Elisa Roccazzella, “La follia del sole” (Ed. Thule)

di Dorothea Matranga

“La sai più lunga tu quando provi a sgranare la trama dell’ordito per appropriarti dei fili del mio cuore”. Vogliamo esordire con questi versi dell’autrice Elisa Roccazzella, contenuti all’interno della sua lirica “la sa lunga” nell’approccio all’analisi critico- letteraria alla sua opera. Elisa Roccazzella è una poetessa che definiamo <di sangue reale> per la preziosità del suo modo sopraffino e raro di comporre, per la sua maestria nel conferire alle liriche originalità ed eleganza, ricercatezza di termini e metafore, accostamento di figure retoriche, che brillano di luce e suono ritmico. Una musicalità infinita adagiata sulla trama poetica, che incanta in ogni lirica, lasciando il lettore impressionato da cotanta bravura, in un’estetica del verseggiare di sublime architettura, un’ars dictandi feconda di ginecei d’amore da cui sbocciano infiorescenze che profumano di vera poesia. Senza mai stancare, per la miriade di svariate immagini, che regalano sempre nuove emozioni, pur variando i temi, sempre profondi, temi sempiterni e universali. Non è casuale per noi il colore della silloge, un rosso amaranto che rimanda all’idea del cuore, al sentimento filiale che lega l’autrice al ricordo del padre. La silloge dal titolo “La follia del sole” edito Thule 2018 con bella prefazione di Tommaso Romano, ci offre in copertina il ritratto dell’autrice, appena diciassettenne. Il dipinto a olio (35 × 50) è di Liborio Diego Roccazzella, il papà dell’autrice. Già da questo particolare, primo approccio all’opera, notiamo il grande legame affettivo tra padre e figlia. Il padre era pittore, critico e professore di storia dell’arte. Ne è la prova la citazione che introduce la silloge “alla memoria di mio padre che mi trasfuse la sacralità dell’arte”. Il termine sacralità sottolinea e mette in evidenza il valore dell’arte in generale che è espressione del divino cogliere. Della capacità dell’animo sensibile di riconoscere le sfumature del trascendente nella quotidianità dei giorni, nelle meraviglie della natura e dell’universo, negli afflati dell’animo che in simbiosi col soffio eterno di Dio, riesce a creare meravigliose opere d’arte in ogni manifestazione della creatività umana, in poesia, in pittura, nella scultura ecc. Una capacità quasi messianica di riconoscere l’assoluta bellezza, anche nella semplicità delle cose. Tornando alle prime battute della nostra analisi critica, riguardo allo spogliare l’autrice, per metterne a nudo la sua anima, cercheremo di farlo con molta accuratezza ed elegante modus ducere, un modo ossequioso e riverente, come si addice a un animo nobile, a un’autrice che abbiamo stimato da subito come vera “regina del verso”. Nel dispiegare la nostra analisi, cercheremo di dare ampio spazio alla citazione dei versi per mostrarne la reale bellezza. Lo stesso prefatore Tommaso Romano evidenzia “una trascendenza interiorizzata nella redentiva forma lirica attraverso la contemplazione, ora assorta - ora vigile, “poesia come una classica e intramontabile purezza di accenti tra scale e solfeggi di memoria, dietro il muro del tempo. L’autrice stessa spiega nella lirica “dentro le parole” che cercherà di entrare dentro le parole. Uno scavare e rivangare dentro il termine stesso, per trovarne la radice, per nuovi impianti, nuove cesellature. Un lavoro archeologico meticoloso dentro il fonema, dentro la trama del logos, alla ricerca di parole ricercate e musicali, di parole piene di luce, per erigere il verso a tempio classico, un classicheggiante fiorire del campo semantico. “Entrerò dentro le parole, in un angolo del cuore, per la passione di assaporare essenze dolci e amare. Un precipitare e risalire dentro le memorie, un sobbalzare ai dolori, un abbandonarsi alle gioie, come nelle scale e nei solfeggi musicali. La vera sinfonia della vita, fatta di prove, di cadute, di suoni dolci e gravi, di quadri bui, ed elegiaci momenti di mera bellezza e gioia, di bucolici sereni luoghi dove l’essere umano trova l’energia, nuovo vigore dopo la pena e il dolore. E ancora nella lirica “ritorno” l’autrice parla con sé stessa “lo so che nessuno può chiedere al vento i petali della passata stagione” “ma sul poggio lassù posso almeno aspettare il tuo ritorno”. Chiaro, in questi versi, il riferimento al padre. Vi traspare una grande fede in Dio, che potrà restituirle, un giorno, il padre che le manca. Speranza e fede di rivederlo ancora una volta, un giorno, felicità nell’insieme ricongiungersi. Molti sono i testi lirici introdotti da citazioni latine, che aiutano e completano la comprensione del senso intimo della privata piega dell’anima. Tra questi i versi di un carme di un autore anonimo, che celebra la figura