Giovanni Taibi, “Cercandosi” (Pietro Vittorietti Editore) - di Giovanna Cavarretta

“Non c’è nostalgia più dolorosa di quella delle cose che non sono mai state!”

Sulla scia delle parole del grande poeta portoghese, Fernando Pessoa, s’incentra il nuovo romanzo di Giovanni Taibi, dal titolo, “Cercandosi.” Nello stile fluido, caratterizzato da un linguaggio garbato e limpido, si evince una scrittura idonea a rivelare il tormentoso viaggio interiore del protagonista: Salvatore. Sull’onda dei ricordi, velati da una poetica malinconia, ci si inoltra negli orizzonti frammentati della storia di Anna e Salvo, un amore non totalmente vissuto nella realtà, seppur mai dimenticato. Dopo vent’anni Salvatore, ormai uomo e con una carriera ben affermata, in seguito al matrimonio del fratello, si vede costretto a tornare in quel paese dove tutto ebbe origine. Un ritorno molto importante poiché lo avrebbe portato a svelarsi all’animo del ragazzo che era stato. Una sorta di iniziazione che gli avrebbe permesso, attenzionando quella ferita adolescenziale, di esplorare le parti più recondite e sconosciute di sé stesso. E nell’incontro-scontro con la propria Ombra che egli dà inizio ad un processo di individuazione. Infatti, Carl Gustav Jung scrive: “non c’è presa di coscienza senza sofferenza. In tutto il mondo la gente arriva ai limiti dell’assurdo per evitare di confrontarsi con la propria anima. Non si raggiunge l’illuminazione immaginando figure di luce, ma portando alla coscienza l’oscurità interiore. Chi guarda fuori sogna, chi guarda dentro si sveglia.” Riaprendo così la scatola dei ricordi, si riappropria di quel dolore mai del tutto sopito, ora ammantato da un senso di sacralità. L’incontro con Mario, l’amico di sempre e da tempo dedito alla famiglia, mette in risalto la propria incapacità di non essere stato in grado di trovare la persona giusta. Era rimasto prigioniero in un passato non risolto, non giustamente elaborato. Tale mancanza di coraggio l’aveva pagato con anni di solitudine, alleviati dalla completa immersione negli impegni professionali. Ma nel profondo egli sentiva che era giunto il momento di andare oltre, di alzare il velo e scoprire verità “altre.” Si faceva largo in lui la percezione che “i tesori più preziosi vengono custoditi dal drago più terribile. Per raggiungere i tesori, bisogna andare dal drago … e baciarlo.” (Bert Hellinger) Nella descrizione del greve percorso che il protagonista si avvia ad intraprendere, l’autore fa ricorso alla mitologia greca, utilizzando le figure di Eros e Thanatos. La prima incarna la pulsione di vita, la seconda la pulsione di morte. Esse in perenne contrasto dominano e regolano la vita e le azioni dell’uomo. E’ il padre della psicanalisi, Sigmund Freud che le riporta in epoca moderna e le pone come forze opposte della psiche umana. La loro netta contrapposizione è altresì indice dell’unione dalla separazione, la felicità dal dolore, la vita dalla morte. Il catartico viaggio intorno e dentro l’amore, Taibi lo affida alla trilogia di racconti scritti da Salvatore, nei quali si evince l’atavico dualismo del trionfo di Eros su Thanatos o della vittoria di Thanatos sul dio del Desiderio. Questi venivano elaborati nei momenti di febbrile attività creativa, quando era in lui forte ed indomabile la necessità di dare corpo alle emozioni. Un ruolo fondamentale riveste la scrittura, che viene impiegata per ricodificare un’interiorità offuscata e disordinata da eventi irrisolti. Il non agito viene raffigurato mediante la riproduzione di altri possibili scenari, allo scopo di ampliare un pensiero critico capace di ristrutturare vecchi assetti mentali. L’ingegnosità nell’addentrarsi nei meandri delle dinamiche amorose consente a Salvatore, di elaborare nei racconti, la stesura di testi che mettono in luce una capacità espressiva, volta ad un’analisi composta ma profonda, dettata da una fervida propensione verso un genere di ricerca che ha come fine ultimo il rivelarsi a sé stesso. “Creatura complicata è l’uomo. Sa tanto di tante cose, sostiene Jung, ma conosce davvero pochissimo sé stesso. Il problema