Riti e magia

di Diego Romagnoli

Lo scopo della magia è di piegare le potenze sovrannaturali alla propria volontà e ai propri interessi utilizzando i riti rivolti a persuadere gli dèi, le preghiere, le formule (i cui termini sono nomi orientali, persiani, accadici, aramaici e copti)[1], gli incantesimi (che in base all’intenzione dell’agente si dividono in carmen bonum e in carmen malum)[2] e i sacrifici mentre la religione, utilizzando riti, preghiere e sacrifici si distingue dalla magia per l’assenza di razionalità e per la volontà di sottomettersi umilmente alla/alle divinità[3]. Infine i culti misterici pur utilizzando i metodi simili alla magia hanno come unico scopo finale l’uscita dal ciclo delle reincarnazioni e la completa unio mystica con la divinità (il fiore dell’intelletto degli Oracoli Caldaici).

Le fonti della magia sono: le defixiones o (stando agli epigrafisti) le tabulae defixionum le quali venivano incise soprattutto su sottili lamine di piombo; i papiri magici; i libri conservati su papiro. Gli ultimi due, essendo veri e propri trattati, includono testi di magia applicata, di raccolte contenenti ricette e istruzioni di ogni specie (come gli amuleti contro le malattie, le formule incantatorie e, soprattutto, le defixiones-maledizioni) e dettagliati scenari rituali. Un esempio è la Liturgia di Mithra il cui testo (identificato e isolato tra i documenti conservati dal grande papiro 574 che si trova alla Bibliothèque Nationale di Parigi) conteneva il rituale iniziatico dei misteri di Mithra[4] ma stando a padre Festugière, essa consisterebbe in un testo (non misterico) di magia osiriaca che è stato abbellito con alcuni elementi ermetici[5].

La magia, come i misteri, utilizza gli onómata barbariká-nomi barbari (trattati da Giamblico, nel libro VII del De mysteriis aegyptiorum, un’apologia filosofica della magia) i quali non sono nomi barbarici né ásema onómata-nomi privi di significato ma, come afferma Origene, onómata energhé-nomi di speciale potenza[6] ed epánankoi-parole che costringono un dio (sulla base di quanto scritto da Giamblico è la natura degli stregoni a forzare gli dèi). Essendo espressione linguistica dei popoli sacri dell’Egitto e della Mesopotamia, essi sono synghenê-connaturati nomi di dèi assiri e in particolare egiziani, sono immutabili nel tempo e non conservano interamente lo stesso significato se vengono tradotti[7]. Certi nomi (utilizzati dai sapienti egiziani e dai dotti maghi persiani) formano un sistema coerente contenente dei principi razionali noti soltanto a pochi individui[8].

Nell’antichità vi era una stretta relazione tra magia e misteri che viene mostrata soprattutto nei papiri magici e in qualità di combinazione e di concatenazione di riti diversi, essa viene chiamata tà mystéria o hai teletai, ove Mystérion è la cosa segreta designante altresì oggetti o strumenti magici come un anello o un unguento e teleté è la rappresentazione di qualsiasi rito. Si potrebbe pensare che questa terminologia, adottata dai maghi per determinati scopi, derivi dai riti misterici. Tuttavia il loro impiego e il fatto che un certo numero di tali riti si riaffaccino nell’ambiente della magia, induce a considerare la possibilità che essi abbiano esercitato un’influenza decisiva sulla formazione di quelli magici (tuttavia è molto difficile trovare conferme a tale tesi).

Alla Bibliothèque Nationale di Parigi nel papiro della presunta Liturgia di Mithra, il mago viene chiamato mýstes, mystagogós-colui che introduce ai misteri e il suo collega synmýstes-coiniziato. Non c’è alcun dubbio che egli, sottoponendosi a un preciso rituale (tramite un’esperienza molto vicina a quella dei culti misterici noti), si considerasse (auto-designandosi mystes) l’adepto di un culto misterico. Tuttavia nella magia e nei misteri vi sono gli elementi comuni: la segretezza, la proibizione della loro divulgazione, la ricerca del contatto diretto con la divinità tramite la indispensabile communio loquendi cum dis, l’accostamento ad essi mediante un complesso rituale d’iniziazione, l’anamnesi-reminescenza (in quanto i maghi cercano di ricordarsi bene ciò che il dio o il demone gli ha rivelato in sogno, mentre per i mystei, al fine di comportarsi nell’aldilà in modo corretto, è importante non dimenticare le istruzioni ricevute durante l’iniziazione), la prescrizione di una purezza rituale assoluta, l’astinenza sessuale (questi due elementi aggiunti sono necessari per prepararsi alla celebrazione del rito) e il pasto in comune costituito da vegetali e da vino invecchiato i quali (tò stóma pròs tò stóma-bocca a bocca) vengono consumati vis a vis dall’uomo e dal dio in modo che entrambi esprimano la loro comunione e la loro totale uguaglianza. Bevendo, il myste e lo stregone greco-egiziano si appropriano di una parte dell’essenza divina, ciò permette a loro di abbandonare l’esistenza umana al fine di incontrare il dio (dopo aver bevuto la pozione magica essi avranno «una cosa divina nel cuore»)[9]. Infine colui che conosce i particolari intimi della natura divina mostra di essere prossimo alla divinità[10].

