XXIII Capitolo - "La mia vita" di Antonio Saccà

Alberto Moravia

Nel periodo del mio ritorno a Messina, dopo la laurea, ebbi ancora la negazione di me stesso, intollerabile, non voler essere chi sono, tuttavia costretto ad essere chi si è. Una condizione del tutto insopportabile in quanto era in me, ineliminabile, in ogni istante cosciente di negarmi senza potermi negare se non uccidendomi. Sicché decisi di andare da uno psichiatra, o forse a suo giudizio cominciava ad essere uno psicoanalista, si chiamava Sacco, e sua moglie prosperosissima passeggiava nell'abitazione mentre in coniuge si attivava.

Erano gli anni '60 e qualcuno cominciava a modernizzarsi, almeno credo, attingendo alla psicoanalisi. In ogni caso non vi fù molta analisi, mi espose le tavole di Rorschach e  mi disse di manifestare la mia reazione, erano figure macchiate, macchie insomma, ed io dovevo dichiarare quel che mi suggerivano, ne concluse che io tendevo a svalutare gli altri, in realtà io svalutavo me stesso e tutto ciò che vivevo e che mi stava in torno. Inoltre e credo fosse qualche influenza psicoanalitica, mi dichiarò che avevo troppa disposizione alle amicizie maschili, in vero l' epoca non facilitava alle amicizia od ai rapporti con le donne, almeno per me, io non esigevo un rapporto qualsiasi ma un vero grande amore, difficile, complicato ma che mi attraeva. A questo riguardo avvenne un episodio divertente almeno per me, lo zio gigante come io lo credevo, ma adesso era alto quanto me, si era sposato, nel paese natio, scovò una donna benestante e quando celebrò le nozze invitò me e mio fratello a Gualtieri si caminò per assistere alle nozze. I coniugi erano ospiti di parenti nella piazza del paese, e nel salire le scale mio zio chiese di gridare il nome di sua moglie, il che mi spiaceva enormemente, venne un grido quasi straziato che non aveva nulla della festosità ripromessa. Ma l' episodio anticipa un evento successivo. La notte matrimoniale fù drammatica, mio zio scoprì che la sposa non era illibata e la scacciò di casa. Ora essendo io laureato in  legge chiedeva che intervenissi per definire legalmente la situazione. La signora sorrideva al mio imbarazzo e certamente doveva avere una notevole esperienza e anche una capacità di vivere con soddisfazione. Comunque il mio intervento finì subito.

Incredibilmente a Roma viveva lo zio che ci divertiva, lo zio sciupa femmine, lo zio scimmiesco con una insolita capacità seduttiva e un mutamento di conquiste pressoché mensile. Si era fatto funzionario di un grande ente statale all' Eur e aveva come vicino di abitazione il poeta Giuseppe Ungaretti e talvolta passeggiava con Ungaretti e ne discuteva con vanto. Ci vedevamo spessissimo io e mio zio e pranzavamo e cenavamo da “Celestina” e al “piccolo mondo”, erano ristoranti celebri. Una sera uscendo dal “piccolo mondo” a via Veneto incontrammo due prostitute e fù la conoscenza con la donna da parte mia.

