“Lĭbĕr: la sottocorteccia. Indesiderabilità e desiderabilità dei libri” di Gino Pantaleone

"L'impatto di un libro" di Jorge Mendez Blake
 
Scortecciando un platano, un olmo o un tiglio, sotto, c’è una pellicola che lavorata, stesa e disseccata diventa un materiale su cui poter scrivere. E’ il Lĭbĕr, un luogo fisico che può assumere anche accezioni altre, immateriali, come libero, come essere umano non soggetto ad un’autorità o al dominio altrui, non servo, non sottomesso ma indipendente, non legato a qualcuno, qualcosa. Lĭbĕr, termine trasposto dalla pianta al prodotto da cui prende nome il libro, cioè un qualunque insieme di fogli scritti; a partire dal III secolo, fu anche il nome dei libri fatti col papiro non più soltanto arrotolato ma anche tagliato in fogli.
Il libro è, in modo indiscutibile, il conseguimento maggiore dell’umanità.
dice Federico Garcia Lorca in un discorso tenuto al suo paese, Fuente Vaqueros, in occasione dell’inaugurazione della biblioteca.
Ci sono libri che rimangono per sempre, quelli che addirittura ci cambiano la vita, alcuni non ci dicono assolutamente niente e, dopo poche pagine, li lasciamo lì, sul comodino. Ci sono libri innocui, ci sono libri pericolosi.
Un libro è una pistola carica – scrive Ray Bradbury in Fahrenheit 451
Si. Il libro può scatenare un putiferio. Ci sono libri che hanno condizionato la fede di gran parte del mondo civilizzato, vedi La Bibbia, Il Corano, il Mahabharata, le opere di Confucio e di Zoroastro. Ci sono libri che hanno dato origine a sommosse popolari, ci sono stati libri scomodi ai diversi poteri costituiti che si sono susseguiti nel tempo.
Ci sono i libri che non si devono leggere, e ci sono i libri sconsigliati, quelli che è meglio non leggere, e tutti quelli che possono avere una “cattiva influenza” sulle menti più deboli, quelli che possono distrarre dalle cose serie, quelli che potrebbero mettere in dubbio la fede, quelli che spingono verso fantasie peccaminose, quelli che minano i principi della morale, quelli sepolti in luoghi introvabili, quelli nascosti in archivi inaccessibili, quelli indicati dalle autorità come poco raccomandabili o scorretti.[1]
I libri sono una delle cose più belle ma, nello stesso tempo, una delle cose più pericolose inventate dagli esseri umani, che indubbiamente hanno infastidito nel tempo il pensiero unico e dogmatico dei vari uomini al potere e l’accanimento e la loro demolizione è dovuto al fatto che la parola scritta non sparisce e non si può controllare.
Perché leggendo, leggendo, leggendo può capitare che si inizi magari a pensare, e pensando si potrebbe anche decidere che il potere è ingiusto e che le cose dovrebbero andare in un altro modo. E magari se ci si decide, si potrebbe perfino convincersi a cercare altri che la pensano alla stessa maniera e, addirittura, credere che insieme a questi altri, quel potere, che consideri ormai intollerabilmente ingiusto, si potrebbe rovesciare.
I libri, generalmente, sono desiderabili e la lettura, per chi legge, diventa come una dipendenza.
In una lettera a Giovanni Anchiseo, Francesco Petrarca scrive:
Non riesco a saziarmi di libri. E sì che ne posseggo un numero superiore al necessario; ma succede anche coi libri come con le altre cose: la fortuna nel cercarli è sprone a una maggiore avidità di possederne. L'oro, l'argento, i gioielli recano con sé un godimento inerte e superficiale; i libri ci danno un diletto che va in profondità, discorrono con noi, ci consigliano e si legano a noi con una sorta di famigliarità attiva e penetrante.
Circola purtroppo molta ampollosità sulle varie pubblicità progresso riguardante l’acquisto e la divulgazione dei libri, sull’incoraggiamento a volte stufoso, sdolcinato alla lettura di libri in generale con pareri fin troppo ottimistici.
Il modello dominante ci ricorda che la lettura ci eleva ci porta nell’antro di una dimensione più alta dell’esistenza, ci dice che le letture ci rendono persone migliori, anche se, la storia ci insegna il contrario pechè ci furono i censori e quelli dei falò.
I libri rendono diversi, questo si, ma diversi non significa necessariamente migliori, più buoni, più civili, più gentili, più garbati.
La letteratura popolare è piena di eroi fuorilegge, prostitute, mascalzoni, vagabondi, ladri, assassini violenti. Che piacciono, attirano, suscitano simpatia ed emulazione.[2]
La lettura, al di là di ogni retorica, ha la capacità di rompere ogni dogma e opporsi all’idea unica di verità che viene dalla realtà, facendo venire a galla il vero che è dentro ognuno di noi. E questo ci dà l’occasione di confrontarci più volte con noi stessi.
La maggior parte delle letture che ci hanno modellati le abbiamo fatte per condividere, si, ma anche per difenderci, saper rifiutare, opporci e quindi a renderci più autentici, a spogliarci dalle maschere di circostanza, a essere eretici (eretico non nel senso negazionista o soltanto che mette in dubbio il dogma della Chiesa, ma nel senso etimologico del termine. Dal latino Tardo haeretĭcus, dal greco αἱρετικός, che sceglie).
Insomma, se l’ignoranza è veramente una fortezza senza ponti levatoi, l’unica maniera per combatterla è promuovere la cultura a 360 gradi. Per dirla alla Victor Hugo
Bisognerebbe moltiplicare le scuole, le cattedre, le biblioteche, i musei, i teatri, le librerie. Bisognerebbe moltiplicare i luoghi di studio per i bambini, i luoghi di letture per gli uomini e le donne, tutte le organizzazioni, tutte le istituzioni in cui si medita, in cui si istruisce, in cui ci si raccoglie, in cui si impara qualcosa, in cui si diventa migliori; in una parola, bisognerebbe far entrare dovunque la luce dello spirito del popolo; perché è a causa delle tenebre che si perde.[3]
 

[1] Il libro dei libri proibiti, Edizioni Clichy, Firenze, pag. 8
[2] P. Battista, # I libri sono pericolosi perciò li bruciano, Rizzoli, 2014, pag. 96
[3] Stralcio del discorso sul Sostegno alle lettere e alle arti. Sul pericolo dell’ignoranza del 10 novembre del 1848 contro i tagli alla cultura, letto nel parlamento francese dallo scrittore e deputato Victor Hugo
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