Dioniso in “Anomalie e Malie come Arte” di Vitaldo Conte

Riattraverso il mio libro ‘Anomalie e Malie come Arte’ (Rosa Rossa ed., Il Raggio Verde, Lecce 2006) in un mio saggio su ‘Pagine Filosofali’’. Alcune tematiche del libro sono state riferimento e titolo di ‘Extreme (le malie del perturbante)’: mio intervento al convegno sull’Arte e follia (2002) a Messina; mio blocco-notes (Ed. Gepas, Avola 2003).
 
‘Ditirambi di Dioniso’ di Nietzsche come suggestione
 
“ch’io sia bandito da ogni verità!
Soltanto un pazzo! Soltanto un poeta!….
(…) Sono io il tuo labirinto…” F. Nietzsche
I miei testi letterari e teorici “colloquiano” spesso con il pensiero e la lirica follia del Dioniso di Nietzsche. Li estrinseco anche in eventi di poesia-arte: come ne Il filo di Arianna a Roma, in cui interpreto i Ditirambi di Dioniso. Questi rappresentano la follia ultima di Nietzsche, vissuta da lui come poesia dionisiaca. Con questa forse voleva comunicare l’essenza e i segni di una verità fuori limite. Non scriverà più fino alla morte, senza possibilità di un “ritorno” nei confini dei linguaggi e del visibile ”descrivibile”.
     “Questa, questa è la tua beatitudine,
la beatitudine di una pantera e di un’aquila,
la beatitudine di un poeta e di un pazzo!  …” F. Nietzsche
Le Baccanti e i fedeli di Dioniso auspicano il suo ritorno per “resuscitare” i suoi riti con l’estatica frenesia che incarna la negazione di ogni limite. Dioniso è il dio della festa e della trasgressione religiosa. È un dio ebbro, la cui essenza divina è la follia: “Ma, per cominciare, la follia stessa è essenza divina. Divina, cioè a dire, qui, che rifiuta la regola della ragione” (G. Bataille). Questa essenza incarna una presenza archetipale della creazione pulsionale: può sconfinare nella follia per divenire “pagina filosofale”.
 
Follia come espressione di Arte sciamanica
 
L’arte, come lingua terapeutica, è uno strumento antico (che ha il tempo dell’uomo), come viene raccontato in miti e storie. L’artista, lavorando sulla cancellazione della distanza fra l’arte e l’esistenza, opera sull’ipotesi della “guarigione”: propria e altrui. Talvolta il genio “parla” attraverso l’anomalia, rianimando la figura del proprio interiore sciamano: l’essere “fuori norma”, che è contemporaneamente un creativo, un folle, un terapeuta, un sacerdote, uno stregone. Lo sciamanesimo è la ritualità più antica (le sue origini risalgono all’età della pietra): con questa l’essere umano ricerca il suo colloquio con l’intero creato e le molteplici realtà visibili e invisibili. E’, dunque, la nostra stessa radice, da cui possiamo sempre “riattingere” le sue possibilità, che sono sopite dentro di noi, atrofizzate dalle razionalistiche costruzioni della società consumistica.
Lo sciamano, utilizzando linguaggi creativi (il canto, la danza, il mimo, la pittura, la poesia, ecc.), ha suggerito a diversi autori, come ad Andreas Lommel, l’ipotesi che l’origine dell’arte, di tutte le forme della creazione, sia magica e che debba essere ricercata nelle pratiche sciamaniche: “Lungo il flessuoso e impalpabile confine in cui corpo e psiche si influenzano a vicenda, dalla notte dei tempi e dai quattro angoli della Terra ci provengono le voci confuse, inquietanti degli stati psicofisici estremi. Artista, sacerdote, terapeuta o sottile plagiatore delle menti più deboli?” (A. Lommel).
Lo sciamano, maestro dell’estasi, è l’intermediario fra gli esseri umani e gli spiriti, interiorizzando, con i suoi viaggi, le “altre” dimensioni in “un processo di sacralizzazione della realtà” (M. Eliade). Quando entra in trance, di cui è “terapeuta”, modifica volontariamente il suo stato di coscienza e di rapporto con l’ambiente, lasciandosi attraversare dalle percezioni sensibili. Ricerca l’avventura oltre per immergersi negli spazi del sogno e dell’anomalia.  Sembra “assentarsi” dal mondo, per muoversi e deambulare “visionario”, lasciandosi possedere dalla danza e dalle proprie ritualità espressive. Le cure sciamaniche, con i loro viaggi in trance, presentano delle analogie con le cure psicoanalitiche: gli spiriti malvagi, entrando nel corpo e nell’anima del malato, sono “richiamati” dallo sciamano, che li prende in sé “per comprenderli”. Il gruppo e lo sciamano appartengono allo stesso sistema simbolico di interpretazione dell’universo, insieme al malato che, svuotando la propria anomalia, la integra in un insieme armonico che appartiene alla lingua di quella comunità.  
Lo sciamano è un artista, anche quando “entra” nella malattia di un corpo o di una invisibile e oscura interiorità, vivendo l’esperienza nel sogno, nel delirio, nella partecipazione a una festa estatica. La danza e il canto sono, infatti, fra i mezzi più usati per raggiungere l’estasi, che simboleggia il volo magico e la fuoriuscita dal corpo. L’artista, lavorando sulla cancellazione della distanza fra l’arte e l’esistenza, opera sull’ipotesi della “guarigione”, propria e altrui. L’artista stesso è, talvolta, uno sciamano perché, al di là dell’entrare nella trance, ha la possibilità, liberandosi dai limiti terreni, di uscire da se stesso per attraversare l’invisibile, volando oltre i confini della mente anche attraverso la follia.
 
Il testo completo del saggio è su ‘Pagine Filosofali’:
 
 
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