“Il salvadanaio” di Riccardo Pedrizzi. Per un’economia partecipativa e solidale – di Mario Bozzi Sentieri

Con buona pace per chi la considera ancora una “demonia”, l’economia rappresenta, oggi, uno dei principali terreni su cui si confrontano e si scontrano diverse visioni della vita e del mondo.
Oltre la rigidità dei “parametri”, agitati come i simboli dell’equilibrio di bilancio, oltre le vecchie scuole, spesso non all’altezza per leggere una realtà in rapida trasformazione, e ben oltre ogni determinismo produttivistico, inadeguato ad affrontare la complessità sociale, si allarga lo spazio per una visione “organica” dei temi economici. Una “visione” che bisogna sapere cercare e costruire, partendo dalla consapevolezza di un retroterra culturale, in grado di  sconfiggere il vuoto etico, che domina i mercati e che scarica a pioggia i suoi effetti sui soggetti più deboli.
Su questi crinali si è mosso Riccardo Pedrizzi, con il suo corposo, ma leggibilissimo, “Il salvadanaio. Manuale di sopravvivenza economica” (Guida editore, pagg. 404, Euro 18,00) , autentica bussola nel complesso mondo dell’economia globalizzata, della finanza vorace, dell’Europa egoista ed arrogante.
Il titolo del libro di Pedrizzi, oggi Presidente del Comitato tecnico scientifico dell'Unione Cristiana imprenditori dirigenti (Ucid), nel passato Senatore della Repubblica (con ruoli apicali in diverse Commissioni Finanza e Tesoro), non deve trarre in inganno. “Il salvadanaio” non è il classico vademecum, utile al cittadino/consumatore per orientarsi nell’intricato mondo dell’economia. L’immagine accattivante propone in realtà un quadro inusuale dei più vasti scenari  economici e sociali, selezionando nella grande messe di notizie, che quotidianamente vengono divulgate dai mass media e, nel contempo, offrendo nuove chiavi di lettura, con ampi squarci ricostruttivi, rispetto ad una condizione contemporanea che pare ineluttabilmente segnata dall’insanabile cesura tra economia ed etica, tra scelte di valore e rigide formule “di mercato”.
Su queste basi  Pedrizzi  delinea i tratti di una “buona economia”, offrendo non solo interessanti spunti di riflessione ma anche esempi gratificanti, rappresentati da banchieri perbene, da autorità morali da ascoltare, da esperienze segno di un sistema produttivo sano e solidale. A cominciare dal risparmio privato, una grande risorsa del nostro Paese, simbolo della probità delle famiglie italiane, come testimoniano i 4300 miliardi di euro accantonati, espressione della loro ricchezza finanziaria. Questa massa “sana” deve però letteralmente fare i conti con i processi di sradicamento del risparmio dal territorio, a fronte della mondializzazione della finanza, una finanza arbitra e padrona, che ha snaturato ogni connessione virtuosa tra risparmio, lavoro e sviluppo. Il quadro è disarmante: “Al 2018 – scrive  Pedrizzi – il Pil, cioè la ricchezza prodotta mondiale ammontava a circa 80.000 miliardi di dollari, mentre i prodotti derivati, quei titoli strutturati il cui rischio non è quantificabile e spesso sono semplici scommesse, ammontavano a quasi 32 volte il valore del Pil, quattro volte di più di quanto si pensava nel passato”.
Quello della mondializzazione è la classica punta d’iceberg di un processo di imbarbarimento della finanza e dell’economia che ha provocato non pochi contraccolpi sugli assetti dei singoli Stati.
Ne sono significativi segnali il dirottamento verso l’intermediazione finanziaria anche del cosiddetto “risparmio obbligato”, cioè quello destinato alle pensioni ed all’assistenza sanitaria; l’indebolimento dei controlli da parte delle deputate funzioni  nazionali, con il conseguente aumento degli scandali finanziari; la perdita della sovranità monetaria, con l’emergere di una oligarchia di tecnocrati, tra loro internazionalmente collegati; la  rottura delle linee cardine del  vecchio ordinamento bancario (regolato, in Italia, sulla legge del 1936, che distingueva interventi a breve, medio e lungo termine, separava banche ed imprese, il tutto sotto il rigido controllo dell’Organo di vigilanza) con la possibilità, oggi data alle banche, di assumere partecipazioni azionarie in imprese industriali, in un contesto nel quale l’organo di controllo si limita ad una “vigilanza prudenziale” e vige la libertà per le banche UE di prestare servizi in ogni Paese dell’Unione, sulla base delle norme del proprio Paese d’origine.
