Con la Schlein nasce il partito radicale di massa – di Domenico Bonvegna

Non lo so se con la vittoria della Schlein se ne va il PD come ha scritto La Verità oggi, o se i dem si sono suicidati lasciando scegliere il segretario ai non iscritti. Certo è paradossale che un partito adotti delle primarie così anomale, dove può votare chiunque anche chi non è iscritto. E a questo proposito ironicamente Mario Giordano può scrivere che il Pd ha perso persino le sue primarie. Non so neanche se la “svolta” dell’elezione di Schlein sia stata un’operazione pilotata dall’alto, frutto di un calcolo, come sostiene il professore Eugenio Capozzi su Lanuovabq.it. Infatti Bonaccini, sebbene avesse vinto con 20 punti di vantaggio, è stato spazzato via ai gazebo, travolto dai movimenti. E peraltro lui appare contento di questo risultato. In altre parole, gli esterni hanno deciso al posto degli interni. Ancora per Maurizio Belpietro, “il nuovo segretario è stato scelto contro il parere degli iscritti”, con il risultato che il partito è diviso esattamente a metà.
La vittoria a sorpresa di Ely Schlein potrebbe rappresentare “addirittura la fine della parabola del Partito democratico, in cui per 15 anni si è tentato di unire la tradizione politica post-comunista e quella cattolico-democratica in chiave liberal-progressista. E infatti in tal senso è stata già interpretata da alcuni osservatori come trasformazione del Pd in partito minoritario radical chic della borghesia urbana, imperniato sulle rivendicazioni tipiche dell'ideologia woke (ambientalismo “gretista”, agenda Lgbt+, immigrazionismo e simili)”. (Eugenio Capozzi, Populismo e woke: la “svolta” Schlein è trasformismo, 28.2.23, lanuovabq.it)
Che alla fine avrebbe vinto la Schlein lo aveva fatto capire in un lungo articolo Maurizio Milano, esperto di economia di Alleanza Cattolica. (Maurizio Milano,
Elly Schlein, la nuova pasionaria della sinistra, 27.12.22, alleanzacattolica.org), che fa un interessante profilo del nuovo segretario: “Elly Schlein, nelle sue idee e nella sua biografia riflette l’evoluzione della sinistra italiana, dalle radici comuniste alla trasformazione in “partito radicale di massa”, centrato sui “nuovi diritti” e ostile alla famiglia naturale e alla vita, per aprirsi infine alla prospettiva del “socialismo verde”. Fallito il social-comunismo, la “transizione ecologica”, giustificata dalla pretesa emergenza climatica globale, diviene il grimaldello per imporre restrizioni a proprietà privata, privacy e libertà, verso un nuovo statalismo e una pianificazione sovranazionale. La Schlein incarna in modo esemplare prospettiva e narrazione del nuovo “socialismo liberale del XXI° secolo”, portata avanti dall’iniziativa del Great Reset di Davos. Ecco perché può divenire la segretaria del nuovo Partito Democratico”. Continua Milano, “La sinistra ha finalmente trovato la sua pasionaria, l’anti-Meloni. Sì, perché se c’è una costante nella storia della sinistra italiana è il suo definirsi sempre “contro qualcuno”, come se non riuscisse proprio a coagularsi “attorno a qualcosa”: Infatti la prima cosa che ha detto da nuovo segretario: “saremo un problema per il governo Meloni”. Nulla di meglio, si sa, di un nemico comune per ricompattare le fila deluse e disorientate, riscoprendo così il senso del “noi”. Elena Ethel Schlein, detta Elly, classe 1985, di famiglia colta e facoltosa di origine ebraica aschenazita, con tre nazionalità (italiana, svizzera e statunitense) e due “generi” in quanto, per sua stessa dichiarazione, «ho amato molti uomini e ho amato molte donne», inizia la sua vita politica partecipando come volontaria nell’organizzazione delle due campagne elettorali di Barack Obama (1961-), Presidente degli Stati Uniti d’America dal 2009 al 2017. Insomma, non proprio l’ultima arrivata o una “borgatara” di umili origini, come Giorgia Meloni . Semplificando il percorso politico della giovane ex sardina, ricordiamo i passaggi principali: aveva lasciato il Pd nel 2015 in dissenso con la linea politica adottata dall’allora segretario e Presidente del Consiglio, Matteo Renzi , una linea da lei definita «di centro-destra», Il 12 dicembre scorso, la Schlein ha preso la tessera del PD nella storica sezione della “Bolognina”. La Schlein si è infine candidata nelle ultime elezioni politiche nazionali come indipendente nella lista del Partito Democratico – Italia Democratica e Progressista, la principale coalizione elettorale di centro-sinistra, venendo eletta deputata.
