Giovanni Teresi recensisce “La casa dell’Ammiraglio” di Tommaso Romano (CulturelitEdizioni)
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- Category: Scritture
- Creato: 10 Agosto 2020
- Scritto da Redazione Culturelite
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L’Ammiraglio, protagonista del romanzo, è uno straordinario collezionista preso dal desiderio di possedere il bello nella necessità di abbandonarsi alla vita dell’oggetto. Della sua dimora privilegiata ha fatto la sua “casanima”.
Nell’ultimo capitolo del testo di Tommaso Romano, per comprendere la figura caratteriale del protagonista, si legge: “Ma l’Ammiraglio poteva essere parte in causa della sua speciale avventura con le cose?... Lui era credente, era un convinto tradizionalista e conservatore, forse un reazionario. Erano già le undici del mattino quando decise di passare in libreria per conoscere le ultime novità letterarie e di saggistica. L’ammiraglio raccontò al titolare gli ultimi avvenimenti riguardo i dialoghi intercorsi con gli oggetti e i sopramobili della sua casanima compreso il sogno. Tra i libri proposti, fu rapito dalla lettura di un testo agile sull’argomento relativo al principio fondante l’animismo dove tra l’altro si leggeva: vive uno spirito in ogni cosa, una ierofania, un apparire che è esperienza sacra, mistica”.
Il sacerdote di Ippona, Sant’Agostino, ebbe la saggezza di ammettere che la nostra coscienza ha una capacità limitata. Nei nostri stati di consapevolezza avvertiamo: «… la presenza del nostro inconscio come un fantasma; invisibile eppure in qualche modo presente». «Non posso comprendere tutto ciò che sono».
Conosci te stesso, predicavano gli antichi ateniesi nelle agorà più colte. Indubbiamente è uno dei distillati di saggezza comportamentale e mentale.
Il Nostro continua sulle riflessioni del protagonista del romanzo:
“Ripensò agli studi di Rudolf Otto sul Sacro in cui si è che questo è qualcosa di assai diverso della realtà oggettiva. Animatissimo l’aveva definito Marret, ma anche manifestazione dell’insolito …
I greci avevano ancora una volta ragione – cogitò tra sé l’Ammiraglio, centellinando un rosolio – quando si riferivano al pneuma, al soffio, al fiato, al respiro e alla psyche, alla forma vitale, alle cosmogonie. Altro che ira del fantasma, che dà corpo simbolicamente alle pulsioni profonde del nevrotico., teorizzate da Freud …”
L’Ammiraglio ama il silenzio, la natura, il dialogo muto con le cose, il colloquio con se stesso e con pochissime, scelte e selezionate persone.
Stando nella sua amata dimora, all’Ammiraglio continuano a manifestarsi suoni e rumori voci addirittura, che sembrano umane. Nutre subito dubbi sullo stato della sua salute psichica nel caso del colloquio con la bella statua di marmo “Cometa”. La statua, che rappresenta una bambina studiosa, parla senza muovere la bocca di marmo e, apparentemente fredda e immobile, si rivolge con chiarezza e voce cristallina al padrone di casa: “Caro Ammiraglio, tu sei con noi tutti l’essenziale di questa casa che ha l’anima pure lei e riesce a parlare a chi sa udire il linguaggio arcano. Il tuo buen retiro ha dato fiato a chi è arrivato fra noi ed anche ai fratelli e alle sorelle, animali compresi, delle altre tue dimore. Noi ti abbiamo compreso e ci siamo compresi fra noi. Ci hai dato i fiato di un’identità, un’anima. Ma mentre la tua età si consuma, la nostra è solo un involucro statico in apparenza, che contiene un’essenza originaria che vive oltre e spesso contro il tempo”.
Così, come descritto da Tommaso Romano, l’inconscio del protagonista del romanzo non può essere che una proiezione di sé, una pulsione, un desiderio che cerca di avverarsi.
Non si può capire a fondo l’evoluzione intellettuale senza Schopenhauer, secondo il quale l’inconscio possiede memorie sue proprie, cioè una sorta di deposito di antiche tradizioni, simboli e temi sempre ricorrenti. Su sollecitazione di Lord Byron, ad esempio, il poeta Coleridge si isola dal mondo, assume oppio, e descrive nel suo Kubla Khan (incompiuto) numerose “visioni”. Sostiene di vedere “spettacoli grandiosi”, dopo aver dilatato chimicamente immagini evocate prima del sonno. Accenna a una “feroce chimica dei sogni”.
La visione dell’inconscio compare anche nelle opere di Friedrich Nietzsche, il quale vede l’uomo come creatura che inganna se stessa attraverso un’introspezione “viziata”, ovverossia governata da un inconscio primitivo e caotico, un maelstrom pressoché micidiale.
L’Ammiraglio, con la sua profonda umanità e la sua estrema delicatezza, diventa l’emblema dell’uomo che cerca il “Bello”. L’amata dimora, la casanima, diviene metafora dell’utero materno che lo tiene e protegge al suo interno, dell’infanzia e dell’adolescenza, della famiglia e delle sicurezze di sperimentarsi in un luogo protetto, mentre il mondo esterno rappresenta l’immensità ed imprevedibilità della realtà con i suoi pericoli.
