“La presenza degli Ebrei a Palermo e in Sicilia dalle origini fino al secondo allontanamento dall’isola nel 1747” di Francesco Paolo Pasanisi

Dalle origini agli Arabi
 
La presenza degli Ebrei a Palermo ed in Sicilia risale al I secolo a.C. Anche se alcuni secoli prima diversi Israeliti erano giunti nella nostra isola al seguito di commercianti e navigatori Fenici, Egiziani e Greci. Alcuni pervennero in maniera del tutto autonoma. Altri giunsero con Annibale o come profughi a causa delle conquiste di Scipione l’Asiatico.
Con la presa di Gerusalemme e la profanazione del Tempio da parte di Gneo Pompeo Magno nel 59 a.C. e la successiva conquista della città, ebbe inizio la prima diaspora del popolo ebraico. Verso il 50 d. C. l’imperatore Claudio li allontanò dalla città di Roma ( Atti – 18.2 ). Ma l’esodo generale di massa si verificò nel 70 d.C., alla fine di  quattro mesi di assedio, quando Tito, figlio dell’imperatore Vespasiano, espugnò Gerusalemme e distrusse il Tempio. Proprio nei giorni in cui i pellegrini celebravano la festa degli Azzimi. Lo storico giudeo Flavio Giuseppe ( 37 – 100 d.C. ) nella “Guerra Giudaica” ( VI, 9.3 ) narra che nei cinque anni di conflitto vennero uccisi 1.100.000 Ebrei e 97.000 furono tradotti prigionieri in Italia e Sicilia. Alcuni raggiunsero perfino la città indiana di Cochin nell’odierno Kerala, regione dove si era trasferito l’apostolo S. Tommaso per la sua attività missionaria. Zona abitata già da numerosi Israeliti.
Altri arrivi si verificarono in Sicilia con la diaspora ellenistica, molto probabilmente, subito dopo le altre due guerre giudaiche del 115 - 117 con Traiano e del 132 - 135 sotto l’imperatore Adriano che volle cancellare tutte le vestigia ebraiche. Egli cercò di abolire anche la circoncisione ( Brit Milah ). Le ribellioni si verificarono in Cirenaica, Egitto e Cipro. Queste produssero 580.000 morti. La diaspora continuò  lentamente nel tempo.
Le relazioni fra Sinagoga e Chiesa, come afferma M. Simon, nella difficile età fra Adriano e Valentiniano III, erano incentrate su una lotta dottrinale fra le due religioni. Ciò lo si riscontra, alle origini, con il primo concilio di Gerusalemme, nel 50 d.C., che pose S. Pietro e S. Paolo su posizioni contrapposte sul Giudaismo, ma poi superate per l’unità e l’amore verso la Chiesa.
La ricostruzione storica del passaggio nell’isola spesse volte è complessa, poiché scarseggiano testi epigrafici in lingua ebraica. Anche se l’elemento giudaico nella Sicilia imperiale è variamente documentato da testi archeologici e reperti che attestano la presenza ebraica a Siracusa, Noto-Vendicari, Girgenti, Catania, Randazzo, Chiaramonte Gulfi e Acireale.
Questi gruppi etnicamente distintisi caratterizzavano esclusivamente per l’onomastica o per i simboli della menorah ( candelabro a sette braccia ), la palma, il serpente o la chanukkah o hannukkah ( candelabro a nove braccia ). Non si distinguevano culturalmente per la lingua, poiché era in uso il latino e il greco. Anche perché spesse volte i prigionieri di guerra o gli schiavi, che erano mandati a coltivare i latifondi, se si fossero convertiti avrebbero ottenuto la libertà, quindi si sarebbero assimilati ai latini. Comunque la presenza ebraica sefardita si registrò in quasi tutte le città dell’isola. Il La Lumia afferma che in Sicilia vi era una certa tolleranza in materia di fede, quindi gli Ebrei vi giunsero numerosi. Certo la posizione dell’isola posta al centro del mare Mediterraneo e vicina alla Palestina favoriva questo esodo.
L’imperatore Costantino aveva concesso ai capi delle comunità ebraiche l’immunità degli oneri curiali, però queste vennero abolite, nel 383, dall’imperatore Valentiniano. Immunità riconcesse dal successore Arcadio nel 397.
Sin dall’inizio la convivenza fu quasi sempre pacifica. Solo nel I secolo d.C., a Siracusa, l’unico contrasto che si tramanda, scaturì dall’uccisione del Vescovo Marciano attribuito all’opera di alcuni Ebrei. Ma da quel momento si ebbe un’integrazione progressiva fra i due popoli, anche se i Giudei continuavano a vivere nelle loro comunità, come aveva stabilito la legge di Teodosio del 390. Questa faceva eccezione solo per alcuni armatori di navi. Si ricorda, nello stesso anno, la ribellione degli Ebrei  e degli abitanti di Tessalonica ( Salonicco ) con la conseguente repressione che portò all’uccisione di 7.000 membri di quella ricca collettività. Qualche anno dopo lo stesso imperatore li difese dagli attacchi incendiari alle loro sinagoghe.
Nel 535 Giustiniano con la novella 37 del “Corpus Iuris Civilis”, De Africana Ecclesia, fece trasformare tutte le sinagoghe in chiese. Precedentemente aveva vietato l’uso dell’ebraico nelle sinagoghe. Nel frattempo la Sicilia era stata ceduta dai Vandali agli Ostrogoti. In quell’anno i bizantini riconquistarono Palermo  e nel 554 venne posta in essere nell’isola la Prammatica Sanzione, che estendeva la codificazione del Corpus all’Italia. Quindi anche in Sicilia le sinagoghe subirono la stessa sorte.
Il sommo pontefice Gregorio I fra il 591 e 599 scrisse diverse lettere ad ecclesiastici e prefetti per ricomporre il contenzioso con la comunità ebraica dell’isola per gli espropri delle sinagoghe, loro beni, ornamenti, codici e la restituzione di un chirografo di un debito che già era stato soddisfatto. Questi vennero incitati alla conversione con la promessa della diminuzione del canone da loro dovuto. Interessante la lettera a Vittore, Vescovo di Palermo, con la quale, il papa lo richiamò poiché aveva confiscato una sinagoga per trasformarla in chiesa. ( Nell’aprile del 2000 il documento è stato esposto, durante una mostra, nel chiostro della Magione ).
Nel 878, sotto dominazione araba, si ha notizia della presenza a Palermo di circa 5.000 Giudei. Molti si erano trasferiti nella capitale al seguito dei Saraceni per la gestione dei tributi e dell’amministrazione musulmana. Già nel 887 la comunità  ( Aliama ) era la più numerosa fra tutte quelle italiane. Per distinguersi dagli altri cittadini dovevano portare un turbante ed una cintura gialla. Per poter esercitare il loro culto e conservare le sinagoghe dovevano pagare la gesìa, tributo dovuto per ottenere gli stessi patti che erano stati concessi ai Cristiani. Anche per questi  ultimi i tempi si fecero molto duri. Infatti nel 998 si ricorda a Palermo la circoncisione, attuata con la forza, di numerosissimi giovanetti fedeli a Gesù.
 
