Presentazione di Vincenzo Guzzo del libro di Mario Gullì “Peripezie dell’imago Dei”

Sono particolarmente lieto di presentare questo libro di Mario Gullì perché intercetta, in buona sostanza, tutto un mio cammino spirituale, ossia l’idea di divino come mistero dell’anima, come meta di una ricerca vastissima e costante.
 Tutte le religioni cercano di rappresentare l’immagine del divino (sia che coltivino istanze di tipo iconico o che le escludano drasticamente), ma oggi non riescono a proiettarla in modo convincente nell’ambito dell’attuale realtà fortemente desacralizzata, sia pure dedicando al divino invocazioni, meditazioni e riti anche di grande fascinazione e che continuano a proporre ma non sempre nel modo più convincente e coinvolgente possibile e ciascuna secondo le proprie inclinazioni al sacro e la propria storia.
 Particolare attenzione merita un percorso prevalentemente iniziatico che tuttavia, lo dice la parola stessa, garantisce l’inizio di un cammino di appartenenza tendente anche ad affinare una propria imago Dei, ma nella migliore delle esperienze iniziatiche così come per quelle religiose si giunge sempre sul limitare del Mistero.
 Se l’impegno spirituale divenisse non competitivo e non amministrativo, da parte di ogni macro-soggetto di ricerca e di prassi spirituale, e così pure da parte di sentieri meno popolosi ma affini rispetto al telos (all’obbiettivo finale), il cammino diventerebbe più congruo e, nel nostro travagliatissimo presente, la messa a fuoco dell’Imago Dei, vivrebbe meno peripezie e potrebbe essere decisamente più gratificante e più unificante.
 In realtà, si rivela nobilissima la ricerca interiore che solo quei mistici più sensibili e più flessibili di fronte alla incommensurabilità del divino, riescono, da sempre, ad intraprendere.
 Occorrerebbe innanzitutto una ricerca capace di mettere a confronto le varie esperienze del sacro conseguendo, in comune consapevolezza, un cammino la cui meta non sia quella di svelare il Mistero (patetica arroganza narcisistica) ma di acquisire e diffondere la gratificante consapevolezza di appartenere al Mistero.
 In fondo di queste cose ci parla il libro di Gullì che oggi stiamo presentando. E infatti si tratta di un viaggio breve ma dottissimo e appassionato attraverso i maggiori sentieri spirituali e religiosi della storia umana, seguendo quel filo nascosto, ma fondamentale, che tutto mette in relazione e che può condurre ad una visione unitaria sulle orme soprattutto di coloro che uniscono e non separano e che tendono ad eliminare le catene delle conflittuali gelosie teologico-settarie.
 L’Autore ci ricorda che sopra la porta della casa di Carl Gustav Jung a Kusnacht (vicino Zurigo), vi è una pietra in cui è scolpito: “Vocatus atque non vocatus Deus aderit”, invocato o no il Dio è presente.  
 Ma è opportuno anche riflettere sulla parola “sacro”, dal latino sacer che a sua volta deriva dalla radice sanscrita sak che significa unire ma che implica anche il separare. Il sacro eleva ed abbatte, unisce e separa, col sacri-ficio si rinuncia a qualcosa per ottenerne una migliore, e il Dio è comunque presente.
 L’indagine e l’esposizione ricca e puntuale dei percorsi esoterici delle religioni che ci offre il libro che qui oggi presentiamo, costituiscono la premessa per una vera “uscita dal mondo” ordinario, come avrebbe detto Elémire Zolla. Tuttavia riguardano pure da vicino questo nostro tempo, nel suo quotidiano e globale smarrimento.  
 L’anello perduto, a cui si fa cenno nel libro, è proprio la caduta del sacro. Ciò riguarda ormai l’Occidente e l’Oriente, il Nord e il Sud.
 La crisi attraversa, in modo non omogeneo, le religioni strutturate, come le tre grandi religioni del Libro (Ebraismo, Cristianesimo e Islamismo) e riguarda, anche se in misura minore, i vari sentieri spirituali orientali.
 Resta comunque viva e presente, più di quanto si creda, la propensione ad una Sophia dell’Oltre e del Mistero.
 Non serve ai fini spirituali omologare settariamente l’immagine del divino o il senso del Mistero, bisogna invece imparare a riscoprirne e a condividerne l’immenso valore universale. Da qui si riparte.
 L’Imago Dei di cui ci parla Mario Gullì non è quella iconologica (che ha pure un immenso valore) ma soprattutto la rappresentazione spirituale del “divino”. La centralità del divino più che quella di un dio-persona, come sosteneva anche il compianto Bent Parodi.
 Più si considera esoterica l’idea di Mistero e più si tende ad unire trascendenza e immanenza, ciò che chiamiamo spirito con ciò che definiamo materia.
 Spiritualità consapevole e ricerca scientifica oggi si incontrano ripetutamente su molti e delicati elementi di riflessione. Cosa impensabile fino a qualche decennio fa, quando ancora si scomunicavano a vicenda.
 Sulla Imago Deae, di cui ci parla l’Autore alla conclusione del suo lavoro, vorrei dire che le religioni, soprattutto quelle del Libro, pur essendo sostanzialmente e spesso pesantemente patriarcali, se interrogate su questioni di genere tendono a rispondere, solitamente, che Dio non ha sesso.
 Lo stesso elementare buon senso dovrebbe indurre ad ammetterlo.
 L’indagine sulla Grande Madre è, a mio avviso, di sommo interesse perché la Mater è stata portatrice di una visione monista, inclusiva e non dualista e contrappositiva come è quella del Grande Padre o, comunque, di un Dio patriarcale.
 L’idea del divino, però, sovrasta entrambe queste visioni di genere che sono, tuttavia, molto rilevanti dal punto di vista della ricostruzione storica del sacro, a partire dalle più lontane origini (connesse, semmai, più all’idea esoterica dell’Androgino che ad altre, e certamente, in questa ricerca, riduttiva risulta anche quest’ultima).
 Obiettivo qualificante rimane ancora oggi soprattutto il superamento delle opportunistiche separazioni e dei narcisismi con cui si distinguono le varie amministrazioni del sacro e con cui non si promuove di fatto la centralità di una visione non proprietaria e quindi non assolutistica del divino o di un cammino di pacificazione e di comprensione reciproca.
 Ecco, a mio parere, il senso profondo e pure attuale di un libro come quello che presentiamo. Sappiamo bene che stiamo riflettendo ai limiti tra prospettiva ed utopia, ma ciò affiora, adeguatamente, anche nella citazione di Carl Gustav Jung con cui l’Autore apre questo appassionato lavoro sulle Peripezie dell’Imago Dei:
Viviamo in quello che i greci chiamano Kairos – il momento giusto – per una metamorfosi degli dèi, dei simboli e dei principi fondamentali”.
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