Giovanni Teresi, “Il sorriso di Beatrice nella poetica di Dante Alighieri” (Ediz. GEDI l'Espresso S.p.a.)

Beatrice è con Dante in un rapporto molto più intimo e profondo di tutti gli altri personaggi della Divina Commedia, più dello stesso Virgilio. È un’anima tutta speciale, è un po’ l’anima stessa di Dante, la luce della sua anima. Per questo bisogna accostarsi a lei con molta delicatezza: la sua poesia è una delle più difficili, poiché si tratta di un tema tutto interiore e della più chiusa stanza dell’animo del poeta, e per coglierla è necessario seguire con attento orecchio le indicazioni che Dante ci dà là dove la sua parola lascia intravedere la segretezza.
L’amore umano di Dante per Beatrice è figura di un amore iniziatico, trascendente e assoluto. 
Per Dante l’eros, l’amore, è all’origine del mondo e ha infuso in esso, e in particolare nell’uomo, il desiderio di sé, in un perpetuo anelito d’amore, di tensione verso l’Uno. È in questa prospettiva che si può inquadrare la figura grandiosa di Beatrice. Dante accanto ad un amore infinito vuole conservare anche quello finito, l’uno non deve alienare l’altro e, nel tentativo di portare l’amore per Beatrice dentro il cuore attraverso di lei fa esperienza di Cristo e del Divino.
Beatrice, infatti, apre e chiude tutto il cammino di Dante uomo e poeta, fino ad esserne guida nel regno della beatitudine. Già nella Vita Nuova, testo itinerarium in cui Dante descrive le diverse fasi dell’innamoramento, Beatrice è da subito la donna amata ed esaltata, perduta e rimpianta ma beata in cielo con gli angeli e viva in terra con la sua anima. Tutta l’espressività di Beatrice è concentrata nell’atteggiamento del vultus, nella potenza comunicativa del suo saluto, soprattutto attraverso gli occhi e lo sguardo luminoso.
Beatrice è in realtà Bice, figlia di Folco Portinari, nata a Firenze nel 1266 e che a diciannove anni sposò Simone dei Bardi, morendo  ventiquattrenne nel 1290.
Nella Vita Nuova Dante racconta di averla conosciuta per la prima volta quando entrambi avevano nove anni e di averla poi rivista a diciotto anni, incontro dal quale era nato il suo amore per lei. Beatrice non è altro che un senhal, ovvero un nome fittizio (secondo la tradizione della lirica provenzale) che significa  letteralmente «colei che rende beati».
Beatrice è protagonista di molte delle prime poesie stilnoviste di Dante, poi raccolte nella Vita Nuova e nelle Rime. Nel «libello» giovanile la donna non è solo la donna-angelo dello Stilnovo, ma è già raffigurazione di Cristo e sembra anticipare il valore allegorico che avrà nel poema, ovvero quello della grazia divina e della teologia rivelata che sola può condurre l'uomo alla salvezza eterna e al possesso delle tre virtù teologali (fede, speranza, carità).
Dopo la sua morte Dante attraversa un momento di «traviamento» morale, che vede l'inizio di studi filosofici (ne parla Dante stesso nel Convivio) e nuove esperienze poetiche, come le Rime petrose. Si è ipotizzato che tale traviamento sia all'origine del peccato rappresentato dalla selva oscura e che si tratti di una colpa di natura intellettuale, ovvero del tentativo di raggiungere le verità teologiche col solo ausilio della ragione e della filosofia umana. Questa sarebbe la ragione dei rimproveri che Beatrice rivolgerà a Dante in Purg., XXX, 103 ss., nonché in XXXI, 37 ss. e XXXIII, 85 ss.
Beatrice compare nel poema per la prima volta nel Canto II  dell'Inferno, quando scende nel Limbo e prega Virgilio di soccorrere Dante.  È la Vergine a sollecitare l'intevento di santa Lucia per la salvezza del poeta, e Lucia si rivolge a Beatrice (che siede nel suo scanno celeste accanto a Rachele) pregandola di intervenire in soccorso di Dante.
Beatrice ricompare nel Canto XXX del Purgatorio, al termine della processione simbolica nel Paradiso Terrestre, sul carro che rappresenta la Chiesa trainato dal grifone. Qui Beatrice è coperta da un velo bianco su cui è posta una corona di ulivo, indossa un abito rosso e un mantello verde, colori che simboleggiano le tre virtù teologali (il bianco è la fede, il verde è la speranza, il rosso è la carità). Nell'attimo preciso in cui lei appare scompare Virgilio, il che provoca in Dante un profondo turbamento e un pianto accorato.
 
Beatrice, dopo gli aspri rimproveri rivolti a Dante, lo condurrà a bagnarsi nell'acqua del Lete (il fiume dell'oblio che cancella la memoria dei peccati commessi) e dell'Eunoè (il fiume che rafforza la coscienza del bene compiuto). In seguito la donna accompagnerà Dante nell'ultima parte del viaggio, in Paradiso, come già preannunciato da Virgilio in Inf., I, 121-123.
La funzione di Beatrice nella terza Cantica sarà analoga a quella di Virgilio nelle prime due, ovvero di guida e maestra di Dante. Il rapporto tra i due sarà però naturalmente molto diverso: Dante si riferisce a lei col termine donna, carico di significati stilnovisti, e Beatrice avrà spesso nei confronti del discepolo un atteggiamento severo, rimproverandogli molte volte la sua ignoranza in materia dottrinale. Significativo è poi il fatto che nel Paradiso 
Beatrice smentisca varie volte delle affermazioni di carattere scientifico fatte da Dante soprattutto nel Convivio, a cominciare da quella riguardante la natura delle macchie lunari (II, 61 ss.). Ciò significa che la teologia rivelata è superiore alla filosofia umana e che ci sono argomenti riguardo ai quali la sola ragione umana è insufficiente senza la fede (discorso analogo è quello di Virgilio in Purg., III, 34-45).
Nel Canto XXXI del Paradiso, infine, Beatrice lascia il posto a una terza guida che accompagnerà Dante nell'ultima parte del viaggio e alla visione di Dio: è san Bernardo, che il poeta vede improvvisamente accanto a sé appena giunto nell'Empireo. Il santo invita Dante a guardare nella candida rosa dei beati, dove Beatrice ha ripreso il suo scanno.
 
Testo tratto dalla Prefazione del volume
 
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