 
Normanni, Svevi e Angioini
 
Con l’avvento dei Normanni, nel 1070 col conte Ruggero, gli Ebrei raggiunsero i pieni diritti civili e godevano di maggiori vantaggi giuridici. Il sovrano Ruggero II tentò di convertirli alla religione cristiana. Mentre in tutta Europa venivano perseguitati e cacciati, qui nell’isola si erano inseriti nelle diverse attività produttive. Perciò vivevano una condizione felice, infatti a Palermo raggiunsero il ragguardevole numero di 8.000. Anche se nel 1173 l’ebreo spagnolo Beniamino di  Tudela parla di 1.500. Ciò portò alla conversione di molti Arabi al Giudaismo. Soltanto nel 1113 a Siracusa si verificò un episodio increscioso. Per il venerdì Santo alcuni Ebrei misero in croce un montone e per comando di un certo Tancredi molti di questi vennero giustiziati. Nel 1147 Ruggero conquistò diverse città della Grecia occidentale e  del Peloponneso deportando numerosi Ebrei a Palermo affinché incentivassero il commercio.
La Costituzione normanna proibiva alla comunità ebraica di possedere schiavi Cristiani, così anche quella sveva.
Si ha notizia dal “Codice diplomatico dei Giudei di Palermo” dei fratelli Lagumina che Sicalgaita moglie del duca Roberto ( o Sighelgaita, seconda moglie e principessa longobarda ) “concede ad Alcherio Arcivescovo di Palermo ed ai Canonici della stessa Chiesa dopo la di lei morte le rendite dei Giudei che dimoravano in questa città, serbandone a sé durante vita cinque seste parti”.
 