Ma la differenza fondamentale della magia rispetto ai misteri è che l’esperienza del divino non è il suo obiettivo finale. Inoltre, e di ben maggiore importanza, nelle associazioni iniziatiche l’esperienza dei culti misterici è comunitaria[11]. La maggioranza dei testi dei papiri dimostra che i maghi operavano isolatamente e per i loro scopi personali[12]. Invece nei misteri se gli emittenti sono gli autori del messaggio rituale, il destinatario è il gruppo sociale che partecipa e assiste agli atti e alle parole rituali che costituiscono il rito magico[13]. Nei culti misterici vi è un’unica iniziazione (o, in qualche raro caso, una serie ben gerarchizzata di rituali) che, trasferita dal celebrante al gruppo dei mystei-iniziati, era sufficiente a modificare lo status dell’iniziato, invece nella magia troviamo una duplice iniziazione:

- da un lato nella práxis per compiere quell’unico rituale iniziatico che trasforma definitivamente il laico in mago e/o stregone il quale deve procurarsi un páredros-assistente sovrumano (un demone stando a Ireneo) o divino (come il dio Sole in persona) tramite la sýstasis, il rituale di presentazione del mago al dio (infatti la divinità è più potente del daímon). Essendosi autoî-iniziato, il mago potrà compiere ciò che un uomo normale non può realizzare da solo (come la divinazione e l’invio di sogni);

- dall’altro tutta una serie di rituali che trasformano lo status del mago al fine di promuoverlo a un livello di potere superiore[14].

Come già affermato precedentemente i culti misterici, praticano determinati riti il cui risultato è la systasis-unione con la divinità. Pur condividendola con la religione e la magia tuttavia essi differiscono: dalla prima per il fatto che essa rivolge i suoi insegnamenti e opera nei confronti delle moltitudini; dalla seconda in quanto, pur operando (come i misteri) all’interno di ristrette cerchie iniziatiche essa, ha fini puramente pratici (ad esempio il verso 160 del De Agricoltura di Catone facente cenno a un carmen ausiliare contro le lussazioni). In particolare i culti misterici fanno uso della teurgia la quale, come la magia, è stata donata dagli dèi.

Essa consiste in operazioni di carattere cerimoniale e incantamenti rituali di carattere esoterico, ossia il complesso, la sequenza e l’esercizio di pratiche rituali misterico-teurgiche (immutabili nel tempo e non molto differenti da quelle descritte nei Papyri Graecae Magicae ed in altri testi simili) evocanti il Divino allo scopo di favorire, attraverso i riti trasmessi da maestro a discepolo, l’iniziazione del neofita per gradi stabiliti (come accade nei misteri di Mithra)[15].

 

 

 

[1] Graf, F. La Magia Antica, Laterza, Bari, 22-53, 73 (2009)
[2] Ivi, 22-53, 94-113
[3] Ivi, 3-14
[4] Ivi, 3-14
[5] Ivi, 199-219; v. Festugière, A.J., L'ideal religieux E: Le valeur religieux des papyrus magiques, Halleux 1981
[6] See Origene, Contra Celsum IV, 33, 35
[7] Graf, F. La Magia Antica, Laterza, Bari, 199-219 (2009); v. Euripide, Ifigenia in Tauride, 1336 sgg.e Giamblico, I misteri d’Egitto, VII, 5
[8] Ivi, 22-53, 73
[9] Ivi, 199-219; v. Tambiah, S.J., The Magical Power of Words, in «Man», 3, 175-208 (1968)
[10] Ivi, 94-113, 199-219; Apuleio, Apologia, XXVI, 6; Giamblico, I misteri d’Egitto, VII, 5
[11] Ivi, 94-113
[12] Ivi, 94-113, 199-219
[13] Ivi, 199-219; v. Tambiah, S.J., The Magical Power of Words, in «Man», 3, 175-208 (1968)
[14] Ivi, 94-113; v. Ireneus, Adversus haererses I, 13, 3
[15] Lewy, H., Chaldean Oracles 228 Cairo (1956); St. Jerome, ep. ad Laetam 107,9; see Oracoli Caldaici, a cura di  Tonelli, A., BUR, Milano (1995); Ivi p. 5; Graf, F. La Magia Antica, Laterza, Bari, 3-14, 89-90 (2009).
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