“L’UOMO DAL FIORE IN BOCCA” DI LUIGI PIRANDELLO – LETTURA E COMMENTO DI GIOVANNI TERESI

 

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E’ tra i più noti atti unici del teatro pirandelliano. Derivata da una sua precedente novella dal titolo “Caffè notturno”, questa commedia, incentrata su di uno sconosciuto (malato terminale di cancro) che si racconta ad un viaggiatore in una piccola stazione di provincia, pone il problema dell’uomo davanti alla morte. Il monologo del protagonista è, come sempre in Pirandello, portato avanti con estrema coerenza. In teoria la commedia, mancando di azione, non potrebbe essere definita “teatro”, ma l’autore è stato in grado di arricchirla di particolari capaci di offrirle una cornice fortemente significativa dal punto di vista della messa in scena.

Pubblicata nel 1923, l’opera, breve ma intensa e significativa, ripropone al lettore il luogo comune secondo cui alcuni beni si apprezzano solo nel momento del bisogno e nel momento in cui rischiano irrimediabilmente d’esser persi. E’ questo in breve il tema di fondo dell’opera: un uomo, dall’identità sconosciuta e irrilevante, scopre inaspettatamente d’esser vittima di un cancro, un male che lo condanna a morte.

Egli lo descrive con minuzia; il suo nome epitelioma è più dolce di una caramella, e ben si adatterebbe ad un fiore; si tratta però di un fiore maligno che gli è spuntato su un labbro e che lo costringe a pochi mesi di vita.

La scena della novella/commedia si svolge in un caffè di una piccola stazione di provincia. Un posto misero, spoglio, dove due uomini conversano a tarda notte.

Gli argomenti della conversazione dei due personaggi sono basati sulla quotidianità: dalle compere di cui sono incaricati dalle rispettive mogli, al treno perso per un minuto di ritardo. E ancora: l’arte con cui i commessi fanno i pacchetti per confezionare gli oggetti acquistati nei negozi.

Il dialogo iniziale

“Ah, lo volevo dire! Lei dunque un uomo pacifico è … Ha perduto il treno?

L’avventore: Per un minuto, sa? Arrivo alla stazione, e me lo vedo scappare davanti.

L’uomo dal fiore: Poteva corrergli dietro!

L’avventore: Già. E` da ridere, lo so. Bastava, santo Dio, che non avessi tutti quegli impicci di pacchi, pacchetti, pacchettini … Più carico d’un somaro! Ma le donne – commissioni … commissioni … – non la finiscono più. Tre minuti, creda, appena sceso di vettura, per dispormi i nodini di tutti quei pacchetti alle dita; due pacchetti per ogni dito.

L’uomo dal fiore: Doveva esser bello! Sa che avrei fatto io? Li avrei lasciati nella vettura.

L’avventore: E mia moglie? Ah sì! E le mie figliuole? E tutte le loro amiche?

L’uomo dal fiore: Strillare! Mi ci sarei spassato un mondo.

L’avventore: Perché lei forse non sa che cosa diventano le donne in villeggiatura!

L’uomo dal fiore: Ma sì che lo so. Appunto perché lo so.

Dicono tutte che non avranno bisogno di niente.”

In particolare, tra i due uomini, c’è quello più predisposto alla chiacchiera che parla in continuazione; mentre l’altro ascolta parlando raramente, quando riesce ad inserirsi nel discorso. Quindi viene rappresentato più un monologo che un dialogo vero e proprio.

Poi dal dialogo banale il discorso fa emergere il dramma quando il primo personaggio, l’uomo dal fiore in bocca, rivela all’altro che è affetto da un epitelioma: si tratta di un tumore della bocca, male che lo condannerà a morte nel giro di poco tempo.

L’uomo spiega al suo interlocutore che è un ottimo osservatore e se mentre i conoscenti gli riportano alla mente il suo stato di vita, gli estranei no; così li osserva e ha la sensazione di sentirsi libero di immaginare la sua vita senza quella condanna a morte e alla sua illusoria volontà di vivere.

In questo modo sfugge anche alla moglie, per lo stesso motivo. L’uomo la respinge e lei lo segue nell’ombra per stargli vicino; ma il marito vuole scacciare il passato, i ricordi e la stessa vita.

I due uomini si congedano; prima però l’uomo dal fiore in bocca raccomanda all’avventore sconosciuto di raccogliere un

cespuglietto di erba su la proda, ne conti i fili per me … Quanti fili saranno, tanti giorni ancora io vivrò. Ma lo scelga bello grosso, mi raccomando. Buona notte caro signore.

 l’Uomo dal fiore in bocca prende subito spunto per iniziare una serie di riflessioni sull’esistenza, sull’importanza della quotidianità e dei dettagli delle cose. Ciò che all’inizio potrebbe sembrare nient’altro che una fissazione maniacale per i particolari, che lo porta a fare una minuziosa descrizione del modo di incartare gli oggetti da parte dei ragazzi dei negozi e della disposizione dei mobili delle sale d’aspetto dei dottori, si rivela in itinere qualcosa di molto più profondo e tragico: l’unico punto di contatto con la vita rimasto all’uomo prima di morire. Le immagini normali, le vetrine dei negozi, la gente per strada, diventano il simbolo stesso della vita che scorre; essa scorre per tutti, anche e soprattutto per coloro che, colpevolmente, non si fermano ad assaporarne ogni dettaglio, anche quello apparentemente più insignificante. 

È chiaro che l’uomo dal fiore in bocca ha un enorme bisogno di parlare, di comunicare con qualcuno, ma soltanto alla fine il viaggiatore ne capirà il motivo, quando verrà a conoscenza del tragico destino del suo interlocutore. Il terzo personaggio presente, è costituto da una presenza muta ma continua: è la moglie dell’uomo malato che segue di nascosto le mosse del marito, senza lasciarlo solo un istante, per cercare di dimostrargli il proprio tenace affetto. Questo atteggiamento però, non è visto in modo troppo positivo dal protagonista, infatti rappresenta per lui un ostacolo al continuo tentativo di dimenticare la propria disperata condizione. Come potrebbe egli dimenticare e cercare di vivere gli ultimi istanti serenamente, leggendo negli occhi dell’amata la verità incombente? L’uomo cerca proprio di evitare il dialogo, la sua speciale condizione lo isola dagli altri e lo chiude in una severa solitudine; egli vorrebbe mostrare a se stesso che “La vita è sciocca e vana”, in modo da rendere meno doloroso il proprio distacco dal mondo.

Nonostante questo, ad ogni istante, egli non fa che scoprire la bellezza della vita che gli si mostra in tutti quegli infiniti particolari apparentemente insignificanti che riempiono ogni momento della nostra esistenza. La sua vivissima curiosità, l’apparente allegria con cui segue i più minuti fatti del quotidiano non implicano però una sua attiva partecipazione alla gioia di vivere riflessa nel mondo che lo circonda; al contrario, esse indicano solo il suo disperato e solitario tentativo di restare attaccato alla vita, “come un rampicante alle sbarre di una cancellata”.

Giovanni Teresi

 

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