Con la costituzione del regno svevo la situazione nei confronti della società giudaica non cambiò, anche se con Federico II si profilò una politica ambigua. Infatti nel 1210 questi accordò in perpetuo alla Chiesa di Palermo i Giudei e la tinta ( cioè i diritti che venivano pagati dai tintori ), che già apparteneva alla Regia Dogana.
Nel 1221 proibiva loro di vestirsi alla maniera dei Cristiani e li costrinse a portare una “tau” arancione cucita sulle vesti affinché si distinguessero da questi. L’imperatore tenne fede così alle disposizioni canoniche del concilio di Lione del 1215, inasprendo dunque le deliberazioni.
Nel 1231 concesse loro la pratica dell’usura, che non doveva superare il 10% di interessi. ( Titolo III del I° libro delle Costituzioni. Il controllo della norma venne affidato anche ai Vescovi. Le pene contro i trasgressori erano ben stabilite ). Le gabelle più note erano: la iocularia ( tassa sugli intrattenimenti dei matrimoni degli Ebrei ), quelle sulla carne e sul vino, quest’ultimo prodotto sempre più tassato nei secoli. Nello stesso tempo Federico II aveva riconosciuto la parità dei diritti e dei doveri con i cristiani, anche per il contenzioso di diritto penale, ed erano stati posti sotto la tutela del sovrano, quindi “servi camerae regis”. Tutto questo però costava loro il pagamento di onerosi tributi.  Inoltre dovevano fornire gli stendardi per le navi e le bandiere per le fortificazioni.
Nel periodo federiciano fiorì un circolo di poeti siciliani di origine ebraica. Fra tutti emerse Yaqòb Anatoli ( 1194 - 1256 ), medico e scienziato, famoso per aver diffuso, dopo Maimonide, di scuola aristotelica ( 1135 - 1204 ), la cultura filosofica presso gli Ebrei. Tradusse le opere di filosofia dall’arabo in ebraico. Fu amico di Michele Scoto, il traduttore delle opere di Averroè. Altro poeta amico di Anatoli fu Samuele b. Menahem ( al ) Nafusi.
La presenza ebraica e i rapporti con i siciliani erano molto intensi. I Giudei intrattenevano scambi commerciali con Alessandria di Egitto. Specialmente per i formaggi e il corallo che lo esportavano in India. Gli Ebrei egiziani lavoravano il cotone prodotto in Sicilia. Le navi partivano da Palermo ed impiegavano 13, 29 o 50 giorni.
Essi erano coltivatori di indaco ed henna. Bravissimi tintori, balestrieri, lavoratori del ferro, produttori di miele e a Trapani lavoratori del corallo. ( Questi avevano considerato il corallo sempre in senso trascendentale. Di corallo erano gli indicatori per la lettura del Pentateuco, con il manico d’argento). Anche i grani dei rosari erano di corallo e spessissime volte in oriente erano usati in sostituzione della moneta. A Marsala producevano il salnitro. Molti Ebrei si incontrano nella filiera della canna da zucchero. ( A Palermo la “cannamela” la si coltivava fuori porta Carini, a Falsomiele e Maredolce ). Alcuni di questi erano piccoli e medi imprenditori.
Nel 1239, da Cremona, Federico II  concesse loro, tramite Oberto Falla ( Roberto Fallamonica ), monaco secreto di Palermo di poter lavorare nel “dattileto regio della Favara”. Principalmente prestarono l’opera tutti quelli che erano venuti ad abitare a Palermo dal Marocco. Poiché ritenuti i più esperti, in quanto sfruttavano le palme per 5/10 anni. Questi poterono costruire una sinagoga e ricostruire la vecchia, fuori le mura. Ma non gli venne concesso il permesso di edificarne altre. Essi andarono ad abitare nel secondo quartiere ebraico fuori dal Cassaro, denominato del Garbo
( Marocco), che corrisponde alle strade odierne dei Lattarini, vicolo Corrieri e via Calascibetta. Il cimitero era allocato fuori porta Termini.
Il primo rione ebraico era lambito dal Kemonia ed era costituito: da una sinagoga, scuole, 44 abitazioni, corte rabbinica, ospedale, bagno rituale e macello ( sito in piazza S. Cecilia ), che era al di là della via Ponticello. Comprendeva anche via Giardinaccio, via Divisi, piazza 40 martiri al Casalotto, via Calderai, via S. Cristoforo, via Mastrangelo, che separava i due rioni Meschita e Guzzetta. Al ghetto si accedeva dalla porta di ferro o Judaica ( nei pressi della chiesa di S. Elia, via Schioppettieri ex Balestrieri ).
Nel 1247, da Parma, l’imperatore Federico confermò i privilegi concessi  nel 1210 alla Chiesa di Palermo per la gestione di alcune gabelle inerenti alla Giudecca. L’atto venne scritto dal poeta Pier delle Vigne.
 
Il francese Simone de Brion, futuro papa Martino IV, aveva guidato la delegazione che nel 1264 aveva eletto Carlo d'Angiò’ re di Napoli e della Sicilia. A sua volta il pontefice venne designato con i voti determinanti dei delegati francesi. Acceso sostenitore degli angioini nominò Carlo d’Angiò senatore di Roma. Questi lo aiuterà nella conquista della Romagna e nella lotta contro l’imperatore d’oriente Michele Paleologo. Nel 1282 nella guerra del Vespro i siciliani accolsero gli aragonesi come i liberatori. Due anni dopo la flotta angioina venne sconfitta a Malta e subito dopo Martino IV morirà. ( Dante lo collocherà nel girone dei golosi nel XXIV canto del Purgatorio ).
Con la dominazione degli angioini, stretti alleati della chiesa, vi furono dei mutamenti fra governo e comunità ebraica. Diminuì la precedente tolleranza ed ebbero inizio le predicazioni forzate dei francescani ( precedentemente cacciati dall’isola da Federico II a causa della scomunica infertagli dal papa ) e i domenicani ( dal latino Domini canes chiamati perciò cani del Signore. Ordine dei Frati Predicatori, sotto la Regola di S. Agostino ) che facevano a gara nell’opera di “apostolato” per convertire gli Ebrei durante la Settimana Santa. Nel 1281 Martino IV emanò una bolla a favore di questi con la quale vietava i battesimi forzati.
Il Venerdì Santo era divenuto sempre più tumultuoso, anche perché i Giudei venivano spesso accusati di Deicidio, ma maggiormente il popolo presupponeva che questi effettuassero omicidi rituali per dar luogo alla costituzione dei pani azzimi. Gli Ebrei negavano sempre, anche quelli che si erano convertiti alla religione cattolica che venivano interrogati sull’argomento. Il Pentateuco e la Halakhà ( precetti ) vietavano simili pratiche. ( Interessante a riguardo il volume di V. Manzini “L’omicidio rituale e i sacrifici umani”, F.lli Bocca, Torino, 1925/1930 con il quale si scagionano gli Ebrei dall’accusa di praticare gli infanticidi rituali. Nello stesso tempo si assolve il cattolicesimo dall’infamante colpa di aver favorito la diffusione di questa accusa ).
A Marsala per S. Stefano era in uso di far uscire gli Ebrei dalle case per tirargli le pietre lungo le vie.
Tutto ciò fu propedeutico, con la concomitanza di altre cause di carattere economico e finanziario, alle rivolte antiebraiche in tutta la Sicilia fra il XIV e XV secolo.
Comunque con gli angioini si verificò una attenta gestione economica-politica della Giudecca. Ne è conferma il regesto dell’atto redatto a Palermo il 23 dicembre del 1270, indizione XIV, col quale “Re Carlo d’Angiò approva l’elezione di Maborach Faddalchassem, per esercitare l’ufficio del presbiterato, della scannatoria nel macello, e del tabellionato dei Giudei di Palermo e del Garbo”.
 ( XXVI ).
 