Orribile. In ogni caso avvenne. Poiché avevo la possibilità dell' insegnamento di varie discipline cercai di insegnare scuola privata. Ve ne era una a piazza di Spagna nel quale non occorreva un docente di filosofia, mi indicarono una scuola collegata a via Piave, zona anch' essa elegante e borghese. La dirigeva una signora piuttosto in età, sbrigativa e di non gradevole aspetto, il coniuge più anziano era un grassone pacifico e benevolo, si chiamava Puma ed era stato insegnante di matematica, ebbe immediata simpatia nei miei confronti e mi assunse, abitava niente di meno che a palazzo Brancaccio, una delle case più belle, più ampie e più maestose di Roma, credo che se la potesse permettere per dei contratti favorevoli. Anche l' istituto era apprezzabile, suppongo una costruzione del risorgimento che si affermava anche a Roma, un bell' androne, delle scale, insomma palazzi ottocenteschi. E fù in quell' istituto che incontrai la donna, la ragazza con cui ebbi il rapporto che immaginavo. Era piuttosto piccola rispetto alla mia altezza, una faccia rotondina, grandi occhi marroni colmi di femminilità, gentilissima di parola, di parlata e con delle manine minime. E fù la seconda volta ma direi la prima volta che ebbi occasione di stare con una donna nel modo più effettivo ed affettivo. In realtà avevo conosciuto una parente di un mio carissimo amico d' infanzia, Antonello Mappa, una ragazza elegantissima, bella, ma non accadde niente ed invece con questa docente che insegnava nello stesso istituto accade tutto. Questa volta non sarei tornato in Sicilia, non volevo rivivere la malinconia dell' esclusione e la negazione di me stesso, e stavolta nella città che mi impressionava e che non avevo amato nei viaggi precedenti: grandi distanze, stradoni, non sempre costruzioni belle, ma poi strabiliante, eterna, imperiale davvero, ecco la citta che volevo vivere e dovevo vivere, la citta dove vi erano gli uomini che avevo letto. E quella mattina di cui ho detto verso le 8 8,30 giungo a piazza del popolo e vedo in un tavolo a caffè rosati, poi apprenderò che è un famoso caffè, Alberto Moravia seduto con un conoscente. Mi avvicino, alza il volto, mi guarda, lo guardo, dico “Sono Antonio Sacca”. “Stiamo pubblicando il suo saggio” disse immediatamente. La frenesia dell' attesa si spense in una calma irrigidita, quasi mi fosse indifferente la risposta. E da quel momento cominciò la frequentazione con Moravia. Abitava a via dell' oca 27 a piazza del popolo, una casa benestante, confortevole ma non di lusso, di esibizione. Lumi soffusi,ampie poltrone,mobili d'epoca. Niente di moderno e niente di antico. Moravia era di poco superiore alla media come altezza, dai gesti movimentati, occhi grandi talvolta azzurri ma spesso di colore indeterminato, una mescolanza di punteggiature colorite, bocca lunga e stretta ed una voce particolarmente sottile, grandi orecchie, mani nodose attive artigianali, camminava sbilenco per una gamba non funzionante dovuta alla tubercolosi ossea giovanile. Era di una animazione emotiva senza alcuno studio, nessun artificio, spontaneità completa e reattività spontanea a gli altri,  conversatore, a dare e a ricevere e apprezzava quasi riempiendosi ciò che di bello e di intelligente gli veniva detto, discuteva di tutto con tolleranza e comprensione e voleva capire perché quel stava nel mondo, negli altri, trasformando la persona in personaggio. Per me era stato l' autore che aveva scoperto l' infanzia e l' adolescenza, l' attacamento alla madre, e la problematicità della sessualità, ma sopratutto la difficoltà di un orientamento morale e di un rapporto con la realtà esterna. Era stato l' unico scrittore italiano che effettivamente aveva avuto effetti su di me. Quindi d' altro canto egli da parte sua era stupito che un giovane quale ero io avesse letto tanto e quando pubblicò il mio testo accennò a questa mia caratteristica. In quel tempo Moravia aveva questioni con Elsa Morante, sua moglie, e suppongo che stesse già con Dacia Maraini, la quale era una biondina gradevole di aspetto e semplice di modi. Di sicuro Moravia soffriva la situazione e lo vedevo talvolta ingiallito di viso e nervosissimo. Dopo avermi detto che pubblicava il mio saggio Moravia per un certo periodo scomparve, venni a sapere che era andato in Africa con Dacia Maraini e Pierpaolo Pasolini. Io mi scomportai e mi innervosii. Dubitavo che il saggio sarebbe stato pubblicato e ne parlavo con Alberto Carocci che spartiva con Moravia la direzione della rivista. Scrissi a Moravia dolendomi del ritardo. Quando tornò a Roma mi assicurò che il saggio sarebbe stato pubblicato, ma vi era un problema, era scorrettissimo, colui che lo aveva battuto aveva collaborato e accresciuto i miei errori. Un pomeriggio passeggiando per via del babbuino vidi Moravia lividissimo e abbattuto, forse aveva avuto qualche discussione con Elsa Morante che abitava a via del babbuino. Mi disse di correggere insieme il saggio e io non so per quale ragione dissi di no, poi lo richiamai dicendogli che avrei accettato di correggere insieme ma fù Moravia a dirmi di no. Resta uno dei maggiori errori della mia vita. Intanto cercavo casa e per qualche periodo fui ospite di parenti del mio patrigno, uno dei quali era funzionario della RAI ai servizi culturali, e mi fece partecipare ai programmi. Successivamente trovai stanza in una viuzza prossima a viale delle milizie, la padrona di casa era una corpulenta signora con un marito il più meschino immaginabile, ma era una località comoda per giungere piazza del popolo dove abitava Moravia. Fù in quel periodo che ritrovai Pasolini in una sua conferenza e accanto a lui una signora dai forti occhi azzurri di mezza età che avrà molta importanza nella mia vita. L' ansia della pubblicazione cessò nel Marzo del '63. Con caratteri minimi, 100 pagine esatte, mezza rivista, esce a mio nome, il : “saggio sulla letteratura Italiana attuale”, con una premessa di Alberto Moravia, il quale apprezzava che i libri li avessi realmente letti e sosteneva che la mia impostazione ideologica, per dire la frase fatta, era Marxista. Dopo qualche giorno io diventai, credo almeno per quel periodo, la persona più nota e più discussa d' Italia.

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