“Il Gioco degli Scacchi. Breve storia” di Carla Amirante

  A Palermo, nella Cappella Palatina del Palazzo dei Normanni è dipinta la scena di  una partita di Shatranj, l’antenato degli Scacchi moderni, giocata su una scacchiera monocromatica da due notabili arabi, seduti con le gambe incrociate e con in testa il tipico turbante. Questa iconografia è stata eseguita quando il re normanno di Sicilia Ruggero II d'Altavilla fece erigere la chiesa nel 1143 circa ed è ritenuta  la più antica pittura in Italia di una partita di scacchi. Anche Dante, nella Divina Commedia (Paradiso, canto XXVIII, versi 91-93) cita il gioco con questi versi: « L'incendio suo seguiva ogne scintilla; /ed eran tante, che 'l numero loro / più che 'l doppiar de li scacchi s'inmilla». Il sommo poeta usa l'espressione "doppiar de li scacchi" alludendo alla leggenda della duplicazione dei chicchi di grano notissima in epoca medievale con il nome di Duplicatio scacherii che veniva usata per dare l'idea del numero immenso degli Angeli presenti nei cieli. Ma la leggenda è ancora più antica e risale proprio al periodo delle origini del gioco.

   Le storie e le leggende raccontate sull'origine degli scacchi sono molte e tutte riferiscono che essi sono nati in India e poi arrivati in Europa attraverso la mediazione dei Persiani e degli Arabi. La loro origine indiana è testimoniata dall’espressione scacco matto (tedesco Schachmatt), che deriva dal persiano shah (re) e dall’arabo mat (è morto). Ma la leggenda che ha avuto la maggiore diffusione è la seguente: C'era una volta un ricchissimo Principe indiano. Le sue ricchezze erano tali che nulla gli mancava ed ogni suo desiderio poteva essere esaudito. Mancandogli però in tal modo proprio ciò che l'uomo comune spesso ha, ovvero la bramosia verso un desiderio inesaudibile, il Principe trascorreva le giornate nell'ozio e nella noia. Un giorno, stanco di tanta inerzia, annunciò a tutti che avrebbe donato qualunque cosa richiesta a colui che fosse riuscito a farlo divertire nuovamente. A corte si presentò uno stuolo di personaggi d'ogni genere, eruditi saggi e stravaganti fachiri, improbabili maghi e spericolati saltimbanchi, sfarzosi nobili e zotici plebei, ma nessuno riuscì a rallegrare l'annoiato Principe. Finché si fece avanti un mercante, famoso per le sue invenzioni. Aprì una scatola, estrasse una tavola con disegnate alternatamente 64 caselle bianche e nere, vi appoggiò sopra 32 figure di legno variamente intagliate, e si rivolse al nobile reggente: "Vi porgo i miei omaggi, o potentissimo Signore, nonchè questo gioco di mia modesta invenzione. L'ho chiamato il gioco degli scacchi". Il Principe guardò perplesso il mercante e gli chiese spiegazioni sulle regole. Il mercante gliele mostrò, sconfiggendolo in una partita dimostrativa. Punto sull'orgoglio il Principe chiese la rivincita, perdendo nuovamente. Fu alla quarta sconfitta consecutiva che capì il genio del mercante, accorgendosi per giunta che non provava più noia ma un gran divertimento! Memore della sua promessa, chiese all'inventore di tale sublime gioco quale ricompensa desiderasse.Il mercante, con aria dimessa, chiese un chicco di grano per la prima casella della scacchiera, due chicchi per la seconda, quattro chicchi per la terza, e via a raddoppiare fino all'ultima casella. Stupito da tanta modestia, il Principe diede ordine affinché la richiesta del mercante venisse subito esaudita. Gli scribi di corte si apprestarono a fare i conti, ma dopo qualche calcolo la meraviglia si stampò sui loro volti. Il risultato finale, infatti, era uguale alla quantità di grano ottenibile coltivando una superficie più grande della stessa Terra! Non potendo materialmente esaudire la richiesta dell'esoso mercante e non potendo neppure sottrarsi alla parola data, il Principe diede ordine di giustiziare immediatamente l'inventore degli scacchi. In effetti il numero di chicchi risultante è di 2 alla 64 meno1, pari al numero esorbitante di 18.446.744.073.709.551.615.

