L' INCOMBERE DEL MISTERO, DELL'IGNOTO, DELLA MORTE NELLA PRODUZIONE LETTERARIA DECADENTE E NOVECENTESCA

Nella sua espressione più ampia ed autentica il Decadentismo si dilata oltre misura intramandosi ad altri movimenti culturali, e nello stesso tempo, continuando quanto non ha avuto risoluzione, ma solo evoluzione nell'ambito del Romanticismo. Possiamo ben supporre un intreccio di questo tipo: l'Illuminismo continua a vivere in una parte del Romanticismo che si sviluppa come corrente realistica all'interno di esso. Essa avrà ampio sviluppo nella seconda parte dell'Ottocento, con l'impulso del Positivismo che incanala questa visione realistica in una nuova corrente, quella del Naturalismo francese e poi del Verismo italiano.

Ma il Romanticismo, soprattutto quello nordico, è nato quando una critica puntuale è stata rivolta alla conoscenza e agli strumenti di cui si avvale nel suo farsi. La speculazione kantiana che si muove sulle orme di questa indagine gnoseologica, ha definitivamente messo in crisi il principio di conoscenza legato alla ragione e alle idee maturate nell'ambito dell'Illuminismo, e con esso, la scienza tutta. La realtà che agli illuministi appariva tutta da vagliare, da sondare, da chiarire, con questo sorprendente strumento che ci è concesso, cioè la ragione, si rivela ora misteriosa e sfuggente, poiché la ragione è in grado di cogliere solo il fenomeno, vale a dire l'apparenza, e non ciò che in essa non si manifesta, e tuttavia, nel suo nascondersi, manda, dagli spiragli delle sue profondità, un annuncio, una luce, l'essenza di un armonioso legame che forma una fitta trama tra le cose. E in questa nuova visione, in questo nuovo modo di cogliere la realtà, le cose si arricchiscono di nuovo senso.

La scienza sembrerebbe comunicarci ciò che ci appare essenziale nella realtà, vale a dire ciò che è misurabile e attingibile con gli strumenti della fisica e della matematica. Ma in tal modo essa non fa che descrivere l'aspetto superficiale delle cose, i corpi, non l'anima del tutto -che i romantici intravedono e pensano di poter raggiungere con un diverso afflato, quello che nasce dal cuore, dalla sua capacità di attingere alle cose, dalla sua saggezza. Questa conoscenza più grande e più vera, più nobile e pura, va cercata con dedizione. Il poeta diventa il vate che schiude l'antro del dio, ne assume la voce, parla al di là delle apparenze, parla la Verità, che è la parola del dio.

L'Illuminismo, con la sua impronta laicistica, aveva ampiamente stroncato, dissacrato qualunque cosa fosse tenuta per verità senza che su di essa si fosse fatto l'esercizio della ragione. Ma l'Illuminismo non muore con la cultura romantica, anzi riceve nuova forza dallo strapotere della scienza che nella seconda metà dell'Ottocento si lega saldamente allo sviluppo della tecnologia.

La posizione agnostica di Kant, circa l'essere della realtà nuomenica, muta in scetticismo e in negazione, e il noumeno -esistente eppure inconoscibile- viene dai positivisti dichiarato inesistente, la metafisica non altro che una fandonia, una cosa priva di fondamento e di senso, un ingombrante fardello di cui ci si deve disfare.

Ma l'inquietante interrogativo si ripropone: si può, attraverso la scienza, spiegare tutto, avere ragione di tutto? Appare chiaro, con questa domanda, che non ci si può più muovere in una dimensione di sola materia, eppure tale sembra essere l'orizzonte in cui si muove la scienza in quegli anni. La realtà, indagabile e conoscibile con gli strumenti della scienza, appare l'unica e sola realtà. Ma è una risposta che non soddisfa più gli spiriti inquieti e indagatori del nuovo secolo: essi stanno sulla soglia di una dimensione “altra”, e il loro animo si protende ad essa.

Ecco, allora, rinascere -in forme che non si discostano troppo da quelle romantiche- una sensibilità nuova e una nuova ricerca, ma in modi meno dinamici, meno intraprendenti ed eroici e più sviliti e stanchi che nell'epoca precedente. Il clima, infatti, è storicamente e culturalmente mutato, nuovi tasselli di conoscenza si sono aggiunti e contestualizzati, la psicanalisi, ad esempio, ha spalancato inattesi, spesso orridi abissi dentro il Sé, e tutto appare frantumato e scisso e complesso, inesplicabile. Nuove filosofie come quelle di Bergson, di Kierkegaard, di Heidegger sembrano aver tolto “il velo di Maya” della realtà, scoprendone aspetti inediti, inquietanti, ignoti.

