Il carpe amorem nella silloge di Anita Vitrano “Inseguendo pensieri in voluttà” - di Guglielmo Peralta

“Inseguendo pensieri in voluttà” è il titolo della prima silloge poetica di Anita Vitrano. Nella storia di Amore e Psiche, narrata nelle Metamorfosi di Apuleio, Voluptas è nominata come figlia delle due divinità. Nella mitologia greca, è chiamata Edoné, figlia di Eros, divinità dell'amore, e di Psyké, l'Anima. Nel titolo della silloge, il sostantivo rimanda alla dea ed è connesso con il verbo latino velle (volere). Allora, convertire voluttà (voluptas) in volontà (voluntas) non è una ‘traduzione’ peregrina, se la scrittura, come nel caso della Vitrano, è un cammino, il “pellegrinaggio” di una mente, di un’anima innamorata, che anela fortemente al raggiungimento del piacere, che non è solo il frutto della passione ma è, soprattutto, spirituale. L’amore, che è il centro irradiante di questa raccolta, va oltre il puro e semplice sentimento, verso l’infinito, l’assoluto, verso Dio, oltre la fede stessa divenendo esso stesso un credo, per cui è possibile modificare la celebre espressione agostiniana nel modo seguente: amo ut intelligam, intelligo ut amem, dove l’amore è la brama, la voluttà e la volontà di inseguire pensieri che elevino l’anima alle altezze della profondità, dove il Deus absconditus si ‘manifesta’ nella sua presenza/assenza. Ed è la poesia che Lo rivela dentro di noi rivelandoci a noi stessi. Perché quando con essa si ‘toccano’ le vette dello spirito si entra in comunione con il proprio essere, l’umana natura si fa specchio della divinità, imago Dei, e diventiamo noi stessi divini: meno umani, o più umani. Il linguaggio poetico opera questa ‘trasformazione’, realizza il legame tra materia e spirito, tra anima e corpo che trova cor-rispondenza e rispecchiamento nell’unione perfetta di forma e contenuto, di significante e significato conferendo la necessaria armonia a un’opera rendendola riconoscibile e godibile agli occhi e al cuore dell’autore e del lettore. Ed è poesia l’amore cantato in tutta la sua nomenclatura dalla Vitrano e subito annunciato e dichiarato, in apertura della raccolta, nella Lettera d’amore - Come i gabbiani. Generato da Dio, l’amore dà all’uomo “l’illusione di essere immortale” e volge all’infinito, oltre l’orizzonte che “l’umano sentire non ha l’ardire di varcare”. Questa mancanza di “ardire” sembra in contraddizione con l’ardore di chi, come la nostra poetessa, ha brama dell’Infinito, che sente, avverte, e “insegue” con i suoi pensieri. Tuttavia, “l’umano sentire”, in cui ella si riconosce, non manca di coraggio ma è l’impossibilità di esprimere l’ineffabile, perché il linguaggio difetta del dire originario. In quel “sentire”, che è, al tempo stesso, ardere del ‘sacro fuoco’ e ar-dire: desiderio di dire l’assoluto, c’è la “voluttà” e la pena, la passione e il tormento per quell’Amore sempre cercato, rinnovato e che l’anima ‘immagina’ quando la visita l’angelo della poesia. Il divino, allora, è il volto dell’anima, e in questa ‘identità’ annunciata e ritrovata, si realizza la più alta comprensione. L’«amo ut intelligam» si converte nel “cogito ergo amo”: titolo di un’opera di Roberto Scardetta riportato dalla Vitrano nell’altra lettera, che chiude la prima sezione del libro. In virtù dell’identità tra pensiero e amore l’uomo diviene partecipe della verità divina, che gli dà la capacità di amare il prossimo e di fare fronte al dolore, alle angosce, alla solitudine, ai tormenti della vita, anche procurati dall’amore, quello terreno vissuto intensamente, che può dare senso alla vita e aiutare a viverla pienamente “per valorosamente morire”; che fa colmo di sé il pensiero e invera l’esistenza, e per cui la nostra poetessa può dire: “amo ergo sum” dando compiutezza alla locuzione di Scardetta.

Esserci per amore amare per esserci è la condizione naturale da riscoprire, da praticare. Dell’“Amore con le ali […] celato da una luce eterea” ella avverte “la presenza”, desidera vederne il volto e chiede di essere ‘colta’, rapita, affinché possa ‘carpirlo’ a sua volta. L’amore, che viene a visitarla, è l’angelo che può bucare il buio, squarciare le tenebre del mistero, darle la visione divina e prometterle di tornare sempre per lenire “le piaghe del tormento” e per non fare cessare la speranza di compiere “il passaggio dal deserto alla vita”. Potremmo sottotitolare la silloge con l’espressione solenne: Omnia vincit amor, poiché tutti i temi qui trattati sono permeati del sentimento dell’amore terreno e celeste, declinato in tutti i suoi aspetti. Esso può ‘fermare’ il tempo e dare eternità all’esistenza assicurandole sempre un nuovo inizio - “l’amore vero è un eterno / cominciare”. Questo potere hanno gli occhi innamorati, che consentono alla poetessa di “vivere in comunione d’amore” e “alimentano l’ardore di esserci” elevandola dal “baratro del nulla / ad un passo da Dio”. Il tempo sembra accamparsi in questa silloge. Imprigionato tra “i margini del foglio”, in un verso, nelle parole, esso è “dopo il punto, l’eterno”, la dimensione infinita “oltre la vita”. L’esistenza umana è l’esperienza dell’‘illimite’, dell’assoluto, che si ‘manifesta’ nel “viaggio interiore”, dove è possibile l’ascolto di “Echi d’infinito” che consentono di “librarsi in alto, fare il grande salto / dall’uomo a Dio” liberando “l’Io”. E tutto ciò in virtù del carpe amorem, ovvero, della capacità d’amare, per cui “solo il sentiero del bene è dritto e luminoso” e l’andare non è verso mete incerte ma nel luogo dove  è concesso alla Vitrano di ‘ritrovarsi’ e riconoscersi Donna nelle diverse “sfumature”, che ne mettono a nudo i desideri, i sogni, i rimpianti, gli slanci, le nascoste ricchezze, che ella tratteggia nella seconda sezione del libro, in cui l’interiorità si fa specchio dell’amore che ‘scintilla’ ed è l’attimo che dura un’intera esistenza e che “continua oltre il disegno terreno”. Qui, il desiderio di una vita felice trova la sua realizzazione nella rivalutazione della dimensione corporea mediante l’amore che incanala sentimenti anche contrastanti e passioni ardenti nell’alveo dell’Essere elevando l’anima “fino all’immenso”. Perché l’amore è la più alta espressione dello spirito, ed è “anello di congiunzione tra l’umano e il divino / arco ascensionale tra carne ed anima / […] l’anelito oltre la vita, alla quale esso dà un senso” favorendo anche il rapporto di interscambio tra il corpo e il mondo. Perché ogni cosa al mondo partecipa della natura e, dunque, del legame segreto tra la forma e l’essenza, tra il corpo e l’anima, tra la materia e lo spirito, tra il visibile e l’invisibile. Il tutto è espresso in una forma smagliante di figure di suono e di significato. Sono presenti metafore erotiche, delicate e sensuali, tenere e ardenti che conferiscono vitalismo all’intera silloge, dove la realtà, anche cruda, ha il suo contraltare nel sogno che è, insieme, istanza etica, sociale, estetica; di fede riflessa e ‘praticata’ nella luce della poesia e dell’amore.

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