  

   Nel gioco degli scacchi è evidente l’antico modello bellico e strategico degli eserciti dell’Oriente: due armate disposte nell’ordine di battaglia, con le truppe leggere dei Pedoni in prima linea, il grosso dell’armata costituito da truppe pesanti, i carri da guerra (le Torri), i cavalieri (i Cavalli) e gli elefanti da combattimento (gli Alfieri), infine il Re con la Regina o il suo “Consigliere” al centro delle truppe. La forma della scacchiera corrisponde al tipo “classico” del Vastu-mandala con il diagramma simile al tracciato di un tempio o di una città, ma anche il simbolo dell’esistenza intesa come campo d’azione delle potenze divine. Nel gioco il combattimento ha una valenza universale perchè rappresenta il duello che in oriente si svolge tra i devas e gli asuras, mentre in occidente un combattimento simile avviene tra gli dei e i titani o tra gli angeli (i devas della mitologia indù) e i demoni. La più antica descrizione di questo antico passatempo si trova nelle Praterie d’Oro dello storico arabo al-Mas’udi, vissuto a Baghdad nel IX secolo, il quale attribuisce la sua invenzione o codificazione al re indù, Balhit, discendente di Barahman, confondendo la casta dei Brahmani con una dinastia. Invece l’origine brahmanica di tale svago è dimostrato dal carattere sacerdotale della scacchiera che ha il diagramma formato da 8x8 quadrati, gli ashtapada, e si presenta come lo sviluppo di un cubo con le 4 facce distese sul piano orizzontale ad indicare i 4 elementi del Quaternario: terra, aria, acqua e fuoco. Inoltre scrive al-Mas’udi che il simbolismo bellico del gioco si riferisce agli Kshatriyas, la casta dei principi e dei nobili, e che per gli Indù l’uso degli schacchi, lo shatranj, è una scuola di governo e di difesa. Sembra pure che il re Balhit abbia scritto un libro sul gioco, costruendo su di esso un’allegoria con i pianeti e i dodici segni zodiacali, dedicando ad ogni pedina un astro. Va specificato che gli Indù contano otto pianeti il sole, la luna, i cinque pianeti visibili ad occhio nudo e Rahu, l’astro oscuro delle eclissi e danno a ciascuno di questi il potere su una delle otto direzioni dello spazio. Continua al-Mas’udi: Gli Indiani attribuiscono un misterioso significato alla progressione geometrica effettuata sulle caselle della scacchiera; essi stabiliscono un rapporto fra la causa prima, che domina tutte le sfere e a cui tutto fa capo, e la somma del quadrato delle caselle della scacchiera. Qui, l’autore sembra confondere il simbolismo ciclico degli ashtapada (i quadrati) con la famosa leggenda sull’inventore del gioco che aveva chiesto al monarca di riempire le caselle della sua scacchiera con i chicchi di grano fino alla 64° casella, ottenendo così il totale di 18446744073709551616 chicchi. In tal modo il simbolismo ciclico della scacchiera esprime lo sviluppo dello spazio secondo il quaternario e l’ottonario delle direzioni principali (4×4x4=8×8), e sintetizza i due grandi cicli complementari del sole e della luna, con il duodenario dello Zodiaco, delle 28 case lunari e del numero 64, somma delle caselle della scacchiera e sottomultiplo del numero ciclico fondamentale 25920, la misura della processione degli equinozi. Ciascuna fase di un ciclo, fissata nello schema di 8×8 quadrati, è dominata da un astro che simboleggia l’aspetto divino personificato da un deva. Questo mandala rappresenta sia il cosmo visibile che il mondo dello Spirito e della Divinità nei suoi molteplici aspetti e, a ogni fase del gioco, il giocatore è libero di scegliere fra varie possibilità. Ma ogni mossa porta a una serie di conseguenze inevitabili in cui la necessità diviene il limite della libera scelta e la fine del gioco non è il frutto del caso ma il risultato del rapporto tra volontà-destino e libertà-conoscenza. Inoltre per la natura stessa del gioco l’impulso cieco, libero e spontaneo, mostrerà di essere una non-libertà mentre la preveggenza e la conoscenza delle varie possibilità permetteranno al giocatore di conservare la sua libertà d’azione. L’arte regia quindi dovrà governare il mondo esteriore e interiore in conformità con le sue leggi usando la sapienza e la conoscenza di tutte le possibilità presenti nello Spirito universale e divino. L’insegnamento del gioco degli scacchi vuole dimostrare che lo Spirito è la Verità e solo nella Verità l’uomo è libero, fuori di essa è schiavo del destino.