di Venere, signora della vita e della rinascita. Nella lirica “languore” introdotta da questa citazione a Venere, l’autrice pone la domanda “non vedi come vaghe le stelle si sciolgono i capelli presaghe di un sogno?”, sogno chiaramente nella rinascita, la consapevolezza che è possibile la vita eterna, la vita vera e immortale. Tutte le liriche che alludono al ritorno alla vita sono posteriori alla morte del padre dell’autrice. Un grande segno di voler combattere l’oscurità del cuore per la grave perdita, affidandosi alla fede e alla speranza come nella lirica “luci di garanza” “non getterò i miei occhi nel limo dell’oscurità”. Un’altra lirica è dedicata al Mons. Antonio Di Pasquale nel 50° sacerdotale. A lui l’autrice chiede di aiutarla a superare il dolore “dirada le tenebre del nostro Golgota”. Nella lirica “come Arianna” l’autrice nel suo dolce poetare scrive del suo notturno dipanare il filo dell’eternità, in compagnia delle stelle, ammirando il loro sfolgorio che chiama “chiacchierio nei crocicchi del cielo”. Trasuda amarezza nella lirica “tristezza”, amarezza per la mancanza di carezza, “l’amara dolcezza per la carezza che più non ho”. L’autrice dedica anche versi ai morti “I morti non vogliono stare soli” “in segreto ci amano i morti” “I morti pregano per noi”. E ancora nella lirica “Mare d’inverno” ci parla della salute del mare che è inquinato, lo chiama “sudario di mare” “la spuma a brandelli” per l’ambiente che respira il cadmio, velenosa sostanza che finisce per “flagellare le onde”. Alcune liriche ci affidano luoghi cari all’autrice, come la Senna “il languido scialbore” “nuda la Senna arriva ai ponti, dove due innamorati si scambiano mille promesse sull’onda segreta dei sogni”. Una grande sincerità mostra l’autrice nei versi della lirica “non cambierò certo il mondo”. Lei ha la consapevolezza di non poter cambiare il mondo, ma “verserò la mia lacrima nelle fauci dei mari”. Ancora stelle nella lirica dal titolo “Hyades“ costellazione del Toro. Dopo aver colpevolizzato il vento, alludendo secondo noi alle mutevoli condizioni della società del nostro tempo, che “strappa embrioni ai ciliegi”, forse in questo caso gli embrioni dei ciliegi corrispondono agli embrioni umani, che “succhia la linfa alle rose” si chiede “è forse quello che io m’aspettavo?” Qui l’autrice dà spazio alla disillusione e al crollo delle sperate speranze. Bello il parallelismo fra “l’ora di neve” nella lirica “Ora di neve” con il sacro momento dell’Annunciazione, rivestito di candore divino, fulgido e luminescente. Passionalità amorosa invece nella lirica “rossore di luna”, quand’anche la luna arrossisce e “Zefiro tremante di lussuria i dolci seni accarezza nella notte”. Molto bella la rivelazione contenuta nella poesia “non sai che ti amo” dove l’autrice spera, provando a dormire, di sognare l’amato. “Ti cerco nella lunga notte vichinga” “ti cerco in una casa abbandonata, la mia anima disabitata”. Nella poesia “bella più che mai” c’è un richiamo a una parte introduttiva della silloge, dove l’autrice, sotto il suo nome e cognome, scrive la dedica “bella più che mai”, un elogio alla Poesia, sua musa ispiratrice. La lirica stessa rappresenta una dedica alla musa Calliope che, l’autrice definisce in un aforisma “voce che non ha accento nei mortali”. Per finire, a completamento della nostra analisi critica, citiamo la lirica “in questa mia terra” dove l’autrice definisce la sua terra “terra dove i poeti volano con i sogni del mondo” “di sospiri e paladini” “e guerriero il ficodindia infuoca trazzere polverose d’eroismo e sangue”. Anche se il grido dell’autrice dipinge una terra “divorata dal sale” poi i versi s’aprono alla speranza “io, in questa mia terra, scommetto sogni e cesello madrigali” Tommaso Romano definisce la silloge di Elisa Roccazzella “il suo canzoniere intimo e universale”, un ossimoro che sembra inconciliabile. Invece è proprio ciò che connota i versi di questo specialissimo verseggiare, l’intimità, vissuta in maniera personale e singolare riveste, nell’universalità dei temi, una validità per tutti gli uomini del mondo, una qualità adattabile a tutto il genere umano. Eternità dei valori etici, autenticità d’intenti, profondità, grandiosa dimensione del registro linguistico, uso preziosissimo della forma, sentimenti che affidano ai versi emozioni contrastanti, un fiorire di immagini sempre vivide e piene di colori per una tela testuale di rara forgiatura all’insegna di un tono altamente elegiaco. I temi, l’eterna memoria, il ricordo, la speranza, le illusioni, il ciclo della vita e della rinascita, il dolore vissuto come momento catartico di viaggio verso la trascendenza, attraverso la Fede salvifica e purificatrice.

 

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