 
Aragonesi e Spagnoli
 
Dopo la lunga e dolorosa guerra del Vespro conclusasi nel 1282 gli Aragonesi conquistarono la Sicilia e l’Italia meridionale. L’isola così si separava da Napoli e si costituiva in Regno indipendente. Le condizioni di vita della comunità  non cambiarono, infatti vennero mantenute le norme che tutelavano gli Ebrei, in quanto servitori della Regia Camera. Però nel  1312 Federico III ordinò di separare le abitazioni di Cristiani ed Ebrei, anche se non erano obbligati ad abitare fuori le mura, anzi potevano alloggiare anche sul Cassaro o all’Albergheria. Lo stesso sovrano, con lettera patente del 1366, obbligò gli Ebrei di portare una rotella di panno rosso cucita sul petto per differenziarsi dagli altri abitanti, pena di un mese di carcere per i trasgressori ( pena ridotta a 15 giorni da re Martino ). Successivamente anche re Alfonso fu più misericordioso sostenendo che non si dovevano importunare le donne con la scusa della rotella e la pena divenne pecuniaria. A Palermo vi era il privilegio di portarla più piccola. Le famiglie nobili dei Samuele e dei Sala erano esenti dal portarla. Così anche i negozi dovevano esporre quel segno per  essere distinguibili, per ordine di re Alfonso del 1435. In questo modo si confermavano le Costituzioni concesse nella città di Messina il 15 ottobre del 1310. I Giudei erano obbligati  anche a fornire di “robba e di letti” gli ufficiali della Città.
Con Pietro II di Aragona si mantennero le norme che tutelavano questa popolazione. A conferma il sovrano emanò nell’aprile del 1339 un ordine categorico di non recare alcun danno ai Giudei. Il re proibì all’Arcivescovo di Palermo di intromettersi nelle cause civili degli Ebrei e di chiedere loro dei servizi indebiti. Successivamente si abolirono anche i battesimi forzati, come già affermato dalla bolla papale del 1278.
Nel 1396 comparve la figura del Dienchelele, giudice universale ebreo che aveva la giurisdizione su tutta la comunità quindi anche sull’elezione dei Proti. Funzione affidata  50 anni dopo al Maestro Secreto e successivamente al Consiglio Generale Ebraico. Qualche altro storico afferma che questa figura venne istituita da re Martino nel 1405. Le cariche dei magistrati erano svariate. I Proti, in numero di 12,  amministravano la Comunità. Questi eletti non governavano insieme ma ogni tre mesi si alternavano tre rappresentanti della Comunità. I Sindaci difendevano i diritti della comunità e del pubblico, fungevano da ambasciatori presso il sovrano. I Sacerdoti badavano all’osservanza della legge mosaica e i Rabbini decidevano sui dubbi riguardanti le cose lecite e non. Comunque in Sicilia l’osservanza della Torà non era rigida, la comunità era incline a posizioni più liberali, la regola si basava sulla dottrina di Maimonide. 
Il periodo migliore per gli Ebrei fu senz’altro quello sotto i governi di Martino il Giovane  ( 1401 - 1409 ) e suo padre Martino il Vecchio ( 1409 - 1410 ). Martino il Giovane nel 1403 affrancò dai Turchi gli Ebrei di Gozo condotti schiavi molti anni prima in Barberia. Molti furono i vantaggi ottenuti dalla comunità, grazie al re Martino II, anche perché il sovrano ricevette un prestito dagli Ebrei affinché portasse la guerra alla Sardegna. Aiuti dati anche dai mercanti cristiani o da banchieri ( Secrezia di Palermo vol. 38, f. 15, del 25 maggio 1408 ). Due anni prima Martino aveva confermato tutti i privilegi della giudaica di Palermo concedendole una grande remissione dei delitti ( Catania 26.7.1406 ). Lo stesso re il 5 settembre del 1407 da Siracusa < conferma ai Giudei il diritto di potere avere schiavi infedeli e da le norme della liberazione di essi, quando vogliono abbracciare la religione cristiana>. Nel 1435 l’infante Pietro ordinò che i Giudei avessero macelli separati dai Cristiani e questi non potevano acquistare carne: i gestori dovevano esporre la rotella rossa per tale distinzione. ( Questo atto è in esposizione nella sala Almeyda dell’Archivio Storico Siciliano ). Sotto Alfonso il Magnanimo ( 1416 - 1458 ) vennero sempre tutelati. Considerati come appartenenti ad una comunità straniera non avendo però gli stessi diritti dei siciliani. Nel 1453 venne proibito loro di svolgere alcune funzioni, fra cui quella di alcoziro cioè di “sbirro” o meglio di investigatore giudiziario.
Nonostante un certo clima di tolleranza, supportato anche da regole ben precise, numerosissimi furono i tumulti in tutta la Sicilia. Eventi causati da incomprensioni, divisioni, pregiudizi, consuetudini ed antigiudaismo che si basava sulla concezione che il popolo ebraico veniva considerato deicida e si rintracciava nel Talmud l’origine dell’odio nei confronti dei cristiani. Tutte queste considerazioni  erano alla base di accadimenti violenti. Una delle motivazioni più subdola fu l’accusa di “nefandum” ( sodomia ).