di cosa sia l’uomo è l’ultimo che ci poniamo. L’uomo è anche ciò che né lui né gli altri sanno di lui; si è contenti di non conoscere sé stessi, perché niente più di questo disturba il roseo bagliore delle illusioni. L’incontro con sé stessi è una delle esperienze più sgradevoli alle quali si sfugge proiettando tutto ciò che è negativo sul mondo circostante. L’uomo dovrebbe prima conoscere sé stesso, per poi vivere in armonia con la propria verità. Chi è in condizioni di vedere la propria ombra e di sopportarne la conoscenza ha già assolto una piccola parte del compito.” Nel primo racconto, “L’uomo felice”, il mancato riconoscimento dei propri lati oscuri con la conseguente identificazione in una recita a soggetto, conferma la fedeltà da parte di Luigi ad un falso copione nonché il forte contrasto fra l’interno in sé e l’esterno, ossia il mondo che lo circonda, perdendo di vista la realtà della sua vita coniugale. In preda ad una irragionevole bramosia confonde l’amore come il fine ultimo per raggiungere la felicità e la moglie diventa il mezzo atto a donargli quello stato di estasi. Elen, la controparte, vede, quello che un tempo era un grande sentimento, deteriorarsi dalla folle ed affannosa ricerca di Luigi. La posizione della donna di totale accettazione nel vivere un amore strumentale, le aveva consentito di raggiungere una visione incompatibile ma consapevole rispetto a quella del marito. La sua forza era scaturita dall’accettazione di uno stato di inquietudine e scontentezza che le aveva permesso di sostare in quelle torbide emozioni, riscoprendo un rinnovato desiderio di libertà da una condizione fortemente alienante. Dal canto suo Luigi, stretto nella morsa di una debolezza emotiva ormai incapace di risorgere come una fenice dalle sue ceneri, si suicida con un colpo di pistola, mettendo fine ad un’esistenza pregna di bugie ed illusioni: è la vittoria di Thanatos su Eros. Il tema dell’amore unico e totalizzante è il filo conduttore anche del secondo racconto: “Delirio d’amore”.  Intanto, Salvatore con “l’animo – scrive Taibi- ormai aperto a vecchie riflessioni e interrogativi rimasti senza risposta”, si inoltra come un fiume in piena in quegli anni, contraddistinti da un intimo turbamento, e si accinge a leggere la successiva storia, che funge da mediazione, in attesa di arrivare al trionfo di Eros su Thanatos. In quest’ulteriore cammino verso una maggiore comprensione di sé, Giovanni Taibi lascia intervenire, tramite il protagonista Walter, la funzione comunicativa dell’arte. Quest’ultima mediante le immagini, il colore o le forme è all’altezza di assolvere a questo importante compito. Il suo linguaggio è inteso da pochi, ossia da coloro i quali recano al loro interno una sensibilità fine e raffinata, coltivata, a volte, grazie all’incontro con sofferenze che aprono il cuore. L’incapacità di Marta (la seconda protagonista) di mostrare comprensione per lo stato di inettitudine nel quale lui era piombato, denota una mancata empatia congiunta alla paura dinanzi al grande sentimento che Walter provava per lei. Nuovamente ritorna l’amore come attaccamento, come unica via verso la felicità. L’inconsapevolezza dei personaggi, fin qui indagati, deriva dall’ignorare che ogni relazione che viviamo svolge una funzione di tipo evolutivo. Essa ci consegna un insegnamento utile al nostro processo di crescita, fondamentale per sviluppare talenti e virtù a costo di struggenti passioni.  La paura di oltrepassare l’abisso, il senso di colpa per ciò che non è stato, ma soprattutto non vivere e non lasciarsi vivere dal dolore della perdita ci rende ciechi agli occhi del nostro Sé Superiore. E” il viaggio dell’eroe, che la sua coscienza si appresta ad intraprendere per scoprire la vera essenza, un cammino intriso di prove che lo condurranno all’Autorealizzazione. La vittoria di Eros su Thanatos, l’equilibrio tra le due forze in perenne contrasto è rappresentata dal terzo racconto. In questo il protagonista Giulio, dopo aver trascorso parte della sua giovinezza in balia di avventure poco piacevoli, che riflettevano la voglia di esplorare il mondo