Dall’ambito strettamente bancario e finanziario Pedrizzi allarga la sua visuale accompagnando il lettore lungo i tortuosi sentieri dell’economia tra sigle, norme poco conosciute, contesti internazionali, che vengono a gravare sulle specifiche realtà nazionali, offrendo – nel contempo – chiavi di lettura inusuali. Non solo denunce perciò, ma anche una serie di richiami “di principio”, che aprono ad una speranza nuova: dalla centralità della famiglia alla Dottrina Sociale della Chiesa, dai temi dello sviluppo solidale alla necessità di ritrovare uno spirito identitario nazionale ed europeo fino ai richiami etici in economia.
Al fondo il recupero di una dimensione valoriale  anche nella vita sociale, con un particolare “focus” sui Corpi sociali intermedi, i grandi dimenticati nell’attuale dibattito politico-sociale. Per Pedrizzi “i corpi intermedi costituiscono l’ossatura, la   struttura sulla quale si regge una società ben ordinata, che potremmo definire organica, nell’ambito dei quali la persona nasce e sviluppa. Il primo di essi è ovviamente la famiglia, ma tutte quelle forme di aggregazione che gli uomini organizzano fra loro per raggiungere i diversi obiettivi, sociali, economici, politici, culturali o ricreativi, sono corpi intermedi; fra questi gli ordini professionali e le diverse associazioni di categoria, le camere di commercio ed anche i partiti politici”.
Quello dei Corpi sociali intermedi è un ambito in cui si gioca una partita determinante, a fronte dei processi di “disintermediazione”, che hanno portato da un lato allo smantellamento socio-politico della Nazione e degli enti che per tradizione ne sono protagonisti, dall’altro, di conseguenza, alla desertificazione della rappresentanza, nel segno di un sistematico  isolamento-indebolimento del cittadino-lavoratore. In questo contesto  entra a pieno titolo il “principio di sussidiarietà”, finalmente declinato, fuori da ogni retorica, nella visione di una società “ordinata” ed organica, “capace di valorizzare – scrive Pedrizzi – le autonomie sociali, di riconoscere il valore dei ‘piccoli’, affidando ai ‘grandi’ il compito di insegnare loro le modalità migliori per esercitare i propri diritti, le proprie funzioni, senza sottrarglieli o, peggio, senza sostituirsi a loro; e altresì capace di costruire un sistema di rappresentanza, di cura degli interessi e di promozione dello sviluppo delle comunità locali, finalmente centrato sull’autonoma e originaria responsabilità degli enti locali”.
Terza “gamba”, insieme ai corpi intermedi e al “principio di sussidiarietà”, in grado di “reggere” la complessità contemporanea (segnata dalla globalizzazione dei mercati, dalla rivoluzione tecnologica e dal potere della finanza) è l’opzione partecipativa, ogni tornata al centro del dibattito sull’ ottimizzazione, all’interno delle aziende, delle risorse umane, ma soprattutto, in linea di principio, sintesi di un nuovo umanesimo, anticipato dalla Dottrina Sociale della Chiesa, culturalmente elaborato nella prima metà del XX Secolo (dal sindacalismo nazional-rivoluzionario al futurismo, dalla scuola corporativa alla visione gentiliana) e trasfuso nel dettato costituzionale, ancora inapplicato.
Di fronte a quella che si prefigura come la quarta fase del capitalismo, il cosiddetto  “capitalismo della responsabilità”, ad emergere, da oggi  è la necessità di un riordino generale di sistema, nel quale Stato, finanza, banche, aziende, imprese e lavoratori trovino organicamente  la via, la retta via, di un nuovo modello di sviluppo, in grado di dare soluzioni mature ai grandi quesiti posti dall’economia dell’anarchia e del “laissez faire” selvaggio, che tanti danni ha provocato.
Per non arrivare impreparati a questo appuntamento  è necessario passare dalla fase della mera denuncia   (oggi sovrabbondante sui mass media e sulla letteratura economico-sociale) ad una visione di prospettiva. E’ quello che ha fatto Pedrizzi con il suo “salvadanaio”, in grado di offrire una realistica via d’uscita nella quale valori etici, leggi di mercato, politiche partecipative e distributive possono realisticamente arrivare a sintesi. L’invito di fondo è crederci, abbandonando ogni passivo fatalismo, muovendosi  di conseguenza.
 
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