A Palermo si ricorda la sommossa del 1339 che causò molti morti fra gli Ebrei con la conseguente distruzione dei loro beni. ( Cfr. H. Bresc “Arabi per lingua, ebrei per religione” ). Seguì quella di Messina del 1347, scaturita dall’uccisione di un fanciullo che cantava la Salve Regina davanti alla sinagoga. Per questo messo in croce il venerdì Santo e poi buttato in un pozzo. Vennero incolpati degli Ebrei che furono condannati a morte e le loro teste esposte a monito in pubblico. A ricordo dell’accaduto venne posto un cartiglio sulla facciata della cattedrale, a sinistra della porta centrale. Poi  altre sommosse si verificarono a Trapani nel 1373 e nel 1392 in quasi tutta l’isola ( a Palermo atti di intolleranza si verificarono per il venerdì Santo. Federico III richiamò in vigore la Provisione di re Pietro II dell’aprile 1339, con l’ordine categorico di non arrecare danno agli Ebrei ), a S. Giuliano ( Erice ) venne decimata la comunità come nel 1278, a Siracusa si registrò un altro eccidio. Nel 1413 toccò la città di Polizzi. Nel 1415 vennero espulsi dalla città di Vizzini nonostante il divieto della regina Bianca che “inculca a tutti gli ufficiali di Vizzini della Camera Reginale, di non recar molestia a quei Giudei e di consegnare ai proti e maggiorenti la lettera presente” Lentini, 3 maggio, 1415, Ind. VIII. Nel 1455  il papa Callisto III inviò in Sicilia il predicatore dei frati minori Lorenzo Palermitano. Una rivolta nello stesso anno scoppiò  a Taormina con grande spargimento di sangue e la distruzione della sinagoga. Ad Agrigento nel 1462 vennero assaltate delle abitazioni e date alle fiamme, seguì un processo per porre fine a queste vessazioni. A Palermo si riaprì un’altra disputa fra cristiani e giudei e la controversia terminò con la messa a sacco dei loro ghetti anche in altre città. Diversi giudei vennero condannati a morte e i colpevoli castigati.
L’anno cruciale fu il 1474, in Europa si ebbero le persecuzioni in Germania e Spagna. ( Da non dimenticare quelle del 1348 durante la peste: in Germania vennero sterminate 350 comunità, nello stesso anno vessazioni si verificarono in Polonia, Svizzera e Provenza ). Nel 1389 si perpetrò a Praga la famosa strage di Pasqua  con l’uccisione di più di 3.000 giudei. A Barcellona due anni dopo venne assaltato il quartiere ebraico. Furono uccisi circa 300 ebrei. Le cinque sinagoghe e tutte le attività della comunità divennero proprietà del re.
Tornando al 1474 in Sicilia si verificarono misfatti a Sciacca, S. Giuliano e Modica. Ma sarà quest’ultima  città ad avere circa 600 morti. Il viceré attuò la repressione e condannò la città a pagare 7.000 fiorini per il risarcimento del pogrom.
A Racalmuto venne ucciso il giudice Sadia di Palermo. A questo malcapitato ebreo gli sottrassero libri e scritture e gli rubarono 150 pezzi d’oro, che li aveva cuciti dentro  u “gippuni” ( ippuni o sottana o giubbetto di contadino ). Gli ruppero i denti, lo gettarono in una fossa coprendolo con pietre e paglia dandogli fuoco. I colpevoli successivamente vennero puniti. L’anno successivo dei tumulti si verificarono a Palermo, Augusta, Buccheri, qui i Giudei vennero bruciati.  Solo a Noto si contarono 600 morti.
A Palermo furono condannati degli ebrei al rogo “rei” di aver diffuso dei libri contro il Cristianesimo.
A Trapani scoppiarono dei moti nel 1480. L’anno seguente toccò a Mineo. Nel 1486 - 87 a Sciacca, Augusta, Messina, Caltagirone ( già scoppiati nel 1475 ) e Siracusa. Per finire nel 1491 a Sciacca, Caltagirone e Castiglione, qui venne ucciso un rabbino durante le rogazioni primaverili, “reo” di aver lanciato un sasso e rotto un braccio ad un crocifisso. Ogni pretesto era buono per le persecuzioni.
In questo squarcio di secolo diversi ebrei tentarono di allontanarsi dal Regno per andare nel Levante. Si ricorda l’episodio dell’aprile del 1455 quando il presidente del Regno Simone de Bononia ordinò di imprigionare tutti i Giudei che avevano tentato la fuga con una nave di Burgos. Vennero confiscati loro i beni e la roba a vantaggio della Reale Corte. L’ultimo tumulto che si registrò a Palermo fu quello della quaresima, nel giorno del 7 marzo del 1516 raccontatoci da Tommaso Fazello presente all’evento. Durante la predica del Venerdì Santo nella chiesa di S. Francesco di Assisi ad opera di fra Girolamo Veronese Barbato dell’ordine degli eremitani, omelia sui marrani, gli ebrei convertiti che segretamente erano tornati al giudaismo. In quegli anni l’inquisitore fra i diversi castighi perpetrati nei confronti degli ebrei diede loro la penitenza di portare un vestito di colore verde con una croce rossa sul petto. Il frate affermava che ciò era un sacrilegio, un fatto indegno poiché erano stati gli ebrei a mettere il Cristo in croce, quindi non avrebbero potuto portare quel simbolo. Il popolo venne incitato a togliere ai malcapitati le vesti di dosso e stracciarle. Così alla fine della celebrazione i fedeli si rivolsero contro i malcapitati per tutta la città di Palermo.  Lo stesso giorno era scoppiata la rivolta contro il viceré Hugo de Moncada per i motivi relativi alla successione al trono di Carlo V d’Austria.
 