  Le prime notizie di questo gioco da tavolo si trovano già in alcuni antichi poemi persiani (VI-VII secolo d.C.) che lo chiamano Chatrang e lo descrivono molto simile al moderno gioco degli scacchi, esse dicono pure che sia derivato da un precedente gioco indiano, lo Chaturanga; per alcuni studiosi invece quest’ultimo con alcuni tratti comuni proviene da un gioco cinese ancora più arcaico, lo Siangki.

  Nel 1972 nel Sud dell'Uzbekistan, presso la località di Afrasaib, sono stati trovati degli antichi pezzi del Chaturanga datati al 760 d.C. per la presenza sul posto di una moneta del 761 d.C.. Si pensa pure che lo Chaturanga abbia origini più antiche risalenti forse al I o II secolo d.C., e che fosse già molto popolare all’epoca del ritrovamento perchè i pezzi trovati sono lavorati molto finemente. Comunque la diffusione del nuovo gioco dovette essere rapida per opera dei mercanti e dei carovanieri, desiderosi di portare nelle rispettive patrie ogni novità da offrire e vendere. Con il tempo le nome e le regole del Chaturanga cambiarono a seconda della regione di adozione, così il gioco fu chiamato Chatrang in Persia e Shatranj presso gli Arabi, mentre le regole, cambiando nel tempo, diedero sempre più forma all’attuale gioco.

   Gli studiosi in principio ritenevano che il gioco degli scacchi fosse arrivato in Europa nel IX o X sec. attraverso i contatti con gli Arabi, ma tale certezza è venuta meno quando, nel 1932, in Molise nell'antica città di Venafro (IS), in una antica necropoli romana, sono stati rinvenuti dei pezzi intarsiati in osso di un gioco da tavola che riproducono alcuni componenti degli scacchi identici a quelli riportati nei codici miniati del Medioevo. Dalla datazione stratigrafica questi sono risultati essere del II-IV secolo d.C. e dal confronto con altri pezzi simili ritrovati nella catacomba di San Sebastiano e conservati nel Museo Cristiano del Vaticano, alcuni studiosi, fra cui O. Elia e H. Fuhrmann, hanno ipotizzato che il gioco sia arrivato nell'Impero romano già nel II o III secolo d.C. tramite i legionari tornati in patria dopo le guerre combattute in Oriente e in Persia. Più di una fonte letteraria dell'epoca cita un antico gioco da tavolo, il latrunculorum lusus, praticato dai soldati e somigliante in parte a quello degli scacchi, ma differente per l'uso dei dadi; molti storici hanno perciò ritenuto che il gioco romano derivi in parte dal Chatrang persiano per alcune caratteristiche comuni, tranne che per l’uso dei dadi, e che sia stato diffuso dai soldati romani con le loro conquiste nel resto dell'Europa. Per quanto riguarda gli scacchi odierni, in particolare gli esperti anglosassoni hanno contestato la datazione dei pezzi di Venafro fatta da O. Elia e H. Fuhrmann, perché questi presentano nell’aspetto una foggia  araba, indicando un origine posteriore al II-IV secolo d.C.