La tipologia dell'eroe romantico è ormai tramontata e si comincia a parlare dell'aspetto antieroico della vita. All'individualità esaltata nella figura eccezionale del genio, del poeta, viene a sostituirsi quella dell'inetto, dello sconfitto dalla vita, dell'uomo qualunque e “senza qualità”. La vita non ha più nulla di epico, nulla di eroico, e non merita di essere vissuta. C'è una bella differenza tra il suicidio dell'Ortis o del Werther e quello di M.me Bovary o del quasi-suicidio di Aschembach in La morte a Venezia. Non più il sentimento gagliardo, onnipotente, ma un groviglio di pensieri e stati d'animo labirintici, malati. L'amore di fiamma indissolubile, fatto da se stesso divino, ma che un destino avverso vuole incompiuto, irrealizzato – come è nel Werther, che perdendo la sua Carlotta, perde ogni ragione di vita, o nell'Ortis in cui la vita si spegne se l'amore e gli ideali patriottici sono travolti insieme da una sorte brutale- questo tipo di amore non è più contemplato; non c'è più la passione, unica, totale, che compendia il senso della vita. Eppure, se l'amore è negato si risolve ancora, assai spesso, in una decisione tragica, in una morte voluta. Ma è una morte che trascina con sé un turbine, una marea di altre situazioni convulse e inestricabili, un microcosmo di sensi complicato come complicata è la vita. Si direbbe che dal Romanticismo al Decadentismo la malattia del poeta, dell'uomo capace di sentire addentro la realtà, sia andata crescendo. È proprio come avviene alla fine delle epoche grandi, nell'ultimo morente bagliore di una civiltà che ha provato tutto, che ha creduto a tutto, ed è invasa alla fine dalla stanchezza, dal languore o da un senso di imminente catastrofe che si porta dietro un'idea di distruzione e morte infinita. E l'ultimo bagliore potrebbe essere la perversione, il buio, le brutture dell'anima, o un dio sempre più lontano, imprendibile, a cui chiediamo la luce, da cui invochiamo un senso per la nostra vita... ma egli si ritira nelle sue profondità, nei suoi più remoti recessi e ci abbandona all'angoscia di una vita il cui senso è solo la morte -come è, appunto, nella visione heideggeriana. Così, Verlaine in Languore può dire “Sono l'impero romano alla fine della decadenza”, a testimonianza di questo senso di di fine e di imminente catastrofe e di impotenza, di passività dell'anima, e di nulla esistenziale; così il giovane Des Esseintes di A rebours può ricercare, per vivere, per riempire di senso la sua vita, tutte le forme di bellezza che la terra racchiude, che egli raccoglie intorno a sé nella grande villa di campagna per sfuggire alla noia, e perché infine la vita abbia un senso e sia degna di essere vissuta.

Sulla scia di A rebours, poi, un seguito di esteti, damerini, dandy, fuggiranno la nullità del vivere esaltando la sola bellezza. Si chiuderanno nei loro paradisi artificiali, per venirne fuori pazzi, malati o suicidi. E la droga sembrerà un mezzo raffinato per raggiungere certe estasi che la vita preclude, un modo, un rifugio, per rendere interiormente appagante, viva, estetica, l'esistenza.

Ma certi tratti che qui raggiungono un'esasperazione esistevano già in clima romantico, con lievi varianti. Dentro gli spazi letterari del Romanticismo, ad esempio, trovano posto e grandeggiano molti eroi positivi, e in questo senso, ancora una diretta discendenza dal titanismo romantico è tutta l'esperienza esaltata di D'Annunzio, la sua vita, il clima e l'ambientazione dei suoi romanzi, i personaggi in cui vive il compiacimento della prospettiva nicciana -anche se un'interpretazione approssimativa del filosofo tedesco, non discopre nell'Ubermensch un' auspicabile orizzonte umano, il simbolo di un'umanità proiettata in un rinnovato avvenire, e la grandiosità di un'idea ci appare rimpicciolita e imprigionata nella figura del singolo uomo, dell'esteta, del vate, di un eroe dalla vita sia pure inimitabile

Gli antieroi decadenti -anch'essi di derivazione romantica- hanno, invece, altri padri: quelli che non seppero ribellarsi a un destino tirannico e ne soffrirono la pena, le vittime di un mondo nuovo che non li accoglie e non li integra, i nuovi intellettuali che il cambiamento del mondo soffrono con una sensibilità nuova, acuita, vibrante, che rimpiangono la perdita di antichi valori contro i nuovi che la società borghese ha introdotto, più materialistici, più pragmatici, più plebei. E sono i vari Tonio Kroger, Alfonso Nitti, Emilio Brentani, Zeno Cosini, e ancora i Belluca, i Moscarda, e tutti i Mattia Pascal e i Giovanni Drogo della terra, una fila interminabile di emblemi, di paradigmi umani che dai primi decenni del Novecento si snoda e giunge sino a noi.

 

Rossella Cerniglia


 


 


 


 

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