A Palermo nel 1467 venne ultimata la sinagoga più bella d’Europa, di forma quadrata.  La comunità era la più numerosa fra tutte le città d’Italia. Questa sorse  al posto della moschea di Ibn Siqlab. Oggi in quell’area sorge la chiesa di S. Nicolò da Tolentino e l’Archivio del Comune di Palermo. La descrive in modo eccellente il rabbino Obadiah di Bertinoro in una lettera al padre. Il tempio non aveva pari nel mondo, era circondato da viti, il vestibolo aveva tre ingressi, al centro era situata una grande fontana. Numerose panchine davano conforto ai visitatori, esse formavano l’esedra del sigillo di Salomone. Il santuario era posto verso oriente con due porte e due uomini a guardia. Gli Ebrei palermitani deponevano i libri della Legge all’interno in appositi spazi e non nell’arca come da consuetudine e cantavano i Salmi. Alcune stanze erano preposte per ospitare gli stranieri e per ospedale. Interessante rimane la vasca per la purificazione, mikveh o mikvah. Qui avveniva il rito della tevilah o bagno rituale per cancellare i peccati. Sia donne che uomini si sottoponevano alla procedura. Le ragioni erano varie: per la conversione all’Ebraismo, dopo il parto ( niddah ) o le mestruazioni, dopo le attività sessuali o le emissioni seminali notturne. Questi erano alcuni motivi ma il tutto era regolamentato dal Levitico 15 ( 1 - 33 ). Nel Santo dei Santi alla sinistra di chi entrava si ammirava il candelabro a sette braccia, menorah, ed un tavolo in legno di acacia ricoperto d’oro per accogliere i pani di proposizione, della presenza o dell’offerta.
Nel 1489 i deputati di tutte le giudecche siciliane donarono a Ferdinando di Aragona 1.000 onze per l’impresa di Granata e 1.000 fiorini al viceré Ferrando de Acugna. Quest’ultimo non accettò la donazione e trasferì la somma al sovrano.
Ma i tempi tristi si avvicinarono e così si giunse all’espulsione dall’isola del 1492. Dopo la conquista di Granada che diede maggior potere al sovrano spagnolo, poiché aveva dei grossi limiti contrattuali nella gestione della Castiglia, il 31 marzo di quell’anno vennero emanati gli editti di espulsione degli Ebrei dalla Spagna ( 200.000 ) e dalla Sicilia ( 37.000 ). Già il 28 maggio il viceré Ferrando de Acugna mise sotto la salvaguardia regia le giudaiche e i Giudei di Sicilia. I bandi vennero resi pubblici nell’isola il 18 giugno. Questi si rivolgevano alle città che dipendevano dalla Camera Regia e a quelle che dipendevano alla Camera Reginale ( che comprendevano le città di Siracusa, Mineo, S. Filippo di Argirò, Vizzini, Lentini, Paternò, Castiglione, Avola, Francavilla e S. Stefano di Briga, oggi frazione di Messina ) nonché alle terre ecclesiastiche, ma qui non vi erano abitanti Ebrei.
Il viceré dispose anche: “i giudei poveri di Palermo, che non hanno come soddisfare i loro debiti e che si trovano in carcere, siano messi in libertà trenta giorni prima della loro partenza” …
( DCCCCXXXI ).
L’ideatore del progetto di espulsione fu il dominicano Tomàs de Torquemada, Inquisitore generale.
Questa decisione non venne condivisa da molti notabili, che si riunirono a Messina per stilare un memoriale, il 27 agosto 1492, con il quale si spiegavano le motivazioni e gli svantaggi che avrebbero subito i siciliani. L’atto venne firmato, come privati cittadini, da diversi nobili fra questi il Secreto della dogana di Palermo Pietro di Bologna, il Gran Giustiziere del Regno Tommaso Moncada conte di Adernò, il Tesoriere del Regno, i giudici della Magna Curia, i Maestri Razionali del Real Patrimonio e tanti banchieri,  anche a salvaguardia dei loro interessi. Alla lettera  seguirono un’ altra missiva e due ragguagli con i quali si sottolineava l’entità del danno economico. A causa della perdita di diverse gabelle che gravavano sulla comunità ebraica ed un 4% di gabelle sui commerci sarebbe venuto meno.