  La diatriba fra le due diverse correnti di pensiero è andata avanti fino al 1994, quando per mezzo di una rigorosa datazione al radiocarbonio fatta dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli, dove sono conservati i reperti, si è stabilito che  essi risalgono al 980 d.C. circa, avvalorando così la tesi degli studiosi anglosassoni. Ma nell'estate del 2002, a Butrint, in Albania, presso un palazzo tardo-bizantino del 465 d.C., è stato scoperto un altro reperto che assomiglia molto al Re degli scacchi attuali e che, datato intorno al V secolo d.C., rappresenta oggi il più antico pezzo di scacchi ritrovato, spostando nuovamente indietro nel tempo l’ingresso del gioco in Europa.

   In Europa le prime testimonianze scritte sugli scacchi risalgono intorno all'anno 1000 d.C. e sono di provenienza iberica, dove era intensa l'influenza degli Arabi e dove il gioco si era diffuso anche fra i ceti più elevati, tanto che la destrezza nel gioco era considerata una delle probitas (virtù) del vero cavaliere. Tantissimi poemi del periodo medievale citano gli scacchi nei loro versi o ne fanno l'argomento unico della composizione letteraria, come il francese Les échecs amoureux con i suoi 30.060 versi, il trattato Liber de moribus hominum et officiis nobilium super ludo scachorum del frate Jacopo da Cassole dell'ordine dei Domenicani, il quale usa questo svago come fonte di ammaestramenti morali. Grazie a quest'opera il gioco degli scacchi tornò in auge dopo essere stato proibito con un editto papale da Papa Alessandro II alla fine del XI sec. a causa di una lettera del 1061, scritta da Pier Damiani cardinale di Ostia. L’alto prelato nella lettera condannava gli scacchi come gioco d'azzardo, perché molti giocatori dell'epoca con il lancio dei dadi facevano scommesse sui movimenti delle pedine, rendendo in tal modo la competizione più eccitante e più simile al latrunculorum lusus dei legionari romani.

  I primi veri e propri trattati scacchistici sulle regole e tecniche di gioco ebbero come unico argomento la problemistica, la risoluzione di posizioni precostituite dei pezzi sulla scacchiera che potevano portare alla vittoria  o al pareggio di uno dei due schieramenti solo attraverso difficili e nascoste sequenze di mosse. Spesso tali posizioni, detti partiti, divenivano la base di scommesse fra giocatori: celebre il Tractatus partitorum Schachorum Tabularum et Merelorum Scriptus del 1454, rinvenuto nel 1950 alla Biblioteca Estense di Modena. Il trattato costituisce la maggiore raccolta di problemi scacchistici (533), giunta fino a noi, riportando soluzioni sia in latino che in volgare e fa comprendere come il gioco fosse praticato da ogni ceto sociale.

  Nel XVI secolo gli scacchi raggiunsero un periodo di grande fulgore, in Spagna divennnero il gioco ufficiale di corte, mentre in Italia apparvero i primi esperti giocatori con mecenati e regnanti di tutte le corti che si contendevano i campioni senza badare a spese, organizzando tornei e sfide con ricchi premi. Famosi giocatori furono Leonardo Cutrio, o da Cutro, (1552-1597), detto "il Puttino", e il suo grande rivale Paolo Boi (1528-1598), soprannominato "il Siracusano". Si narra che Leonardo Cutrio riuscì a liberare suo fratello, catturato dai feroci Saraceni, giocandone la libertà a scacchi con il capo dei pirati; altrettanto fece Paolo Boi, che, catturato dai Turchi durante il viaggio di ritorno dalla Spagna, vinse contro il capo dei Turchi 2000 zecchini, oltre alla propria libertà. Contemporaneo del Puttino e del Siracusano Giulio Cesare Polerio, detto "l'Abruzzese", oltre ad essere un grande scacchista, lasciò preziossime testimonianze sullo stile di gioco di quel periodo, con l’opera L'elegantia, sottilità, verità della virtuosissima professione degli scacchi. Ma il giocatore più famoso del XVI fu Gioacchino Greco, detto "il Calabrese", che viaggiò per tutta l'Europa, da una corte all'altra, recandosi in Inghilterra, Francia e Spagna, dove primeggiò alla corte di Re Filippo IV.  Va pure ricordato lo spagnolo Ruy Lopez de Sigura con il Libro de la invencion liberal y arte del juego del Axedrez, muy util y prouechosa del 1561, tradotto in varie lingue e divenuto subito testo di riferimento per i giocatori dell'epoca.