“Elly Schlein è perfettamente a suo agio negli ambienti internazionali e cosmopoliti che contano, - scrive Milano -  ed è sicuramente molto attenta alla base del partito, così come lamenta frequentemente l’esistenza della povertà; parla però “di” poveri, non “ai” poveri o “con i” poveri, con cui non ha sicuramente avuto molto a che fare finora, per la sua appartenenza famigliare e storia personale. Scontato il consenso “dall’alto”, la Schlein avrà necessità di raggiungere anche quelle classi sociali di “periferia”, che per il mondo da cui proviene rappresentano poco più che un’astrazione intellettuale. Per ricostruire il partito dalle macerie, Elly Schlein guarda ancora più a sinistra, dal Movimento 5 Stelle alla sinistra massimalista, col rischio calcolato di perdere la componente popolare che fa capo a Pierluigi Castagnetti (1945-), “cattolico democratico e dossettiano”, tra i “padri fondatori” del PD: speriamo, perché potrebbe essere la fine di quello specchietto per le allodole che tanto male ha fatto alla presenza dei cattolici in politica”. Infatti, si è subito registrata la defezione dell’ex Margherita Giuseppe Fioroni.
Nella sintesi di idee e valori, e nella stessa biografia di Elly Schlein, le radici socialcomuniste si fondono con i “nuovi diritti” del partito radicale di massa dall’aborto all’eutanasia, dall’ideologia LGBT alla liberalizzazione della cannabis –, fino ad abbracciare la prospettiva del “socialismo verde”: laddove non hanno funzionato la teoria marxiana e la prassi leninista, ecco che si mira a cambiare radicalmente il sistema economico, sociale e politico, usando il grimaldello verde dell’emergenza climatica, nella prospettiva della sostenibilità e dell’inclusività. Notevole la sua suggestione comunicativa, che crea una “narrazione” in cui accogliere i delusi e i nostalgici, facendo leva “sulle emozioni e sui sentimenti”, come dice Klaus Schwab: la Schlein dimostra di avere ben appreso la lezione del fondatore e chairman del World Economic Forum di Davos, che considera essenziale puntare sulla “narrazione”, anzi sulla “grande narrazione”, da lui considerata assai più efficace dei “dati di fatto” e della “realtà” per muovere le “azioni e reazioni umane”; “per costruire un futuro migliore”, ovviamente.
Milano nel suo articolo fa riferimento ad alcuni stralci del discorso della Schlein del 4 dicembre scorso ai suoi sostenitori al Centro culturale Monk di Roma, e poi al libro della Schlein,  “La nostra parte". Per la giustizia sociale e ambientale, insieme”. La Schlein afferma: «La destra non vede l’emergenza climatica […], se non salviamo il pianeta non ci salviamo nemmeno noi […] serve una legge sul clima…che accompagni settore per settore dell’economia alla conversione necessaria […] per sviluppare un grande piano infrastrutturale green, a cominciare dall’energia rinnovabile». «Le energie pulite e rinnovabili sono le vere energie di pace […] per tenere insieme clima e lavoro e diseguaglianze». Di nuovo, emerge in modo evidente la prospettiva del Green Deal della Commissione Europea e del Build Back Better dell’amministrazione Biden.  «La giustizia sociale e quella climatica vanno di pari passo. Si combatte qualsiasi forma di discriminazione, da quelle razziste a quelle sessiste, quelle abiliste (sic), quelle omobilesbotransfobiche.