L’isola doveva essere abbandonata entro il 12 gennaio 1493. Chi si fosse convertito alla religione cattolica, pagando il 45% del valore dei propri beni, poteva rimanere conservando il proprio cognome e cambiando il nome, altri convertendosi assumevano il cognome del padrino cristiano che faceva da garante. Questa fu una scelta di convenienza. I beni non vennero confiscati ma sequestrati. Questi erano a garanzia dei debiti contratti dagli Ebrei nei confronti dei Cristiani. Le proprietà vennero trasferite al banchiere Battista di Lombardo per curare le vendite.
Tantissimi furono i bandi che regolarono l’evento. Uno obbligava i Giudei a consegnare al maestro notaro i loro schiavi “negri e bianchi”. Altri garantivano la partenza da Palermo dei Giudei di , ritenuti forestieri, e di quelli che abitavano nelle città di pertinenza della Camera Reginale. Interessante l’ordinanza del viceré che intima  il “mastro David lu Medicu, sindaco della giudaica di Palermo, di poter mandare fuori regno la sua famiglia insieme ad uno schiavo nero”.
Le motivazioni dell’espulsioni sono complesse e spesse volte si elimina la problematica in maniera semplicistica. Si addossano tutte le colpe a Ferdinando il Cattolico e alla moglie. Certo senza ombra di dubbio tutto gira attorno alla sua figura, ma non si mette in luce che questo sovrano, dopo Inghilterra e Francia, volle dare luogo ad uno stato integralmente nazionale e assoluto, opposto allo stato feudale ( quindi sciolto da ogni vincolo di fedeltà al papa e all’imperatore, perciò senza ingerenza o cedimento nei loro confronti ). Certamente con questa operazione volle togliere l’autonomia politica, amministrativa e giudiziaria alla Sicilia. Di questo regno era sovrano dal 1468. L’aristocrazia non ebbe più il potere di una volta e si faceva strada in Europa la concezione di uno stato moderno che si basava sul governo delle città e l’apporto della borghesia nella gestione del potere. Si ricorda che Ferdinando era pontefice e re in base all’Apostolica Legazia. Così con questo operato accese un contrasto con il papa che non approvava il suo agire, lo spagnolo Alessandro VI Borgia, protettore degli Ebrei, affermò che i Re Cristiani non potevano espellere i Giudei. Già nel 1470 era entrato in contrasto con papa Paolo II per la diminuzione dei tributi da pagare alla Santa Sede ed il ritorno di alcune città che erano appartenute al Regno di Napoli.
La Sicilia venne abbandonata dall’80% degli Ebrei. Da Palermo si allontanarono quasi 3.000 persone, molte su navi genovesi, imbarcandosi pagando tre tarì a persona. Si diressero principalmente nel nord Africa, in Turchia, Firenze e Calabria. Il 27 agosto per questa regione partirono due navi con a bordo 350 persone. Successivamente dovettero scappare di nuovo perché espulsi nel 1524.
Furono costretti a vendere i loro beni che non gli vennero confiscati. Potevano portare con se per il viaggio solo poca roba. Con le lettere di cambio avevano la facoltà di trasferire i loro beni al nuovo posto di residenza.
A ricordo dell’espulsione venne posta una lapide in lingua volgare  nell’antica chiesa di S. Giacomo alla Marina a Palermo, oggi l’edificio non esiste più.
Questa dolorosa espulsione si aggiunse a quelle del 1290 dall’Inghilterra, 1296 dalla Normandia, 1306 dalla Francia con Filippo IV ai quali confiscò tutti i loro beni e li esiliò. Nel 1378 dalla Svezia e da Strasburgo nel 1388. Sempre dalla Francia nel 1394 con Carlo VI.  Dalla Baviera nel 1452, in Franconia e Breslavia nel 1453 e dalla contea di Provenza nel 1481 e 1491. Successivamente nel 1496 dalla Stiria. Dal Portogallo nel 1497, compresi quelli accolti da Giovanni II provenienti dalla Spagna. La maggior parte venne deportata nelle impervie isole di San Tomé e Prìncipe, infestate dai coccodrilli. Di nuovo dalla Provenza e nel 1498 Navarra. Nel 1499 da Norimberga e dall’Alsazia nel 1507. L’anno precedente a Lisbona avvenne una strage di Ebrei che provocò circa 2.000 morti . Questi ultimi già si erano convertiti.
Contrastanti sono le testimonianze sulla loro espulsione da Palermo: il Di Giovanni affermò che il popolo era festoso, il La Lumia dichiarò che i palermitani erano costernati e piangenti.
Un ultimo tumulto si verificò in città anni dopo il 7 marzo del 1516 per il venerdì Santo. A narrarla è lo storico Tommaso Fazello. Un altro omicidio si verificò a Messina nel 1584.
 