   Nel Seicento gli scacchi furono oggetto di strane bizzarie e, tra erudite polemiche e rivalità fra i maggiori trattatisti del secolo, subirono "deviazioni" dalle regole dello stile classico risentendo degli effetti del barocco, come era pure avvenuto nelle arti. Tra le variazione al gioco classico furono introdotti due nuovi pezzi, il Centurione e il Decurione, ed anche modificate le dimensioni della scacchiera, portata da 64 a 100 caselle. Il culmine di questa mania degli scacchi eterodossi raggiunse l'apice nel Settecento con l'opera Il Giuoco della Guerra del 1793 dell'avvocato genovese Francesco Giacometti; in essa il gioco fu modificato ad uso dei militari, sostituendo i pezzi classici con altri denominati Generali, Cannoni, Mortai e Fortezze. Ma nessuna di queste variazioni ebbe fortuna. Tanti altri trattati vennero pure redatti in questo secolo finché nel XVIII apparve André Francoise Danican Philidor, detto "il Grande", nato in Francia a Dreux nel 1726, e considerato il maggiore trattatista del XVIII secolo. Egli, musicista e cofondatori dell'opera buffa francese, fu soprattutto famoso come giocatore di grande forza e come autore della Analyse du jeu des échecs, sua unica opera sugli schacchi, pubblicata a Londra nel 1749. Il trattato spiegava agli appassionati del gioco concetti nuovi e sconosciuti all'epoca, che venivano riassunti nella celebre frase “I Pedoni sono l'anima del giuoco degli scacchi": l'umile Pedone doveva avere un'importanza fondamentale nella conduzione accorta di una partita. Il libro ebbe un tale successo che ne furono stampate 60 edizioni in varie lingue.

   Intanto i giocatori di scacchi avevano preso l'abitudine di incontrarsi nei caffè delle città, già luogo di ritrovo di artisti e letterati; in uno dei caffè più rinomati di Parigi, il Cafè De La Régence, nella piazza del Palazzo Reale, personaggi illustri, come Voltaire e Rousseau, e amanti del gioco trascorrevano il tempo libero fra chiacchiere e  partita a scacchi. In Inghilterra, fra il 1700 ed il 1770, a Londra i giocatori frequentavano il Caffè Parsho e in via St. James e il Caffè Tom nel cuore della City, che divenne in seguito la sede ufficiale del famoso London Chess Club con i migliori scacchisti inglesi. In Italia invece luoghi di ritrovo tra gli amanti degli scacchi furono le Accademie, dove nelle riunioni periodiche i membri oltre a scambiarsi opinioni e idee di ogni genere si divertivano anche con giochi di società; celebri furono le Accademie di Napoli, Parma, Modena, Padova e Reggio Emilia. Ma i giocatori più bravi dell'epoca erano gli stranieri perché in Italia le regole del gioco erano diverse da quelle seguite negli altri paesi europei e i trattati italiani, a differenza di quello di Philidor, non ebbero influenza sull'evoluzione teorica del gioco.

