“L’aquila di Falsomiele, l’arte dell’obbedienza” – di Ciro Lomonte

Cody Swanson, Aquila simbolo di S. Giovanni, ambone della chiesa di S. Giovanni Maria Battista Vianney, Palermo

L’arte autentica è il talento di quei creativi che sanno mettersi al servizio dei clienti, per dare la forma più bella e significativa possibile alle opere commissionate. È una sfida da far tremare i polsi, soprattutto nella nostra epoca, dato che l’artista sembra quasi “condannato” ad essere originale a tutti i costi ed a riversare nelle opere le proprie elucubrazioni. Antoni Gaudí aveva un altro approccio. Sosteneva che l’originalità consiste nel tornare alle origini, nel senso che il creativo è chiamato a continuare l’opera del Creatore. È questa la vocazione dell’artista, soprattutto nel caso del genio.

Bisogna impiegare stancamente il figurativo nell’arte sacra? No, non stancamente. Bisogna impiegare il figurativo con la freschezza di chi sa essere sempre giovane. Il tradizionalismo è la fede morta dei vivi. La Tradizione è la fede viva dei morti. È un pozzo senza fondo per l’ispirazione.

C’è un tema importante da approfondire anche in questo ambito: l’arte dell’obbedienza. È un metodo per raggiungere i vertici dell’obbedienza dell’arte. Le opere di Cody Swanson, giovane artista statunitense fattosi fiorentino, aiutano a riflettere su questo argomento. A prima vista potrebbe sembrare un berniniano. In realtà non è mai ripetitivo, anche perché studia con passione il fine degli incarichi che gli vengono affidati.

Un caso specifico è l’aquila che gli è stata commissionata dal parroco di S. Giovanni Maria Battista Vianney, a Palermo, per l’ambone progettato – come tutto il resto del complesso parrocchiale – dagli architetti Ciro Lomonte e Guido Santoro. Sovente si confonde l’ambone con i leggii a stelo. In realtà dalla Sicilia all’Abruzzo, in quello che una volta era il Regno di Sicilia, sono stati censiti ben 138 amboni medievali che traggono spunto da quello che si trovava nell’insuperata Basilica di Santa Sofia ed è descritto da Germano di Costantinopoli. Si tratta di un riferimento architettonico al sepolcro vuoto. O meglio alla pietra rotolata dal sepolcro, sulla quale si siede l’angelo che annuncia alle donne la Risurrezione di Gesù Cristo la mattina della Pasqua. Il riferimento ha dato origine nei secoli ad esemplari di straordinaria bellezza. Ancora oggi se ne può cogliere il senso ed il fascino durante la Veglia Pasquale nella Cappella Palatina di Palermo, quando il diacono canta l’Exsultet dall’ambone. Recandovisi in questi giorni, ci si imbatte in una scultura di Jago al centro del Cortile Maqueda.

Jago è un fenomeno molto singolare. Ci sono artisti contemporanei, concettuali, abili nelle trovate, che si avvalgono di scultori autentici (sottopagati) per realizzare opere provocatorie (in realtà piuttosto ripetitive) pompate dalla critica. Jago invece ha capacità notevoli di estrarre dal marmo figure anatomicamente ineccepibili, che però usa direttamente come strumento comunicativo di idee più o meno astruse. Buon per lui che ha successo e ottiene compensi astronomici. Ma dov’è l’arte in questo caso?

Tornando all’aquila di Cody Swanson, si può notare che c’è lo sforzo di rendere simbolicamente il richiamo a S. Giovanni, l’apostolo giovane, il primo che giunse al sepolcro la mattina di Pasqua e sbirciò dentro in attesa dell’arrivo di Pietro. L’aquila nel Medioevo era simbolo di sguardo penetrante. Si pensava che fosse il volatile che poteva librarsi più in alto di tutti e guardare il sole ad occhi aperti senza bruciarsi. Ricordiamo che Giovanni è chiamato “il teologo”, in quanto il suo Vangelo contiene una visione più profonda del mistero dell’Incarnazione del Verbo. Inoltre Giovanni, insieme a suo fratello Giacomo, venne soprannominato da Gesù “figlio del tuono”, per il suo carattere focoso. Sono questi gli elementi che è stato chiesto a Cody di rendere visivamente con la sua scultura.

Anche nel caso dell’arte sacra, può essere utile rileggere quanto diceva Benedetto XVI nell’omelia del 24 aprile 2005, quella di inizio del pontificato.

«Non è il potere che redime, ma l’amore! Questo è il segno di Dio: Egli stesso è amore. Quante volte noi desidereremmo che Dio si mostrasse più forte. Che Egli colpisse duramente, sconfiggesse il male e creasse un mondo migliore. Tutte le ideologie del potere si giustificano così, giustificano la distruzione di ciò che si opporrebbe al progresso e alla liberazione dell’umanità. Noi soffriamo per la pazienza di Dio. E nondimeno abbiamo tutti bisogno della sua pazienza. Il Dio, che è divenuto agnello, ci dice che il mondo viene salvato dal Crocifisso e non dai crocifissori. Il mondo è redento dalla pazienza di Dio e distrutto dall’impazienza degli uomini».

La pazienza dei creativi dovrebbe imitare la pazienza di Dio. Quanti giovani artisti esistono oggi capaci di obbedire come fa Cody Swanson? Forse non sanno quanti committenti li cercano per opere che facciano risuonare gli echi dei versi dell’Endymion di John Keats: «A thing of beauty is a joy for ever».

Le foto sono di Guido Santoro

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