“Nedda” novella di Giovanni Verga – lettura ed analisi di Giovanni Teresi

Questa novella, pubblicata sulla Rivista Italiana il 15 giugno 1874, fu poi riproposta al pubblico nel 1877 nella raccolta Primavera e altri racconti. Non può essere ancora considerata un testo verista perché il narratore è presente nella storia e interviene con commenti che sottolineano la sua partecipazione alle vicende della protagonista (la povera fanciulla, cotesta creatura umana, non era stata ipocrita, non era snaturata).I personaggi appartengono già al mondo dei vinti, alla realtà rurale della Sicilia che abiterà d’ora in poi le opere di Giovanni Verga.

Verga narra che un giorno la fiamma del caminetto, davanti al quale stava seduto, gli fece ricordare, per associazione d’idee, la fiamma che vide, una volta, ardere nel focolare di una fattoria alle falde dell’Etna: dinanzi a quel fuoco si asciugava le vesti un gruppo di raccoglitrici di olive, bagnate dalla pioggia. Dopo essersi più o meno asciugate, tutte le ragazze, allegre, si misero a ballare al suono di una musica leggera. Solo una di esse, Nedda (forma abbreviata di Bastianedda), se ne stava triste in disparte, perché aveva la mamma malata e la famiglia versava nell’estrema miseria. Il sabato, avuta la paga, con la detrazione di due giornate e mezzo per la pioggia, Nedda tornò a casa e trovò che la mamma si era aggravata, cosa che le fu confermata dal medico. L’ultima medicina comprata dallo “zio” Giovanni, un uomo buono e generoso che aiutava la famiglia, non valse a nulla e la mamma morì. Dopo la sepoltura della mamma, “zio” Giovanni le propose un nuovo lavoro ad Aci Catena, che le consentì di fare qualche spesa. Un giorno Janu, un giovane del paese che da qualche tempo la corteggiava, le regalò un fazzoletto di seta, che la fece tanto gioire, anche perché in un successivo incontro il giovane promise a lei e allo zio Giovanni che un giorno, quando avesse avuto la possibilità di farlo, l’avrebbe sposata. Dopo qualche tempo, Nedda e Janu andarono a lavorare insieme a Bongiardo e una domenica, durante una gita in campagna, i due si abbandonarono l’uno nelle braccia dell’altro. Le conseguenze del loro amore non tardarono a verificarsi, perché, verso Pasqua, Nedda avvertì i primi segni della gravidanza, con la conseguenza che ora tutti la fuggivano per il suo stato. Intanto Janu, nonostante fosse sofferente di malaria, andava lo stesso a lavorare per mettere da parte i risparmi e potersi sposare. Ma la cattiva sorte incrudelì contro di lui. Mentre, infatti, potava un ulivo, cadde dall’albero e il giorno dopo morì. Nedda restò sola e quando le nacque la bambina, questa era così gracile e minuta che dopo poco morì.

Alla povera bambina mancava il latte, giacché alla madre scarseggiava il pane. Ella deperì rapidamente, e invano Nedda tentò spremere fra i labbruzzi affamati il sangue del suo seno. Una sera d’inverno, sul tramonto, mentre la neve fioccava sul tetto, e il vento scuoteva l’uscio mal chiuso, la povera bambina, tutta fredda, livida, colle manine contratte, fissò gli occhi vitrei su quelli ardenti della madre, diede un guizzo, e non si mosse più. Nedda la scosse, se la strinse al seno con impeto selvaggio, tentò di scaldarla coll’alito e coi baci, e quando s’accorse che era proprio morta, la depose sul letto dove aveva dormito sua madre, e le s’inginocchiò davanti, cogli occhi asciutti e spalancati fuor di misura. — Oh! benedette voi che siete morte! — esclamò. — Oh! benedetta voi, Vergine Santa! che mi avete tolto la mia creatura per non farla soffrire come me!”

La novella presenta ancora forme narrative in gran parte tipiche della produzione tardo-romantica, come si evince, in particolare, analizzando la sua struttura complessiva. La storia di Nedda, infatti, viene introdotta, in una pagina ricca di colori letterari, da un narratore esterno, onnisciente, che la presenta come un ricordo sentimentale sorto in lui mentre osserva il fuoco del camino. Siamo ancora lontani dalla regressione dell’autore nel mondo dei suoi personaggi, anche se con il procedere della vicenda il narratore tende a scomparire, lasciando in primo piano i fatti “nudi”. La novella è stata spesso interpretata come un’anticipazione o addirittura l’inizio del verismo verghiano per l’attenzione, del tutto nuova, a vicende di poveri contadini siciliani, la cui vita quotidiana viene rappresentata in tutta la sua durezza. Fino ad allora, infatti, Verga aveva scelto di raccontare storie che riguardavano i livelli “alti” della società. Ma il modo con cui egli racconta la triste vicenda di Nedda e Janu sembra collocarsi ancora al di fuori delle scelte veriste. Mancano i caratteri specifici di quel modo di narrare: l’impersonalità, l’assenza di ogni tipo di giudizio sugli eventi, lo spostamento del narratore all’interno del punto di vista dell’ambiente in cui si svolge la storia. L’impianto narrativo è vicino ai modi di raccontare del giovane Verga, e in generale a certe forme tipicamente ottocentesche. Come succede spesso nella narrativa romantica, il testo inizia con un lungo prologo, nel quale l’autore sente il bisogno di spiegare perché ha deciso di raccontare la storia. L’immagine iniziale è quella del focolare, che inserisce la vicenda nell’ambito sereno dei racconti di ambientazione rusticana, i cui modelli più importanti sono gli idilli campagnoli di George Sand (1804-76) e i primi racconti di Nikolaj Gogol’ (1809-52).

Si tratta di una descrizione realistica vivace e semplice di fatti e persone tratti dall’esperienza quotidiana.

La protagonista è presentata attraverso il procedimento del ritratto, di chiara derivazione manzoniana: molto ampio, dettagliato, caratterizzato anche dalla presenza di giudizi di valore, nei quali si condanna esplicitamente il mondo contadino che la attacca e la disprezza («Le comari la chiamavano sfacciata, perché non era stata ipocrita e non era stata snaturata»).

La figura di Nedda risulta così vicina a quella, tradizionale e tipica di molte opere letterarie soprattutto a partire dal tardo Settecento, della fanciulla perseguitata, le cui vicende devono suscitare la commossa simpatia del lettore. D’altra parte Nedda e Janu, che vivono una penosa vicenda di emarginazione, anticipano in un qualche modo i personaggi dei racconti e dei romanzi veristi di Verga, nei quali l’estraneità al contesto sociale è causata spesso dal loro attaccamento a valori morali alti e autentici, antitetici a quelli dell’ambiente in cui vivono.

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