 sotto le bombe della guerra. In sintesi dalla Biennale di Napoli del ’21, per Messina, fu un susseguirsi di riconoscimenti, mostre, successi con l’applauso convinto della vergine rossa Margherita Sarfatti, gli spalancò le porte della prima mostra diNovecento italiano nel ‘26. Poi il trasferimento nella Milano frizzante degli anni ’30, l’amicizia con un genio burlone come Arturo Martini, per il quale però la scultura classica non aveva senso nel contesto contemporaneo, anzi forse proprio la scultura gli pareva non aver senso. Messina restò fedele alla figura, alle dritte dell’amico Carrà, all’insegnamento di Wildt, prendendone la cattedra all’ Accademia di Brera con grande scorno dello stesso Martini, era il 1934. Poi s’arrampicò ancor più su fino alla caldera del vulcano, nel ’36, eccolo Direttore della stessa Accademia e durante il conflitto, alla vigilia della vergognosa resa, gli arriva il titolo di Accademico d’Italia. Lasciamo stare il resto con la damnatio memoriae del dopoguerra e torniamo alla quadriga scomparsa chissà dove, se n’erano ritrovati solo foto di bozzetti e schizzi. In soccorso dei ricercatori venne casualmente un racconto scritto dal partigiano Piero Chiara, nell’ ambientazione dello scritto c’era un indizio su quella quadriga sistemata nei giardini d’una domus romana. Il “giallo” trovò il suo finale nella villa della famiglia Leone a le Rughe. I quattro cavalli in bronzo alti più di due metri erano lì, incedevano solenni sul prato inglese della ricca residenza. Cos’era accaduto? Il gruppo scultoreo non era stato mai fuso, c’erano solo i bozzetti in gesso dei cavalli, Giovanni Leone, futuro Presidente della Repubblica, in amicizia con Messina, glieli aveva acquistati per poi mandarli in fonderia, trasferendo poi i bronzi a bucolico ornamento della propria dimora romana. Per etica professionale i gessi erano stati poi distrutti alla presenza del loro granni Patri scultore. 

Emanuele Casalena

 

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