(4 NOVEMBRE 1918 – 4 NOVEMBRE 2018) CENTENARIO DELLA GRANDE GUERRA – TESTIMONIANZE DA “LETTERE DAL FRONTE” DI GIOSUÈ BORSI – RICERCA STORICA DI GIOVANNI TERESI

 

 

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                            Giosuè Borsi -“Lettere dal fronte”

 

 

A Fernando Palazzi                                                                 Carpineti

                                                                                               29 Agosto 1915

 

non sono morto, come forse sospetti, e ti voglio sempre lo stesso bene, ma che vuoi? Ho sulle spalle tre mesi di vita di caserma, prima come volontario, poi come sottotenente. Se tu mi vedessi ora, coi baffetti, con la zucca rasata, in divisa grigio-verde, ti meraviglieresti delle mie arie bellicose e del mio piglio militaresco. Sono irriconoscibile. Letteratura? Non ho mai conosciuto codesta signora. Finalmente, dopo tanto sospirare parto domani per il fronte. Raggiungo il 125° reggimento fanteria. Vado a Plava, nell’alto Isonzo. Aspettando l’ora della partenza mi ricordo a qualche amico e a te per il primo. Avrei parecchie cose da raccomandarti sul conto mio, ma non ho testa al posto per farlo. L’idea che vado alla guerra mi esalta e mi riempie d’esultanza. Sono felice, felice a combattere. Chi m’avrebbe detto che un giorno sarei andato incontro alla morte come Mameli, Manara, Medici; che avrei combattuto in una guerra del risorgimento, con lo stesso animo dei garibaldini, con le loro stesse canzoni, contro lo stesso nemico! Ancora mi sembra un sogno. Ma poi non c’è niente di più bello che schierarsi contro questi orribili barbari che hanno premeditato per quarant’anni l’assassinio di tutta l’Europa. Bisogna punirli e ridurli alla impotenza. Ho il cuore ricolmo di sdegno contro questi mostri.

Viva la libertà! Viva la giustizia! La nostra causa è santa.

Dal fronte ti scriverò, se avrò tempo, o in ogni modo ti manderò qualche saluto. Poi se tornerò, parleremo di tutto, rideremo, vivremo in pace, sereni, felici, e discuteremo di letteratura e anche di teologia. Perché non ho rinunciato di persuaderti. Ho convertito già molti più duri di te.

Tu sei buono, e questo è tutto, è il fondamento della verità.

Abbiti un lungo abbraccio. Bacia per me la Emilia, sempre amatissima, e la tua Simona, che ormai sarà una donna adulta. Parlale un po’ di me. Descrivimi come un guerriero tutto lucente. A rivederci.

Pensa spesso al tuo Giosuè

 

 

A Ettore Romagnoli                                                                Padova

                                                                                            30 Agsto 2015

 

Ettore caro,

parto stasera per il fronte. Sono sottotenente di fanteria nel 125° reggimento.

Sono diretto a Plava, sull’alto Isonzo. Spero di poterti salutare domattina al mio passaggio da Padova. Se non fosse possibile, ti mando in fretta questo mio saluto.

Sono felice di andare a combattere. Da tre mesi sono sotto la armi e sospiro questo giorno. Al mio ritorno mi fermerò a raccontarti la nostra entrata a Trieste.

Saluta caramente la tua buona mamma, ricordami a tutti gli amici. Mia madre è più intrepida d’una madre spartana, e mi vede partire con gioia, benedicendomi e dicendomi di fare tutto il mio dovere.

Puoi figurarti se lo farò. Ho il cuore ricolmo di sdegno e di disprezzo per questi barbari abbietti che hanno affogato l’Europa nel sangue. Viva la giustizia, viva la libertà, viva l’Italia!

Vedrai che vinceremo. Il Signore ci aiuterà.

A rivederci dunque, mio Ettore. Non ti dico nulla, perché avrei troppo, troppo da dirti, e poi verranno i bei giorni, e lavorerò ancora al tuo fianco, e faremo tante cose.

Abbiti un lungo abbraccio dal tuo Giosuè

 

 

Al cardinale Maffi                                                                                   Pisa

                                                                                                           30 Agosto 1915

Eminenza,

finalmente parto per la guerra. Vado a raggiungere il mio reggimento, 125° Fanteria a Plava, sull’alto Isonzo. Se non l’avevo ancora ringraziato della Sua lettera, vorrà tenermi per scusato, poiché questi ultimi giorni sono stati per me affollatissimi. Tra le altre ho dovuto vestire, armare ed equipaggiare per la guerra ben tre compagnie di richiamati.

Come dirle, Eminenza, la mia gratitudine?