   Nell’Ottocento il giocatore "romantico" rifuggiva dalle considerazioni strategiche e materiali delle forze in campo sulla scacchiera e spesso e volentieri cercava il colpo a sorpresa, il sacrificio inaspettato e meraviglioso di un elemento, la combinazione nascosta ed astuta. La tendenza al gioco tattico conduceva frequentemente i giocatori a concludere la partita in maniera veloce e spettacolare. Portabandiera di questo stile spericolato fu Howard Staunton, nato nel 1810, che si dedicò assiduamente alle sue passioni preferite, il teatro shakespeariano e gli scacchi. Quale valente giocatore, fondò la celebre rivista scacchistica The Chess Player's Chronicle, punto di riferimento per i giocatori dell'epoca e nel 1851 con altri soci organizzò il primo torneo internazionale della storia, il grande Torneo di Londra del 1851. Staunton partecipò da favorito, ma a sorpresa la competizione venne vinta da uno semisconosciuto giocatore tedesco, Anderssen.   

   In Germania Adolf Anderssen, con molti match vinti e sfide pareggiate, fu uno dei più grandi giocatori dell'Ottocento prima dell'avvento di Steinitz, ma presto un altro grande giocatore, Michael Ivanovic Cigorin (1850-1908), rivelò al resto dell'Europa la genialità della nascente scuola russa, destinata nel XX secolo a dominare il mondo scacchistico. Però il migliore scacchista del periodo romantico dell'Ottocento fu l'americano Paul Charles Morphy che imparò a giocare con il padre all'età di dieci anni e a tredici vinse l'ungherese Löwenthal, venuto negli Stati Uniti per un giro d'esibizione. Successivamente per alcuni anni Morphy abbandonò il gioco agonistico, finché lo riprese nel 1857, vincendo nel Torneo di New York con uno stile tanto brillante che la sua fama varcò l’oceano. Non avendo più rivali in America, Morphy accettò l'invito di alcuni mecenati europei e a Parigi ebbe l'occasione di incontrare in un match Anderssen, il vincitore del Torneo di Londra del 1851 e il più abile giocatore di quegli anni. Le partite del match furono seguite con vivo interesse su entrambe le sponde dell'oceano Atlantico con l'incontro terminato con la vittoria dell'americano che aveva costruito il suo gioco già nelle prime mosse della partita.

   La fine del secolo XIX fu un periodo di transizione per gli scacchi, dove accanto ai giocatori romantici del periodo precedente apparvero i primi giocatori moderni, che si distaccarono dallo stile spericolato fino ad allora imperante. Tra i trattati sul gioco dell’800 vanno ricordati lo Chess Studies and Endgames, e l'Handbuch des Schachspiels di Bilguer e von der Lasa, pubblicata nel 1843, la vera bibbia degli scacchisti di quegli anni in cui viene esaminata ogni fase del gioco con una metodicità valida ancor oggi. Nel campo della ricerca storica vanno ricordati il prof. olandese Antonius Van der Linde (1833-1897), l'inglese Duncan Forbes e von der Lasa, che analizzarono il problema delle origini del gioco e l'influsso che esso ebbe nella letteratura e nelle  arti.

  Nel Torneo di Breslavia del 1889 vinse Siegbert Tarrasch, un giocatore che si discostava dalla figura dello scacchista romantico; egli, notevole teorico, propugnava un innovativo metodo di gioco, detto "posizionale" rifacendosi a Morphy, con rapido sviluppo dei pezzi nella fase iniziale della partita e soprattutto con il dominio del centro della scacchiera. Però il più abile giocatore della fine dell'Ottocento fu Wilhelm Steinitz di Praga, che, abbandonati gli studi di ingegneria, si dedicò esclusivamente al gioco degli scacchi divenendo il primo vero professionista degli scacchi, partecipando e vincendo in numerosi tornei tra i quali quelli di Londra del 1872 e di Vienna nel 1873 e 1882. Diresse pure per vari anni la prestigiosa rivista scacchistica The International Chess Magazine, ma eccelse principalmente negli incontri individuali, durante i quali la sua straordinaria tenacia e la sua forza psicologica costituivano un grosso vantaggio sugli avversari. Degli oltre trenta match da lui combattuti con giocatori di altissimo livello ne perse solo due; con la vittoria su Anderssen, nel 1866 a Londra e con il punteggio di 8 a 3, Steinitz conseguì il titolo ufficioso di campione del mondo e lo detenne ininterrottamente fino a quando fu sconfitto nel 1894 e nel 1896 da Emanuel Lasker.