per investigare in sé stesso, si ferma in un paesino di montagna, ritrovandosi a condurre una vita semplice, scandita dal lavoro manuale e dalla gentilezza degli abitanti. Gli si palesa una serenità a lui sconosciuta. Adesso i pensieri d’un tempo ossessivi e poco edificanti, avevano lasciato posto a momenti di rara armonia dentro e fuori di sé. L’arte, la riflessione e la speculazione gli erano stati necessari per affinare la mente, in modo da potere nel “qui e ora” godere della pienezza di una diversa vita, ma soprattutto della storia d’amore con Giada. Dopo quest’ultima lettura, Salvatore che aveva provato, per poi rinunciarvi ad incontrare Anna, ormai moglie e madre, tornato a Milano, decise di porre fine a questo strazio e cominciò a scrivere una lettera di addio. Anna ricevuta la missiva non rimase per nulla indifferente, e quelle parole riaprirono antiche ferite. E rivede gli anni del liceo quando per Salvo, innamorato perdutamente di lei, “era l’inizio della sua schiavitù. Dall’asservimento totale ad un sentimento, alla sua spersonalizzazione”. Benché non fosse stato dichiarato apertamente, Anna lo aveva capito, ma coscientemente aveva sempre eluso l’argomento. La mancata confessione di tali sentimenti avrebbe comportato nel tempo e nelle loro vite gravi ripercussioni, tali da compromettere un sereno percorso evolutivo. L’amore del giovane cresceva a dismisura come il tormento che lo attanagliava, decidendo, in una lettera, di esternare quell’incontenibile fiume di passione fino a quel momento celato. L’ombra del rifiuto sembrava seguirlo senza un anelito di speranza, finché non lo vide materializzarsi su un foglio di carta. La sua amata non corrispondeva il medesimo ardore. I pochi incontri nelle estati del paese, si consumavano dietro un’apparente amicizia. Baci languidi, tenere carezze accompagnati da abbracci appassionati nascondevano la potenza di un sentimento inespresso. Questi erano gli unici attimi di abbandono in cui il trionfo del dio Eros mitiga conflitti e discordanze, nonché attimi di estrema fusione fra maschile e femminile, rappresentato da Gustav Klimt, nel 1907, nell’opera “Il Bacio”. Le strade dei ragazzi si separarono definitivamente: Anna si iscrive in Lettere all’università della capitale, Salvo pur condividendo gli stessi interessi intellettuali vi rinuncia, quasi come un atto di fuga e opta per la facoltà di medicina a Milano. Gli anni di studio, per la protagonista, avevano un solo obiettivo: votarsi al divertimento e ad una leggerezza tale da permettergli di sconfiggere o addomesticare l’alienante senso di colpa che portava in pectore. L’incapacità di manifestare l’intensa attrazione che provava per l’amico, l’indifferenza e l’ambiguità palesata erano le cause di un incessante malessere. Il dilemma esperito consisteva nella contraddizione “della volontà con la sua idea” manifestando un’illibertà, intesa come negazione di autodeterminazione di sé, che scaturiva dalla mancanza della vera libertà, pilastro fondante di un “bello spirituale” (Karl Rosenkranz). E ciò si assiste parimenti nelle arti e nella poesia, in quanto netta divisione fra negatività estetica ed etica tale da generare una bruttezza che assume le sembianze del male. L’illusione e la delusione date a Salvo la tenne a debita distanza da qualsiasi implicazione sentimentale. Illuminante e rivelatore fu il breve viaggio, post- laurea, a Barcellona. Nel libro “L’uomo in rivolta”, Albert Camus scrive: “la rivoluzione consiste nell’amare un uomo che non esiste”. Forse Anna, inconsapevolmente, attendeva qualcuno in grado di mostrarle la sua autentica essenza. Tra le architetture e le feste della città spagnola conosce Miguel. Fra i due il magnetismo è istantaneo. Detentore di una fine sensibilità, egli riesce a percepire l’abissale inquietudine della giovane donna, la quale con estrema immediatezza gli confida di non avere ancora compreso quale fosse la sua effettiva identità sessuale. Era questo il nodo fondamentale che le aveva impedito di rivelare le proprie emozioni a Salvo. Ma adesso, grazie a Miguel, poteva vedere la sua vera immagine