“Le spose bambine schiave invisibili” di Domenico Bonvegna

Oltre mille ragazzine pakistane, in gran parte cristiane, convertite a forza all'islam. Ne parla un editoriale de Il Foglio del 29 dicembre. Neha è una delle mille ragazzine appartenente alle minoranze religiose che sono costrette a convertirsi alla religione islamica. Le ragazze ancora bambine, generalmente vengono rapite da conoscenti o parenti complici o da uomini in cerca di spose. Queste conversioni si sviluppano grazie alla complicità di magistrati e di funzionari della polizia.

Pare che in Pakistan, “la gente è così disperata che è costretta a scambiare la religione professata in cambio di cibo. Le persone sono costrette a convertirsi all'islam solo per un sacco di farina”. (Matteo Matzuzzi, Il dramma dei cristiani in Pakistan costretti a convertirsi per un pezzo di pane, 30.12.20, Il Foglio). In questo servizio Matzuzzi, racconta il lodevole lavoro di Aneeqa A (nome fittizio) avvocato che collabora con ADF International, organizzazione che difende la libertà religiosa ovunque nel mondo. Aneeqa è dovuta fuggire dal Paese, ma è ritornata per difendere e liberare le spose bambine cadute nelle mani violente di adulti senza scrupoli, che organizzano matrimoni forzati.

Quello delle spose bambine è un fenomeno assai diffuso nei paesi islamici. In Egitto la piaga dei matrimoni e delle conversioni forzate, vedono protagoniste, loro malgrado, le ragazze coopte. Secondo Il Foglio, i Paesi europei dovrebbero interessarsi di questa piaga, invece niente. Non si comprende dove sono finite le organizzazione femministe, per esempio quelle che recentemente sono andate in Polonia per manifestare violentemente contro il governo polacco reo di aver detto no all'aborto.

Niente le bambine forzatamente convertite e spose di uomini senza scrupoli non fa notizia. Forse perchè non si vuole disturbare il mondo islamico, oppure perché la sorte di queste povere cristiane non sensibilizza abbastanza le coscienze. Come mai il movimento femminista Me Too che si batte contro le molestie sessuali e la violenza sulle donne sul posto di lavoro, non prende a cuore questo problema?

A questo proposito è di qualche anno fa una lettera aperta di ACS (Aiuto alla Chiesa che Soffre) a Vanity Fair si rivolge ad Asia Argento, Meryl Streep, Sharon Stone, Uma Thurman e a tutte le loro colleghe, cioè a quante, con il movimento MeToo, hanno opportunamente richiamato l’attenzione del mondo sullo scandalo delle molestie sessuali subite dalle donne, in particolare nel mondo dello spettacolo.

L’iniziativa della fondazione pontificia scaturisce dallo stridente e intollerabile contrasto fra questa efficace campagna pubblica sostenuta da tanti volti famosi e la totale indifferenza, anzitutto mediatica, verso le tantissime donne che patiscono violenze sessuali e psicologiche per ragioni di fede.

“Abbiamo voluto lanciare una provocazione”, commentano Alfredo Mantovano e Alessandro Monteduro, rispettivamente Presidente e Direttore di ACS Italia. “Per questo chiediamo a quattro famose attrici di prendere a cuore anche le decine di migliaia di donne che in molti Paesi, soprattutto quelli in cui dominano i fondamentalismi, subiscono violenze indicibili solo perché professano un’altra religione, nella maggior parte dei casi quella cristiana.”.

Per questa campagna di sensibilizzazione Acs ha scelto tre di queste vittime in rappresentanza di tutte le altre.“La lettera aperta – proseguono Mantovano e Monteduro - è corredata dei volti di Rebecca, Dalal e Suor Meena, rispettivamente una cristiana nigeriana schiavizzata dai terroristi di Boko Haram, una yazida irachena violentata dai miliziani dell’ISIS e una cristiana indiana violentata dagli estremisti indù”.

Le tre testimoni sorreggono altrettanti cartelli con gli hashtags #MeToo - #NotJustYou - #StopIndifference. Ma non vogliamo limitarci alla pur necessaria denuncia dell’indifferenza. ACS-Italia ha appena costituito un Fondo di solidarietà per le donne, anzitutto cristiane, vittime di violenza a causa della fede. Le donazioni che riceveremo saranno destinate a specifici progetti di sostegno alle donne perseguitate. Il nostro obiettivo – concludono – è che il #MeToo sia finalmente per tutte.”.

Dalal, ragazza yazida irachena violentata dai miliziani dell’ISIS, si unisce alla campagna ACS #MeToo per tutte e si rivolge alle donne del movimento #MeToo: «Battetevi anche per noi che abbiamo subito violenza in nome della fede. Date voce alle tante di noi che sono state mercificate nell’indifferenza generale. Svegliate la comunità internazionale!».

Non è infatti più tollerabile la sofferenza causata alle donne: dalla sharia, cioè la legge islamica; dalle conversioni e dai matrimoni forzati, anche di minorenni;

dai rapimenti e dagli stupri perpetrati da formazioni terroristiche; dalle conseguenze dei fondamentalismi religiosi; dall’oppressione dei totalitarismi.

La lettera di Acs si concludeva con due brevi schede riportando alcuni episodi di violenza nei confronti di ragazze rapite e costrette a sposare uomini musulmani in Egitto e in Pakistan.

Marilyn, cristiana egiziana 16enne rapita vicino Mynia per essere data forzatamente in sposa a un musulmano, convertendola all’islam, nello scorso settembre è riuscita a tornare a casa dopo 92 giorni. La storia di altre decine di ragazze cristiane rapite non ha avuto questo lieto fine. Le famiglie rimangono spesso sole, perché le autorità definiscono queste ragazze “sparite” anziché “rapite” e non realizzano indagini adeguate. Un ex rapitore ha recentemente dichiarato che quello dei rapimenti delle ragazze è un business “fruttuoso” e che vi è una rete islamista con alcuni elementi in Arabia Saudita disposta a pagare oltre 2.000 euro per comprare una ragazza cristiana.

Asma, ragazza pakistana, aveva rifiutato coraggiosamente di sposare un musulmano, che voleva costringerla a convertirsi all’islam. Asma è stata cosparsa di carburante e bruciata viva. Ricoverata d’urgenza con il 90% del corpo ustionato, è deceduta il 23 aprile a Lahore. Mentre la comunità locale piange e chiede giustizia, la sua vicenda ricorda quella di Sonia Bibi, 20enne cristiana di Multan, anche lei arsa viva dal suo aguzzino tre anni fa.

La violenza contro le donne ha colpito anche due ragazze musulmane pakistane che vivevano in Italia: la prima, Sana Cheema, 25 anni, residente a Brescia, è stata uccisa durante un soggiorno nel suo Paese, perché voleva sposare un italiano; la seconda, Farah, 18 anni, che viveva a Verona, è stata riportata con l’inganno in Pakistan e lì costretta ad abortire, perché aspettava un figlio da un cristiano.

 

 

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