   Con l'inizio del nuovo secolo cominciò il lungo dominio di una delle più complesse personalità scacchistiche di ogni tempo il matematico prussiano Emanue Lasker dallo stile di gioco diverso da quello dogmatico di Tarrasch o da quello romantico della maggior parte degli altri giocatori. Lasker pose l'accento su un fattore fino ad allora trascurato, la componente psicologica, egli tendeva a far giocare male gli avversari non cercando la mossa migliore, come facevano i suoi predecessori. Con Lasker il titolo di Campione del Mondo divenne praticamente ufficiale, e sorse la necessità di regolamentare le competizioni nel finale e per la corona mondiale. Nel 1924, durante il torneo olimpico di Parigi, fu fondata la Federation Internationale Des Echecs (FIDE). Mentre Lasker mieteva successi, nacque a Cuba nel 1888 José Raul Capablanca, un bambino che in poco tempo si dimostrò straordinariamente portato per gli scacchi, tanto che a soli dodici anni sconfisse il noto campione americano Pillsbury. Durante le sue lunghe turneé toccò numerose nazioni, nel 1913, a Pietroburgo sconfisse in un match l'astro nascente della nuova scuola russa, Alekhine, nel 1921 a L'Habana, la capitale di Cuba, vinse Lasker ormai cinquantenne, ma nel 1927 il titolo di Campione gli fu tolto proprio dal campione russo Alekhine che aveva battuto anni addietro. La classe e la bravura di gioco di Capablanca suscitano ancor oggi viva ammirazione, per il suo stile scacchistico di una semplicità disarmante. Invece di cercare combinazioni astruse, come facevano i romantici o giocatori come Lasker, il cubano arrivava in maniera lineare al finale, fase della partita in cui era un maestro imbattibile. Invece il campione del mondo, il russo Alexander Alekhine aveva imparato gli scacchi in tenera età, ma era stato insolitamente lento nel raggiungere alti livelli di gioco, fino a quando, ingranata la marcia, il suo cammino fu inarrestabile e tale che morì da campione mondiale imbattuto nel 1946. Dopo l’interruzione dei giochi durante la Seconda Guerra Mondiale, si susseguirono altri campioni, come l'olandese Euwe, i russi Smyslov, Botvinnik e Mikhail Nekhemovic Tal, che, padroneggiando la tecnica del gioco combinativo, per molti ammiratori, rappresentò la genialità scacchistica in persona, con un turbinio di invenzioni tattiche.

   Particolarmente importante fu il match tra il campione del mondo il russo Boris Vasilievic Spassky e l’americano Fischer. Spassky dal gioco maturo e aggressivo, ma molto sensibile, non era stato mai sostenuto dal potente apparato scacchistico sovietico, essendosi sempre rifiutato di iscriversi al Partito Comunista, nel 1972 dovette difendere il suo titolo contro un uragano di nome Fischer. Robert James Fischer, "Bobby" per gli amici, nato a Chicago nel 1943, dimostrò ancor giovanissimo il suo enorme talento, conquistò il titolo di Grande Maestro, lasciando strabiliati gli esperti per la sua precocità, nel 1972, acquisì il diritto a sfidare il campione mondiale in carica. L’americano pretese per l'incontro con Spassky una cifra superiore a quella messa a disposizione dagli organizzatori islandesi  e solo con un ulteriore incentivo economico offerto da un mecenate americano si decise a sfidare Boris Spassky. Il comportamento capriccioso del giocatore statunitense attirò l'attenzione dei mass media verso quella gara definita come “il match del secolo", perché la sfida per la corona mondiale era tra i rappresentanti delle due maggiori superpotenze, gli USA e l'URSS. L'incontro iniziò subito male per l'americano, che innervosito criticò le condizioni di gioco, impose che gli spettatori sedessero più lontano, che le telecamere venissero spente, eccetera, infine non si presentò entro il tempo regolamentare. Sembrava che il match fosse finito, poiché il giocatore statunitense non pareva più intenzionato a riprendere il gioco, quando una telefonata del Presidente americano, con un appello esplicito all'amor di patria, indusse Fischer a riprendere il match ed effettuare una rimonta travolgente, vincendo il match col punteggio di 12,5 a 8,5.

