Prefazione di Tommaso Romano a "In anno pestilentiae. Poesie Sicane 2020" di Mario G. B. Tamburello (Ed. Thule)

Con la presente silloge Mario G. B. Tamburello si impone autorevolmente con il doppio registro linguistico ed espressivo siciliano/italiano, fra le voci che stanno interpretando la temperie dolorosa del coronavirus, con straordinaria capacità espressiva e con il sostegno primario della visione.

Diciamo subito che Tamburello, che ha un suo ben definito percorso culturale e ispirativo, ha una solida formazione umanistica oltre che scientifica e direi filosofica in senso proprio. Con approdi significativi alla trascendenza, a partire dalla ‘A vita criata, che apre la silloge, a quella scommessa d’amore (che ci ricorda il sommo Pascal).

La natura multiforme non risparmia nel tempo del coronavirus, le porte chiuse, il tempo lacerato, colore nero pece che presuppone la speranza attesa, per un canto di primavera in fiore.

In Giornate d’oggi il nostro Poeta, fra simbolismo e cruda realtà, si sofferma sul tempo della libertà in catene, nella terra senza fiori / del male ancora misterioso.

Il male con la corona, altra lirica sempre in stile sobrio ed essenziale nel verso, partendo dalle metafore del regno malvagio, auspica ancora la rinascenza possibile, la sconfitta dell’iniquità, l’unicità e irripetibilità di ogni uomo, della sua precipua identità, la certezza etica e scientifica insieme, che questo male / conoscerà la polvere / faccia a terra. / Maschera di ferro / nasconderà per sempre / un re / senza più corona né regno.

Il male che ci mostra, insomma, che colpisce e infierisce, ha comunque una parabola di sconfitta, una resa che - attraverso il ciclo e/o il vaccino - produrrà ciò che la storia insegna. Il dialogo coscienziale connota, quasi volterrianamente, i versi di Mente curiosa in corpo malconcio, dove il realismo su mente/corpo si sviluppa per lacerarti di confronto, ponendo e tendendo in alto lo Spirito, proteso, con sforzo “umano, molto umano” direbbe Nietzsche, a raccogliere le forze, senza parlare invano, / bisogna saper osservare.

Mi torna imperiosa la lezione sublime di Cristina Campo quando affermava “ho scritto poco, avrei voluto scrivere meno”, che si collega al parlare invano di Tamburello, a quel flusso di parole in libertà che non poco hanno segnato e segnano l’anno pestilenziale. E, tuttavia, il pensiero, la luce del pensiero, può provocare quel fuoco d’Amore che ci riporta a Dante, anche a Cecco Angiolieri, quasi a significare che l’amore, pur imperfetto come sottolinea il poeta, può ridurci con Mnemosine, ai luoghi a nuovi orizzonti, al riscatto d’un tempo inquieto, che corre e non si accorge / che dietro si porta appesi / i sogni e i conti della vita.

L’intensa e non casuale raccolta - che, come detto, vive con particolare forza nell’idioma di Sicilia, definite come poesie sicane dal Tamburello - si chiude con un’acquerellata poesia Occhi di lei, ove l’Autore mostra ancora la bellezza delle sensazioni profonde, la parola, la voce soffusa dal dormiveglia e in cui torna, ancora una volta, la scommessa, l’interrogazione, l’attesa: Dorme lei. / Gli occhi suoi, / quando aperti, / mi diranno / se la storia d’oggi / sarà / di gioia o di catena; e con un commosso ultimo saluto ad un Amico sacerdote, Don Anas, che ancora in siciliano, fa risaltare il pathos e l’ethos della lirica di Tamburello che si manifesta in tutta l’intensa pietas.

Potremmo, parafrasando un noto testo, interrogarci se in tempo di peste, di angoscia, di paure, di difficoltà morali e materiali, sia o meno possibile - oltre ogni bolsa retorica - fare e concepire poesia. Ebbene, Mario Tamburello, ci mostra con autorevolezza e con autentica consapevolezza, che non solo è possibile concepire e fare la Poesia, ma che è assolutamente necessario per la palingenesi del soggetto libero, per una fiducia oltre che la Parola può dare se autentica come nel bel cuore di questa raccolta, che si interroga, interrogando.

Sono certo che fra le testimonianze di questo tempo che ci è capitato in sorte, In anno pestilentiae, la poesia di Tamburello resterà non solo documento, ma fonte e vettore di autenticità, di esemplarità ispirativa di canto e rovello al contempo, di pensiero che non si piega al corso delle cose.

E sarà così, atto d’amore per la vita, sull’esserci.

 

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