Le sue parole, anche dando una gran parte alla sua troppa indulgenza, basterebbero ancora a far insuperbire ben altri che me. Il Signore la rimeriti del conforto e del coraggio che m’infonde.

Spero, con l’aiuto di Dio e della Madonna, d’andare a combattere come un buon italiano, un buon soldato e soprattutto come un buon cristiano. Se tornerò, voglio che tutta la mia vita sia consacrata alla gloria e alla grandezza della Chiesa, la Madre da cui lo sento, il mondo folle, perverso, sanguinoso e triste, avrà la sua salvezza.

Vorrei dirle tante cose, Eminenza. Ne ho il cuore ricolmo. Ma sta per suonare l’ora della partenza. Dal fronte mi permetterò di ricordarmi ancora alla Sua bontà paterna, perché si degni di elevare per me il Cielo una preghiera. Per me il ricordo di Lei, della sua generosità così affabile e cordiale, del suo spirito così alto e illuminato, sarà uno dei miei conforti migliori.

Di tante cose che vorrei dirle, una sola non voglio tralasciare: raccomando alla sua bontà mia madre, che mi si è palesata in questi giorni una donna sublime. Chiamarsi spartana la sua intrepidezza, se non sapessi che cristiana dice infinitamente di più. Forse essa verrà presto a Pisa, per genuflettersi dinanzi a Lei e per dirle da parte mia a voce quello che io stesso non saprei scriverle. Si degni, Eminenza, d’impartirmi la sua alta benedizione, e creda alla venerazione sconfinata, all’amore fedelissimo, all’ossequio immutabile del suo obbedientissimo

Giosuè Borsi

 

Al tenente Gino Mazzinghi                                                     14 Settembre 1915

 

Mio carissimo Gino,

grazie del tuo saluto. Hai poi fatto in tempo per il plotone? Potevi chiedere l’atto di nascita direttamente al Comune con un vaglia. Qui sto bene. per ora da questa parte non c’è gran cosa, ma pare che si preparino grandi avvenimenti.

Ho già fatto due ricognizioni piuttosto rischiose a pochi metri dagli Austriaci, di notte, che sono andate benissimo. Ti racconterò. Non dire nulla a mamma, mi raccomando. Oggi lascio le trincee e torno al campo.

Penso molto a te con infinita tenerezza. Abbiti un caldissimo abbraccio dal tuo vecchio

Giosuè

 

Al fratello Gino                                                                                10 Ottobre 1915

 

Mio caro Gino,

ieri siamo tornati in prima linea, e oggi abbiamo avuto l’annunzio quasi inaspettato che stasera andremo all’attacco. Io sono in prima linea, al comando del secondo plotone. Avrei voluto scrivere a te più lungamente, ma tra un’ora partiamo, e non mi resta che un minuto per dirti che vado avanti tranquillo, sereno, felice di compiere tutto il mio dovere fino all’ultimo. Non ti dico niente a proposito di nostra madre, perché ho un’immensa fiducia nel tuo cuore e nella bontà della Provvidenza.

Speriamo del resto di poterci riabbracciare presto e allegramente, per raccontarci tante cose. Frattanto ti mando il mio più tenero bacio e il mio più lungo abbraccio, ardente come l’amore che ti porto. Viva l’Italia!

Giosuè

 

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                                                               Trincea al Plava 

 

Alla cara madre

 Ti sto scrivendo una lunga lettera, ma non so se faccio a tempo a terminarla.

Per non lasciarti priva di notizie ti scrivo in fretta che sto bene e che tutto va bene.

Ieri sono stato alle trincee, e mi sono stancato. Ma tu? Ieri speravo di riceve posta.

Spero che oggi mi verrà qualcosa, perché comincio a stare in pensiero. Saluta tutti e soprattutto manda un bacio a Gino, quando gli scrivi. A te una lunga stretta amorosa con tutta l’anima

tuo Giosuè

 

Alla madre                                                                                    21 Ottobre 1915

 

Mamma,

questa lettera, che ti giungerà soltanto nel caso che io debba cadere in questa battaglia, la scrivo in una trincea avanzata, dove mi trovo da stanotte con i miei soldati, in attesa dell’ordine di passare il fiume e muovere all’assalto. Volevo scriverla con minor fretta e con più calma. Oggi, se come tutto faceva credere, fossimo rimasti ancora accampati per un giorno a Zapotok. (…) Invece giunse l’ordine repentino di levare le tende e prepararci alla marcia d’avvicinamento. Ci guardammo, io e il tenente Maltagliati, mio compagno di tenda: “Ci siamo!” Ci stringemmo la mano con quella dolce effusione fraterna che solo chi è stato in guerra può capire. (…) In breve fummo armati e in ordine. (…) Ci siamo mesi in marcia sotto la luna, abbiamo salito il monte, siamo discesi dall’altro versante e, giunti sulla riva dell’Isonzo, ci siamo disposti in linea.