riflessa. Finalmente scoprendo la sua natura essenzialmente femminile ha termine il suo lungo e travagliato calvario. “La vita, sostiene Alejandro Jodorowsky, non ci fornisce quello che desideriamo, ma ciò di cui abbiamo più bisogno per evolvere la nostra coscienza”. A tal proposito uno schema d’interpretazione della realtà, ci è stato consegnato dall’antico popolo degli Esseni ne “I Sette Specchi Esseni”. Essi racchiudono il profondo significato delle relazioni umane, perché attraverso il rapporto con gli altri, ci viene mostrato nel “hic et nunc” la nostra realtà interiore. Nello specifico Anna specchiandosi in Miguel aveva vista riflessa sé stessa (Primo Specchio) e dal momento che l’esperienza d’amore vissuta con lui con grande ardore era risultata assolutamente perfetta, ciò le aveva fatto sciogliere quel suo groviglio interiore risultando alla fine sintetizzato nella massima “Tutto è perfetto”, come così descritto nel Settimo Specchio. Forte della sicurezza acquisita s’innamora di Paolo e lo convince, malgrado l’indecisione del fidanzato, a convolare a nozze. L’incontenibile insoddisfazione e il divorare le emozioni furono, da subito, avvertite dallo sposo ad appena un mese dal matrimonio dalle parole taglienti della moglie: “questa casa mi sembra vuota”. Di lì a pochi anni, misero al mondo tre figli e il ménage familiare divenne la tomba del loro amore, una dissoluzione preannunciata. La figura di Paolo, ad una prima lettura, risulta essere la più debole in quanto vittima esemplare di una donna in balia dei suoi irrisolti, “instabile ed inaffidabile”. Inoltre risulta evidente che lui, parafrasando lo scrittore, non aveva capito niente né di Anna, né di sé stesso né tanto meno del rapporto che li legava e che sembrava tanto solido da durare tutta una vita. “Ho rispettato la sua libertà”, afferma Paolo nel momento drammatico della separazione. La sua personalità comunque lascia alquanto perplessi e piuttosto basiti. In “Con te o senza di te”, il maestro spirituale Osho scrive: “Se ami una persona dille ciò che vorresti, anche se le tue parole sembreranno sciocche; a volte è un bene essere sciocchi”. Nella lunga convivenza Paolo non aveva mai parlato alla moglie delle rinunce fatte prima e durante il fatidico sì. Si era aggrappato a questo sentimento nella vana speranza dell’eternità, a discapito di sogni e progetti mai compiuti, mutilando, in tal modo, una parte di sé. E’ l’attaccamento a codesta illusione che egli scambia per amore. L’amore, in primis, è uno stato dell’Essere, è piena totalità e unità che sgorga dal profondo dell’anima. La libertà, da lui tanto decantata ed esposta con tono quasi fiero, denota una scarsa presa di coscienza della responsabilità nei propri confronti ed evince anche una mancata realizzazione della propria natura. Scelse pertanto di votarsi al sacrificio in nome dell’amore e della famiglia, dimenticando (massima di Oscar Wilde) che “Amare sé stessi è l’inizio di una lunga storia d’amore”. L’Autore ne esibisce un ritratto denso nella pienezza di una struttura compositiva ove è chiara la netta discordanza “tra forma e contenuto”: una raffigurazione composta da toni vividi dalla quale traspare una silente impotenza. “Non pochi sono quelli che amano gli altri per paura di amare sé stessi”, come sottoscriveva Jung. Intanto, in Anna, si radicava sempre più l’intenzione di dare una svolta alla sua vita, con Salvo.  Centrale, nel romanzo, è il ruolo che lei assume da protagonista indiscussa, è il perno che sorregge e distrugge le anime in cammino. L’Autore ci presenta un affresco di notevole intensità, un intreccio emotivo segnato su un percorso che oltre ad investire la personalità del soggetto ne rileva con delicatezza gli effetti sull’animo. Per comprendere l’universo tumultuoso, i moti che la spinsero ad agire in un modo tale da essere giudicata sconsiderata e disattenta nei confronti degli uomini che incrociarono la sua esistenza, è molto importante per tenere presente la crisi d’identità nella quale imperversava. Come un lupo, avverte il pericolo, non lo evita anzi si lascia trascinare dal suo