 
 
Dal  XVI  al  XVIII  secolo
 
Lo storico Leopold Zunz ( 1794 – 1886 ), studioso del Giudaismo, ci tramanda sull’argomento diversi ragguagli per i secoli a seguire.
Infatti, dopo la loro espulsione anche da Napoli, ad opera di Carlo V, nel 1539, si riscontrarono diversi Ebrei in Sicilia ma soltanto in veste di mercanti stranieri. Anche questa circostanza venne vietata da Filippo II con decreto del 1591. Ma nonostante tutto, essi continuavano a negoziare specialmente a Trapani.  Si giunse così al 1695, regnante Carlo II, anno in cui il sovrano accordò il privilegio della “scala franca” alla città di Messina, per ridare la possibilità di trafficare agli Ebrei. Qui potevano commerciare, stabilirvi il domicilio, però dovevano portare un segno distintivo e la notte dormire fuori le mura della città. A queste condizioni non si presentò quasi nessuno.
Un altro tentativo per il loro rientro, affinché esercitassero il commercio, venne fatto da Carlo VI d’Austria nel 1728 con l’emanazione di un dispaccio, questa volta valido per tutta la Sicilia.
L’indulto permetteva agli Ebrei di abitare solo a Messina, costruire le sinagoghe, il cimitero e praticare la Legge. Il risultato fu anch’esso vano.
Comunque l’ultimo tentativo venne fatto da Carlo III di Borbone con il Proclama o banno del 3 febbraio 1740, contenente convenzioni, grazie e privilegi nei confronti della Nazione Ebrea per rendere florido il traffico del commercio, sia interno che esterno, per ravvivarlo. Era un’epoca di depressione economica, poiché l’economia risultava prevalentemente agricola-industriale o principalmente agricola. Anche perché questo periodo fu condizionato da diverse guerre. Ciò avrebbe potuto dare un notevole apporto all’economia, quindi potevano accrescere il flusso dei crediti e degli investimenti con l’allargamento dei commerci. Questo salvacondotto permetteva loro di stabilire domicilio nel Regno delle due Sicilie e loro dipendenze. Potevano risiedere liberamente con le loro famiglie per la durata di 50 anni. Alla fine avrebbero avuto la facoltà di rimanere per altri 5 anni, affinché  regolassero la partenza,riscuotere i loro crediti o cedere i loro beni.  Venne vietata l’usura manifesta e non. L’editto era composto da 37 punti o capitoli. L’azione fu firmata da D. Joseph Joaquin de Montealegre, segretario di stato, e trasmessa al principe Bartolomeo Corsini.
Si concedeva che le gioie, argenti, perle, vesti, panni, tele etc. ad uso loro fossero libere da ogni gabella di Dogana sia in entrata che in uscita. Proibiva ai nuovi arrivati di mescolarsi con i cristiani. Potevano tenere qualche libro e dei manoscritti. I contratti di compravendita dovevano essere registrati dal notaio. Se almeno 40 famiglie avevano posto domicilio potevano aprire una scuola. Il segno distintivo era stato abolito. Potevano possedere beni stabili. Se qualcuno moriva senza testamento o senza eredi i suoi beni dovevano essere alienati alla scuola. I medici “fisici” e “cerusici” potevano medicare in presenza di medico cristiano, quindi ebbero la facoltà di praticare la medicina e la chirurgia. Non potevano tenere schiavi cristiani, se turchi o mori che si convertivano, questi dovevano essere posti in libertà, dopo aver pagato il legittimo prezzo ai padroni. Venne concesso loro di poter portare armi lecite ( spade ) in città, pistole lunghe da sella in viaggio e schioppi per poter cacciare, però con la dovuta licenza. Potevano comprare uno o due terreni per dar luogo al Camposanto, però chiuso da muri. Potevano tenere servitori cristiani da 25 anni in su se maschi, da 35 in su se donne, con la clausola di non abitare in casa degli Ebrei.
Ma questi dovettero lottare contro gli inveterati  pregiudizi e alcune posizioni antigiudaiche e anche l’atteggiamento ragguardevole degli invidiosi mercanti locali e di una parte del clero. Il sovrano fu bersaglio di diversi libelli diffamatori. Il principale agitatore fu il gesuita padre Pepe, confessore del re, su cui esercitava grande influenza.
Questo tentativo di incremento del commercio fu fallimentare, infatti alcuni anni dopo giunse alla conclusione. Il 18 settembre del 1746 venne emanato il decreto di espulsione, firmato dal re e da Giovanni Fogliani d’Aragona, con ordine di entrare in vigore il 30 luglio dell’anno successivo
( A.S.N./M.E.,f. 4402). L’atto annullò tutte le grazie, i privilegi e le immunità, le franchigie e tutte le altre esenzioni accordate. L’esito aveva deluso le aspettative e le speranze risultarono vane. Quegli Ebrei che si erano stanziati nell’isola erano venuti senza fondi, senza capitali e senza credito. Così si concluse tristemente anche questa seconda espulsione degli Ebrei dall’isola.
La prima espulsione del 1492 dalla Spagna ( e dalla Sicilia ) verrà attenuata giuridicamente in questo stato, soltanto nel 1924 da  Miguel Primo de Rivera ( 1870 – 1930 ) che con legge riconobbe la cittadinanza  spagnola a tutti quegli ebrei di ascendenza sefardita sparsi nel mondo. Provvedimento che permise a tantissimi di potersi mettere in salvo, in futuro, dalle persecuzioni. Successivamente sarà il generale Francisco Franco a cancellare definitivamente l’editto di espulsione nel 1968. Tutto questo non poté far scordare le diverse vessazioni che subì nei secoli e nell’arco della sua storia il popolo ebraico. In Sicilia la loro presenza, nell’arco dei secoli, fu incessante e ogni paese o città conserva le testimonianze evidenti anche se spessissime volte e per tantissimo tempo sono state taciute.
Pin It

Potrebbero interessarti

Articoli più letti

Questo sito utilizza Cookies necesari per il corretto funzionamento. Continuando la navigazione viene consentito il loro utilizzo.