Il rapporto tra cultura di un popolo e lingua – commento di Giovanni Teresi

Il rapporto tra cultura di un popolo e lingua – commento di Giovanni Teresi

 

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Storicamente la lingua ha sempre rappresentato un connubio tra l’identità di un popolo e la sua libertà. In passato, la coscienza della grandezza del proprio patrimonio culturale ha portato all’imposizione della propria cultura nei confronti di un popolo ritenuto incolto, incivile, non evoluto. Un esempio è quello dell’ ellenizzazione forzata di alcuni popoli del Vicino Oriente Antico, ad opera di Alessandro Magno.

Essa comprendeva l’ imposizione del greco ai popoli dominati, quindi era una sorta di “globalizzazione culturale” ante litteram che ha inevitabilmente limitato lo sviluppo autonomo delle tradizioni culturali autoctone di quei popoli. Oggi la lingua è prova della grandezza della cultura di appartenenza, il rispetto e la salvaguardia del patrimonio culturale e quindi linguistico di ciascun popolo. Quest’ ultimo concetto è stato però messo a dura prova dalla globalizzazione, e dall’imposizione dell’ inglese come lingua universale. Ma possiamo dire che, in generale, nel corso della storia si sono rivelati fallimentari i tentativi di imporre una koinè (lingua) unica, appunto perché ogni lingua è legata alla specifica cultura di un popolo (es. tentativo di imporre l’Esperanto come lingua unica).

Una lingua non può essere compresa se non viene contestualizzata (esaminata in riferimento ad un determinato contesto storico), e se viene presa in esame slegata dal popolo che ne fa uso è slegata da una civiltà. Il rapporto tra cultura di un popolo e lingua è, ad ogni modo, un rapporto implicito per il semplice fatto che la cultura, si trasmette proprio attraverso la lingua (scritta o orale). Ecco perché ogni lingua nella sua evoluzione accompagna la storia della nazione e del popolo che la parla, fino alla sua dissoluzione: una lingua morta, che non viene più utilizzata come strumento comunicativo viene spesso a coincidere con la fine o con l’ evoluzione di una civiltà (es. del latino e greco come lingue cadute in disuso e come fine di quelle specifiche civiltà).

A questo punto, arriviamo al pensiero di Millet, linguista francese dice: “Una lingua vale non perché sia l’organo di una nazione, ma in quanto è lo strumento di una civiltà”.

Ma i linguisti oltre a riflettere sullo stretto legame tra lingua e cultura, hanno avviato una riflessione rispetto al concetto di “ lingua come mediatrice della cultura”. Cioè la cultura verrebbe addirittura condizionata dalla lingua. Quest’ ultima infatti, oltre ad essere un mezzo attraverso il quale esprimere la realtà, impone una visione di essa, in quanto ciascuna lingua fornisce delle categorie (ovviamente diverse a seconda della lingua) attraverso le quali si incanala il pensiero dell’ individuo nell’atto di comunicare. Sempre per quanto riguarda il nesso Storia culturale di un Paese/lingua, vediamo come è la lingua stessa (con le sue peculiarità e specificità) a rafforzare il sentimento nazionale. Ad esempio in Italia, paese che si unificò molto tardi dal punto di vista politico, la lingua volgare era lo strumento di unità nazionale dal punto di vista culturale.

La lingua inoltre, oltre ad essere esaminata attraverso il suo sviluppo nel tempo, può essere esaminata, in un determinato momento, ponendo l’ accento sulla sua estensione geografica. In quest’ ultimo caso, essa ci fornisce informazioni sui rapporti tra popoli, infatti, il popolo dotato di maggiore prestigio è quello che sa irradiare la propria cultura e la propria lingua dando alle altre lingue il maggior numero di prestiti. È il caso già citato dell’ inglese, che oggi fornisce molti prestiti linguistici, soprattutto relativi al campo dell’informatica. In definitiva: sì ai prestiti linguistici, ma anche sì alle peculiarità delle lingue, che filtrano tantissime informazioni rispetto alla vita, alle tradizioni storiche e alla cultura dei popoli.

Giovanni Teresi

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