Fino all’alba ho lavorato con i miei soldati a scavare una trincea, vi ho disposto tre mie squadre e ne ho condotto una quarta con me, in questa trincea coperta, lasciata dagli avamposti. Sotto questa trincea scorre l’Isonzo, che vediamo dalle feritoie in tutta la sua incantevole bellezza. A valle si trova la testa di ponte di Plava, con due reggimenti pronti a rincalzare la nostra avanzata.

Di fronte a me, sulla riva opposta del fiume, si stende un bel paesino ridente. È Descla, uno degli obiettivi dell’azione affidata a noi. All’alba di stamani è cominciata la battaglia. (…) Tutte le posizioni nemiche sono state bombardate da una gragnola di proiettili d’ogni calibro. Tutte le posizioni degli avversari sono state bombardate. Tutte le trincee degli avversari sono state sconvolte (…) Una pattuglia austriaca, che occupava una trincea sulla mia destra, s’è vista rimanere sepolta, e due soldati sono stati scagliati in aria come fuscelli. L’artiglieria avversaria ha risposto debolmente e senza risultati. (…) Adesso siamo arrivati al pomeriggio. Sulle nostre ali s’è impegnato un fuoco di fucileria violentissimo e rabbioso. Poco sappiamo di quel che accade presso di noi. (…)

Sono tranquillo, perfettamente sereno e fermamente deciso a fare tutto il mio dovere, fino all’ultimo, da forte e buon soldato, sicuro della nostra vittoria immancabile. Non sono altrettanto certo di vederla da vivo, ma questa incertezza, grazie a Dio, non mi turba affatto. Sono felice d’offrire la mia vita alla patria (…),in mezzo a questa incantevole vallata della nostra Venezia Giulia, mentre sono ancora nel fiore degli anni, combatto in questa guerra santa, per la libertà e per la giustizia. Non piangere per me, mamma, se è scritto lassù che io debba morire. (…)

Pensa, mamma, che, quando tu leggerai queste parole, io ti guarderò dal Cielo, a fianco dei nostri cari: sarò con babbo, con la mia Laura, con Dino, il nostro angioletto tutelare. (…) No, non piangere, mamma, e sii forte come sei sempre stata; anche se non ti basta la compiacenza d’avere offerta alla nostra adorata Italia, questa terra gloriosa e prediletta da Dio, il santo sacrificio della vita d’uno dei tuoi figli … Vi sono al mondo tante sante e nobili battaglie da combattere per l’amore, per la giustizia, per la libertà, per la fede; e, per qualche tempo, lo confesso, mi sono anch’io, povero presuntuoso, creduto predestinato e designato al compito arduo di vincerne qualcuna. (…) Ed ecco che io mi distacco, tra il rimpianto di tutti coloro che mi amano, da una vita di cui già troppo sentivo il fastidio e il disgusto. Lascio la caducità, lascio il peccato, lascio il tristo e accorante spettacolo dei piccoli e momentanei trionfi del male sul bene, lascio la mia slama umiliante, il peso grave di tutte le mie catene, e volo via, libero, libero, finalmente libero, lassù nei cieli dove è il Padre nostro (…) Mamma perdonami! Perdonami tutti i dolori che ti ho dato, tutte le angosce che ti ho fatto patire … Perdonami se per negligenza e inesperienza non ho saputo procurarti una vita più agiata e tranquilla con il mio lavoro. (…)

Troppe altre cose avrei da dirti, ma non basterebbe un poema. Non mi resta che raccomandarti ancora una volta al nostro Gino. Dirgli a nome mio che serva volenteroso la patria, finché la patria avrà bisogno di lui, che la serva con abnegazione, con ardore, con entusiasmo, fino alla morte, se occorre. Tu prega molto per me, perché ne ho bisogno. Abbi il coraggio di sopportare la vita fino all’ultimo senza perderti d’animo, continua ad essere forte come sei sempre stata ed umile e caritatevole.

Addio, mamma; addio Gino, miei cari, miei amati.  Vi abbraccio con tutto lo slancio del mio amore immenso. (…) Che Dio renda fecondo il nostro sacrificio, abbia pietà degli uomini, dimentichi e perdoni le loro offese, dia loro la pace, e allora, mamma, non saremo morti invano. Ancora un tenero bacio.

Giosuè

 

Bibliografia: “Lettere dal fronte” (Agosto – Novembre 1915) Giosuè Borsi – Libreria Editrice Internazionale- Torino

 

 

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