Insomma, per Maurizio Milano, si tratta del green is the new red, come ben evocato dalla copertina verde-rossa del libro di Schlein, nella prospettiva di una governance mondiale. Il socialismo e il liberalismo ‒ per lo meno quello spirito “liberale” illuministico, ostile alla verità, alla tradizione e alla civiltà cristiana, tipico dei liberal del mondo anglosassone, per intenderci ‒ si danno la mano in una nuova “dittatura del relativismo”, quel “socialismo liberale del XXI secolo” in corso di attuazione.
La Schlein annuncia poi con trasporto: «Vogliamo un paese in cui lavoro e povero non stanno nella stessa frase, è semplice». Sì, in effetti dirlo è semplice e magari scalda anche il cuore, per un attimo. Ma se la soluzione fosse davvero così semplice, perché il PD non l’ha realizzata nei lunghi anni in cui è stato al governo del Paese? Senza neppure la necessità di confrontarsi col consenso elettorale, tra l’altro, visto che si trattava di esecutivi “tecnici”. Diversi sono poi i riferimenti al sindacato e alla Spagna, governata da un esecutivo di estrema sinistra, perché «serve un nuovo statuto dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori», perché «la lotta paga, la lotta paga sempre». Lotta continua, insomma. Rimuovere la povertà “per legge” è un chiodo fisso delle sinistre: la povertà non si risolve però con politiche redistributive, come il reddito di cittadinanza, oppure fissando dei minimi salariali che potrebbero anzi avere l’effetto indesiderato di accrescere la disoccupazione; occorre, invece, valorizzare il risparmio e gli investimenti, l’innovazione tecnologica e la formazione, la libertà economica, per far salire la produttività e quindi, come conseguenza, anche le occasioni di lavoro e salari e stipendi in termini reali. La sinistra massimalista abbisognerebbe di un sano “ritorno al reale”, che non pare dietro l’angolo, anzi.
Milano fa riferimento al saluto riservato dalla Schlein a Roberto Saviano, “non si possono colpire gli intellettuali, le scrittrici e gli scrittori”, riuscendo a far passare Saviano come una povera vittima innocente perché la Meloni, che lo ha querelato per diffamazione, lo avrebbe fatto a scopo intimidatorio, approfittando del suo nuovo status di premier. Come dubitare che la destra stia attuando una svolta autoritaria nel Paese, visto che un valente intellettuale di sinistra non può neppure più dare pubblicamente della «bastarda» alla leader di Fratelli d’Italia? Uno dei punti che stanno più a cuore alla Schlein, che si sente appunto l’anti-Meloni, è che «non ce ne facciamo niente di una premier donna che non aiuta le altre donne, che non ne difende i diritti, a partire da quelli sul proprio corpo». Serve «una leadership non femminile ma femminista». Ciliegina sulla torta, e sembra di viaggiare nel tempo tornando indietro al femminismo degli anni ’70, occorre «liberare il tempo delle donne in una società patriarcale […] non basta cambiare il gruppo dirigente se non ritroviamo un’identità chiara e un blocco sociale di riferimento […] serve una cosa nuova [… da proporre] a donne e giovani rimasti schiacciati da dinamiche patriarcali o paternalistiche». Insomma, serve «un’alternativa alla peggiore destra di sempre che oggi governa il Paese». Manca solo “l’utero è mio e lo gestisco io”, ma sarebbe ovviamente poco inclusivo e decisamente reazionario in tempi così gender fluid. Mi chiedo come abbia fatto la Meloni a divenire premier in simile contesto, maschilista e misogino.
Infine Milano apprezza che la Schlein, almeno prima di diventare segretario del Pd, non evochi più il Babau del fascismo, segno che è più intelligente del resto della classe dirigente del partito, e sicuramente più sulla “frontiera rivoluzionaria”. Ascoltando la Schlein, i precedenti dirigenti, come Piero Fassino (1949-), Pier Luigi Bersani (1951-) ed Enrico Letta (1966-), appaiono come i vecchi burocrati della nomenklatura sovietica, il retaggio di una sinistra “novecentesca” e limitata ai confini nazionali: la Schlein è molto più avanti di loro, a partire dall’uso del linguaggio e della “narrazione globalista” utilizzata, e quindi molto più pericolosa.
Pin It

Potrebbero interessarti

Articoli più letti

Questo sito utilizza Cookies necesari per il corretto funzionamento. Continuando la navigazione viene consentito il loro utilizzo.