   Altro incontro memorabile fu il duello tra i due russi Anatolij Karpov e Kasparov. Karpov, dalla carriera scacchistica precocissima, a soli quattro anni giocava con il padre, poi i massimi dirigenti della Federazione Scacchistica Sovietica compresero che il giovane poteva riportare il titolo mondiale in URSS, dopo la vittoria dell’americano Fischer su Spasskij. Karpov sfidò il campione in carica, l'uragano Bobby Fischer, ma il match non avvenne per le pretese assurde di Fischer e la FIDE fu costretta a squalificare l'americano proclamando Karpov nuovo Campione del Mondo, il quale si aggiudicava la corona mondiale senza muovere un Pedone contro il detentore. Karpov collezionò molte vittorie fino a quando fu sfidato da un altro russo, Garry Kasparov, anch’egli dal talento scacchistico precoce e diventato a dieci anni Candidato Maestro. Il match fra Karpov e Kasparov iniziò nel Settembre del 1984 a Mosca. Karpov aveva solidità nel gioco ed esperienza accumulata nei precedenti match, Kasparov invece era giovane e brillante con uno stile combattivo mostrato durante la sua veloce carriera. La gara fu estenuante, durò più di un anno, andando avanti a fasi alterne con grande lentezza, incontri scaglionati nel tempo e controversie da entrambi le parti contro la FIDE. L’ultimo match tra i campioni si svolse a Mosca nell’anno successivo, nel 1985, fra i mesi di Settembre e Novembre, e anche questo fu molto lungo, andando avanti tra alti e bassi annoiando gli spettatori e stancando i Mass Media. Karpov, cultore del gioco posizionale, fu costretto a giocare in attacco, e Kasparov, amante del gioco tattico, al contrario dovette cominciare la partita in modo prudente per conservare il piccolo vantaggio conseguito e necessario per vincere. Con il sacrificio di un pedone Kasparov neutralizzò l'attacco di Karpov, inaugurò la controffensiva e alla 43° mossa Karpov si arrese, così Kasparov divenne il nuovo Campione del Mondo. Dopo questo match tra Kasparov e Karpov ce ne furono altri altrettanto difficili ma sempre con lo stesso risultato con una distanza minima tra i due nel punteggio e altre insoddisfazioni. Lo stesso Kasparov in contrasto con la FIDE, ritenuta arcaica e restia ai cambiamenti, insieme ad altri giocatori fondò la GMA (Grand Masters Association), e la PCA ((Professional Chess Association); così nel 1993 per la prima volta ci furono due sfide mondiali distinte. Dopo questi fatti altri campioni sono venuti fuori come l’indiano Anand, i russi Kamsky, Kramnik, il lettone-spagnolo Shirov, l’olandese Timman e Judith Polgar, unica donna nella rosa dei migliori campioni e tanti altri. Purtoppo negli ultimi anni lamentele, rimostranze e critiche hanno un po’ appannato il mondo degli schacchi e perciò la FIDE ha dovuto mettere ordine nello scacchismo mondiale ad alto livello, visto ormai da molti come un circo con troppi clown.   

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