Rosanna Frattaruolo, “Le case con gli occhi verdi” (Babbomorto Ed.) - di Nicola Romano

A partire dal titolo, e fino agli ultimi versi, questa agile plaquette di Rosanna Frattaruolo sembra mettere in campo un’energica e costante fisicità al fine di affrontare con fermezza - e possibilmente intermediare attraverso i sensi - quegli universi contrapposti e dialoganti rappresentati, come sappiamo, dalla realtà esteriore e dal proprio “mondo” interiore. Ogni verso, praticamente, è una netta vibrazione che sicuramente scaturisce da un verificarsi di fatti, di visioni o di percezioni, è un palpito incessante che si avverte e che scorre lungo una meridiana di sensazioni, di emozioni e di intuizioni procurati dal continuo (e necessario) antagonismo con tutto ciò che di materiale, di affettivo, di contingente o d’impalpabile avviene in seno al buggerìo della quotidianità. E come avviene per le costruende case, anche questo “manufatto” di parole prende forma dalla costruzione di una serie d’immagini ora complesse ora fluide, e comunque sempre tenute insieme e cementate dalla spiccata sensibilità dell’autrice.

Quel che appare residuare da questo percorso versificatorio scrutato con occhio attento e privilegiato è, comunque, la proficua permanenza del dubbio, la sospensione di talune lecite aspirazioni, come pure l’onesta proposizione di dover concedere ad ogni occasione il beneficio dell’inventario se, come dice in itinere la stessa autrice, a volte occorre anche ascoltare “la versione del lupo”. E quando lo sguardo s’impone di essere profondo, puntuale ed indagatore – sembra suggerire la copertina – basta un occhio solo per interpolare gli ampi spazi del vissuto e di quello che malgré tout è “lo spettacolo della vita”.

Pur se contenuta è l’ampiezza della raccolta, il linguaggio – che tende di continuo a mettere in relazione il concreto con l’immaginario - risulta essere molto articolato e in buona sostanza va ad assumere quelle modulazioni confacenti alle personali esperienze di vita e quindi, con un atteggiamento che sembra di continuo passare dall’attacco alla difesa, svaria dai garbugli di qualcosa che ancora intimamente deve essere risolta ad un aspetto come di consapevole sfida verso il tempo, verso uomini e cose o, probabilmente, verso se stessi sì da poter trovare quegli  stimoli e quelle giuste misure per non dover cedere al disinganno e per potere arrivare – possibilmente e non senza fatica – ad “addomesticare la bestia”.

Corporeità, sensualità e segmenti di sottile ironia vanno a formare il supporto su cui poggia l’itinerario espressivo della raccoltina, e il linguaggio di cui sopra – che fra l’altro si snoda saltuariamente con esiti di rime interne e di assonanze - si fa a tratti dolce e a volte contundente, ma di certo in sintonia con la legge degli opposti e dei contrari di cui è intensamente costellata la nostra esistenza.

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