“Un angelo, la lucerna e un bimbo in ginocchio in preghiera – regalo di battesimo – era stato conservato tenacemente dalla madre dell’Ammiraglio, sino alla sua morte, nella sua antica stanza nuziale e soltanto da poco era stata accolto nella casanima. E da quella porcellana, da sempre, si era sentito protetto.” “La collezione della nostalgia appare all’Ammiraglio piuttosto che una condanna, il godimento della memoria.” L’amico Padre Nuaranti gli aveva detto:
“ Forse le sue cose, gli oggetti, in forma di figure di uomini e animale, non le parlano direttamente, sono gli Angeli, esseri puri e incontaminati che parlano per loro, prendendo le specificità d’origine e riconoscendo così il calore, la gentilezza, il sapore autentico del suo aver saputo accogliere oggetti e cose, nella sua casa amatissima.”
“Quanti simboli, quante verità svelate, sibilò l’Ammiraglio rivolto in direzione dell’Angelo, che non rispose nulla. La luce e il fuoco non spensero la certezza di una permanenza inestinguibile.” L’Ammiraglio capì e non disse nulla. E tutti tacquero nella casanima, avvolta da insolito tepore.”
L’Ammiraglio era stato il costruttore di quel suo domestico pantheon. Sa bene, peraltro, di non essere il solo cultore e collezionista votato a riunire oggetti per tentare di ricreare l’armonia perduta del mondo e questo lo incoraggia e dà vigore a quel segreto intento di riunire in una casa i simboli dell’Arca metaforica, della semplicità, dello stile, della bellezza e, quindi, della vita o sopravvivenza possibile.
Tommaso Romano, da letterato e sottile filosofo, sottintende quanto insegna David Hume, che, nel suo più importante trattato di filosofia estetica, “Della Regola del Gusto”, dice: “la percezione da parte del soggetto di una qualità che inerisce ad un oggetto non dice nulla della cosa in sé, non esprime una proprietà che è della cosa, ma dello stato percettivo in cui si trova il soggetto che lo esamina, secondo la famosa formula che il Bello è negli occhi di chi lo contempla”.
Il Nostro, riguardo la sacralità che sfugge alla piatta ragione, in un significativo dialogo tra l’Ammiraglio e il professor Bellanti, fa dire a costui:
“Le cose sono gravide di memoria, più di chi le possiede, sono la vivente espressione di una storia, oltre che essere parte della vita emotiva e del profondo.”
Esiste all’interno di ciascuno di noi una forza che ci spinge a raggiungere una individualità esclusiva e irripetibile, quella stessa che gli gnostici declinano come “scintilla” e che Meister Eckhart afferma risiedere, in modo costitutivo e ultimativo, nell’anima.
“Per l’Ammiraglio il collezionare era anche un esercizio della memoria, una panacea, uno schema mentale dilatato, una cessione plausibile all’astrazione. La ricerca dell’oggetto raro, insolito ed elegante, divenne l’occupazione lieta, paragonabile alla ricerca di un laico graal”.
Nella prefazione al romanzo di Paolo Ruffilli si legge: “Noi lo sappiamo che un collezionista, di qualsiasi genere, raccoglie e conserva ben più che semplici oggetti, non solo cose ma vere e proprie presenze, essenze. Le qualità segrete delle cose sopravanzano sempre quelli evidenti. C’è un movente nascosto che scatena il gusto e la smania e fa crescere il sogno a dismisura in chi si dispone a raccogliere per collezionare”.
Kant, il filosofo illuminista, nella terza Critica, prendendo in mano l’opera in cui era caduta la speculazione di Hume, troverà quattro requisiti necessari per la determinazione del giudizio di gusto, nell’ordine: il Gusto, Bello, Bellezza, Bello necessario. Così Kant lascia inalterata la verità di Hume secondo la quale il Bello non è una proprietà che afferisce alla cosa, ma come stato soggettivo di percezione di piacere, indipendentemente dall’esistenza stessa dell’oggetto. Anche se il filosofo certificherà l’impossibilità del giudizio di gusto di essere fonte del Sapere, tuttavia resta il suo presupposto necessario ed è probabilmente in questa chiave che va letta anche la profezia di Dostoevskij, secondo la quale il Bello sarà ciò che salverà il mondo.
«Per scoprire che cosa c’è in noi di propriamente individuale occorrono profonde meditazioni, e all’improvviso ci accorgiamo di quanto sia difficile la scoperta dell’individualità.» (C.G. Jung – L’io e l’inconscio).
Nel colloquio con il professor Bellanti, Tommaso Romano mette in evidenza una delle tante sfaccettature del carattere dell’Ammiraglio: “Il suo piacere è stato ed è la creazione, o meglio la ri-creazione, d’un mondo perduto, con la fantasia che si rinnova, la capacità di tentare di rendere in armonia, la disperazione specie riscoprendo la tradizione materiale del popolo, con la raccolta dei Masciddara, le veline che servivano per disegnare i carretti.”
Così, possiamo affermare infine che, sebbene la via da percorrere non sia priva di pericoli e anzi il fatto stesso di percorrerla imponga il suo prezzo, lo sviluppo della personalità è tra le cose più preziose (Jung) e che «Contro la massa organizzata può resistere soltanto chi è organizzato nella sua individualità …» (Jung in “Presente e Futuro”1957).
L’autore, costruendo una dimensione intrigante del profondo e di intensa interrogazione metafisica, realizza una misura originale sia nello stile che nella focalizzazione di effetti visivi e percettivi diretti a suggerire al lettore immagini ed atmosfere coinvolgenti.