sentire, poiché è perfettamente consapevole che non può opporsi al lungo viaggio verso la conoscenza, l’esperienza e in particolare la propria natura. Anna, intraprendendo la corsa alla riscoperta della “sua essenza selvaggia”, stava per addentrarsi nei meandri della propria autenticità. “Andate e lasciate che le storie, ovvero la vita, vi accadono e lavorate queste storie della vostra vita, riversateci sopra il vostro sangue e le vostre lacrime e il vostro riso finché non fioriranno, finché non fiorirete” (Donne che corrono coi lupi- Clarissa Pinkola Estès). Lo psicanalista Carl Gustav Jung sosteneva come nell’essere umano coesistano due parti diametralmente opposte: l’Anima che corrisponde al femminile e l’Animus corrispettivo del maschile. La conoscenza congiunta ad una loro armonica integrazione conduce la psiche all’equilibrio. Era questo il problema della nostra protagonista: in lei vigeva il caos. D’altronde, come o cosa avrebbe potuto rimediare nel dare o vivere? Innanzitutto, doveva curare ciò che andava guarito e non è pedisseque citare ancora una volta Clarissa Pinkola Estès: “In tempi duri dobbiamo avere sogni duri, sogni reali, quelli che, se ci daremo da fare, si avvereranno”. Rincontrare Salvo era il grande sogno di Anna e magari un nuovo inizio. Adesso era pronta, aveva dato un nome e un volto ai demoni che aveva osato guardare ed abbracciare. L’opera alchemica era stata compiuta: il piombo dopo un lungo e travagliato processo era stato trasmutato in oro. I tempi erano maturi per un confronto senza più ombre e remore. “L’uomo in pace con sé stesso, che accetta se stesso, dà il suo infinitesimale contributo al bene dell’universo. Ognuno presti cura e attenzione ai suoi conflitti interiori e personali e avrà ridotto di un milionesimo di milione la conflittualità nel mondo” (C. G. Jung). Questo inframmisto di Jung delinea l’altro protagonista principale: Salvo, la controparte. In seguito al rifiuto di Anna, resosi anche ridicolo ai propri occhi, spiandola da lontano, decide di porre fine a quell’inutile e malsano calvario di un amore non corrisposto al fine di dare senso e dignità alla sua esistenza. Ma la vita sentimentale, nel corso degli anni, si era dimostrata inesistente, una greve apatia si era impossessata del suo Essere. “Le donne che incontravo (si legge nel testo) entravano ed uscivano dalla mia vita e dal mio letto senza che sentissi il bisogno della loro presenza o il senso di vuoto della loro assenza”. Molto provato e deluso aveva chiuso il cuore a doppia mandata. L’incontro inaspettato con Anna, lo riempì di gioia. Finalmente vedeva il sogno concretizzarsi, ma fu soltanto una questione di attimi. Da giovane adolescente innamorato e ingabbiato e sopraffatto per tanto tempo in un sentimento che non riusciva a dominare, si smarrì e la lettera di addio alla sua amata era un falso d’autore. E’ la vittoria dell’incapacità di governare il proprio Io e l’assenza di amore e di rispetto nei confronti dell’unica persona con la quale trascorreremo tutta la vita: noi stessi. Un iniziale meccanismo di difesa che si dimostrò di offesa, un mancato viversi per vivere. Né vincitori, né vinti in questa storia! Giovanni Taibi offre al lettore un ventaglio di riflessioni su alcuni grandi temi di valore universale: l’amore, la solitudine, l’angoscia del vivere etc… Innumerevoli i rimandi in ambito filosofico, da Schopenauer nel cui pensiero, in minima parte, la vita oscilla fra il dolore e la noia, come si riflette sostanzialmente in un tratto della vita di Anna, all’Esistenzialismo di Jean Paul Sartre, o ancora da Jung, fondatore della psicologia del profondo, a Clarissa Pinkola Estès psicanalista di matrice junghiana, per infine sfociare nel campo della spiritualità con il maestro Osho. Un romanzo che raccontando la storia di un amore bruciato, si insinua nella parte più recondita dello spirito umano poiché il viaggio di un altro può essere anche il nostro, magari non nella similarità del vissuto ma perfino in un dettaglio, in un particolare, che noi riconosciamo appartenerci.

 

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