Dal “Velo di Maya” di Schopenhauer, alla Distinzione per agire liberi grazie alla ragione e scoprire la Bellezza.

Inizio questo mio approccio con la grandiosa iniziativa del Prof. Romano e di suo figlio Ignazio, nel creare un nuovo social magazine CulturElite, motivando la scelta del titolo al mio articolo che non a caso richiama il titolo del bellissimo film co-scritto e diretto da Paolo Sorrentino la cui trama parla di un uomo che vuole ritornare all’innocente bellezza del suo primo amore adolescenziale, perché nella vita mondana di Roma capitale, trova una povertà di contenuti, cioè il nulla. Poi un flashback del suo primo innamoramento gli ridanno la speranza che nel mondo si possa ritrovare la vera sostanza delle cose. Il film si conclude con lo sguardo del protagonista che guardando l’alba vede sorgere un giorno nuovo. Tale pensiero è anche la mia speranza, che gli uomini possano  tornare a stupirsi della bellezza delle cose semplici per tornare ad apprezzare l’anima vera e intima dei valori essenziali, di riscoprire il bello non in ciò che è costruito su false impalcature che fanno sembrare bello ciò che bello non è, ma come cita lo stesso prof. Romano nel suo libro “Elogio della Distinzione”, siano capaci di rivedere le albe con occhi limpidi e cuori puri per cavalcare le steppe del nulla con lo stupore di chi vede lo splendore per la prima volta. Di questa capacità di stupirsi parla Giovanni Pascoli nel suo saggio il “Fanciullino” Lui afferma che in ciascun uomo vive un fanciullino che è sempre capace di meravigliarsi e vedere tutto come la prima volta, cioè con occhi da bambino. Partendo da questa considerazione ci si può a mio parere ricollegare al pensiero di Schopenhauer che nell’opera il Mondo espone in modo chiaro cosa sia per lui il concetto di bellezza. Nella concezione di Schopenhauer, la gnoseologia, articolata nei due concetti indissolubili di fenomeno e noumeno, nel fenomeno come rappresentazione, del noumeno come Volontà di rappresentare la realtà e nelle loro imprescindibili relazioni c’è insito quello che il filosofo chiama il “Velo di Maya” e anche il concetto di bellezza. Con l’espressione “Velo di Maya” Schopenhauer riprende concetti metafisici e gnoseologici propri della religione e della cultura induista, secondo cui questo < velo> di natura metafisica e illusoria separa l’uomo dalla conoscenza vera. Sch utilizza il Velo di Maya per spiegare come l’esistenza umana è come un sogno, la realtà così come ci appare non è la vera conoscenza, è soltanto un’illusione. Il compito del filosofo è squarciare il velo per conoscere la vera realtà raggiungibile attraverso l’esperienza del vivere.  La volontà inconscia nell’uomo produce il fenomeno coscienza che si può dividere tra intelletto e ragione. L’intelletto è al servizio della volontà, il comportamento morale deriva dalla volontà. Nell’esperienza estetica l’intelletto si pone allo stesso livello della volontà. L’arte si ammira guardando il bello disinteressatamente. In questo disinteresse, cioè con l’agire senza utilità nel mondo fenomenico, ci si spoglia della volontà e dal suo dominio che quasi ci costringe ad agire in modo utilitaristico nella realtà. La libertà per Sch è assenza di necessità. Da qui l’etica è possibile solo se esiste la libertà. Con l’estetica l’uomo si eleva e si libera dalle costrizioni della volontà ma solo con l’etica può rimanere in tale ambito. L’uomo ha la possibilità di scegliere il proprio comportamento etico adeguando le sue azioni. In questo processo in cui l’uomo si libera dalla schiavitù della volontà e sceglie il proprio comportamento diventando libero di fare le proprie scelte, senza dovere sottostare a doveri dettati dalla volontà che lo conduce molto spesso al dolore, c’è l’elevazione dell’uomo che consapevolmente sceglie la propria dirittura di cammino nel mondo fenomenico. Se l’intelletto dell’uomo e la sensibilità lo conducono a scelte mosse dall’intuito, nell’immediatezza di azioni non volutamente ragionate, la ragione come unione di più rappresentazioni, concetti astratti elaborati e rimaneggiati con cura lo portano a conclusioni che gli permettono di giudicare con i “lumi” della ponderata padronanza di una scelta intelligente e soprattutto libera da schemi precostituiti. Nel mio saggio su Antonio De Ferraris (1448-1517) una delle figure più illustri del Mezzogiorno d’Italia, umanista e filosofo, focalizzo la mia attenzione sul tema trattato ampiamente dal De Ferraris, la corruzione politica e morale della società del suo tempo e la “missione del dotto” che è quella di esprimere nelle opere il “vero”, denunciare i vizi e la degenerazione della cristianità. Temi che ci riportano alla ricerca della bellezza nelle cose. De Ferraris ripropone una letteratura non disgiunta dalla “sapienza” cui compete la “missione civilizzatrice” che tutti i grandi della letteratura hanno fortemente voluto. Foscolo, Petrarca, Leopardi, lo stesso Dante che sentiva l’esigenza di un Veltro riformatore. Il pensiero Galateano (del De Ferraris) è più che mai attuale ai giorni nostri dove il modernismo ha portato la società verso un consumismo sfrenato a scapito dei veri valori cristiani. Tornando al prezioso testo di Romano “ Elogio Della Distinzione” e al pensiero dello stesso ( in linea col mio pensiero) di far leva su quelle preziose fonti di autori consapevoli del fatto che ci troviamo in un periodo di decadenza culturale, sociale, politica, religiosa che ci conduce inesorabilmente al nulla, in un appiattimento e omologazione in cui tutti siamo uguali nel non essere, inteso non come la non attività ma come ricerca del piacere momentaneo, vacuità delle cose, lo svuotamento dell’io intelligente e il riempimento del sacco vuoto con azioni futili che vedono poi la loro ramificazione in obiettivi di orrenda concretizzazione. Essenziale è fare ordine dentro di noi, saper scegliere tra essere e non essere, tra momento di appagamento momentaneo, di breve durata, o educazione alla bellezza nel lungo periodo, scegliere la propria intelligenza o lasciarsi avvolgere dall’apparenza, capire o seguire la massa per una moda. Scegliete insomma di far parte di quella Élite di cui Romano con tanta enfasi ci parla, una Élite che ha una nobile missione da svolgere, riportare il mondo agli antichi e sani valori come la famiglia, cercare quello che in Giurisprudenza è chiamato Bene Comune, per la salvezza del mondo come creato (bellezza dimenticata) e dell’umanità indirizzata inesorabilmente verso l’oblio. Insomma utilizzando una citazione di Romano, occorre suscitare una nuova “gerarchia delle perfezioni” che senta il bisogno, come l’aria che respira di dare il proprio contributo a questa nobile causa alla quale io sento di appartenere, ma non per ricavarne un utile personale, ma come missione civilizzatrice, uno spogliarsi della volontà che spinge verso azioni mosse da utilitarismo egoistico ed un’elevazione dell’animo alla bellezza, scegliendo di essere liberi, di inneggiare alla bellezza per far capire cosa abbiamo perso, cosa potremmo avere e invece non abbiamo con l’utilizzo dell’intelletto anziché della ragione, abbandonandoci all’indistinto.      

 

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