Luciano Garibaldi, "Gli Italiani di Crimea" (Ed. Settimo Sigillo)

di Luciano Garibaldi 

Due notizie (sottovalutate dalla «grande stampa») sulle quali val la pena riflettere. La prima riguarda una parlamentare, la onorevole Angela Fucsia Nissoli, eletta alla Camera dagli italiani residenti in Nord e Centro America. A conclusione di una lunga e intensa battaglia a Montecitorio, ha ottenuto un’ampia adesione alla sua richiesta di rivedere la legge sulla cittadinanza consentendo agli italiani residenti all’estero di tornare ad essere, a tutti gli effetti, cittadini italiani. La Commissione Affari Costituzionali della Camera, infatti, ha finalmente dato il via all’esame della proposta di legge che la onorevole Nissoli aveva presentato il 22 dicembre scorso.

La seconda notizia ha uno spessore ancora maggiore. Per la prima volta, dopo un’attesa durata quasi un secolo, la comunità di origine italiana residente in Crimea (oggi Russia) ha ottenuto di essere ascoltata dal massimo esponente dello Stato. E’ accaduto nel corso della visita di Putin a Yalta, accompagnato dal suo ospite Silvio Berlusconi. I dirigenti dell’Associazione Emigrati Italiani in Crimea (CERKIO) sono stati ricevuti da Putin, che ha fatto capire di essere intenzionato ad accogliere le loro richieste. La prima delle quali è il riconoscimento, ai componenti della comunità, dello status di deportati, riconoscimento già concesso ai discendenti di cinque nazionalità presenti in Crimea, ma mai a quella italiana.

La storia sconosciuta e drammatica degli italiani di Crimea venne in luce alcuni anni fa, quando il professor Giulio Vignoli, docente di Diritto internazionale e membro del Dipartimento Ricerche Europee dell’Università di Genova, e la scrittrice italo-ucraina Giulia Giacchetti-Boico scrissero un libro dedicato al dramma di quella comunità. La Crimea faceva parte, all’epoca, dell’Ucraina, cioè non era stata ancora occupata ed annessa alla Russia.

Da anni, ormai, esisteva un contenzioso tra l’Italia e l’Ucraina riguardo alla sorte di centinaia di componenti la comunità di oriundi italiani scampati alle persecuzioni sovietiche o loro eredi. Ma, nei fatti, l’Italia si era sempre disinteressata alla sorte di quelle famiglie, che pure avevano vissuto un calvario simile a quello degli istriano-giuliano-dalmati. Il libro di Giulio Vignoli e Giulia Giachetti-Boico, intitolato «La tragedia sconosciuta degli italiani di Crimea», non trovò – e si poteva dubitarne? – un editore disposto a metterlo sul mercato, sicché i due autori lo stamparono (in italiano e in russo) a proprie spese (soltanto due anni fa, la casa editrice Settimo Sigillo ha ripubblicato il libro con il titolo «Gli italiani di Crimea»). E ciò, malgrado contenesse rivelazioni a dir poco sconvolgenti. Vediamole.

Nel 1830 e nel 1870, in due ondate successive, giunsero a Kerc, città marittima della Crimea, sullo stretto tra il Mar Nero e il Mar d’Azov, due ondate migratorie di italiani provenienti soprattutto dalla Puglia (Bisceglie, Molfetta, Bari), qualcuno anche dalla Liguria (tra questi un nipote di Giuseppe Garibaldi, discendente da un fratello dell’eroe, che sarà poi fucilato dai comunisti negli anni Trenta): si trattava di agricoltori, pescatori e marinai, attirati soprattutto dalla prospettiva di coltivare la vite e fabbricare vino, ma anche di dedicarsi ad attività marittime. L’immigrazione proseguì nei primi anni del Novecento, favorita dalle autorità imperiali, tanto che, nel censimento del 1921, risultavano residenti a Kerc circa tremila italiani, pari al 2% della popolazione. Avevano costruito una chiesa cattolica, una scuola elementare, una biblioteca, erano rispettati dalla popolazione multietnica della Crimea.

Le cose cambiarono con l’avvento del comunismo. A metà degli Anni Venti iniziarono le requisizioni delle terre, gli arresti, le persecuzioni, il rientro in patria dei molti che prevedevano il peggio. Peggio che arrivò quando Stalin decise di mandare a Kerc un buon numero di attivisti del Partito comunista d’Italia riparati in Urss dopo il 28 ottobre 1922. Tra costoro c’era anche Paolo Robotti, cognato di Palmiro Togliatti. Trasformarono la chiesa in una palestra, cacciarono il parroco, presero le redini della scuola e si misero a gestire le terre espropriate dando vita a un «kolkoz». Gli italiani rimasti a Kerc furono trasformati da piccoli padroni agricoli in servi della gleba. Per chi si ribellava, arresti, torture, fucilazioni o Gulag siberiani con l’accusa di «spionaggio a favore dell’Italia di Mussolini». Si leggano, in proposito, gli agghiaccianti racconti fatti dai discendenti degli scampati a Giulio Vignoli e raccolti nell’appendice del libro.

Molte delle mogli, degli anziani genitori e dei figli delle vittime verranno soccorsi e portati in Italia dalle truppe dell’Armir negli anni 1941 e ’42. Ma coloro che restarono a Kerc, allorché, dopo Stalingrado, il 30 dicembre 1943, l’Armata Rossa tornò ad occupare la città, furono arrestati in massa come «popolazioni fasciste» e deportati in Siberia. La maggior parte dei vecchi e dei bambini (non meno di 500 persone) morì sui carri bestiame durante gli interminabili viaggi. Chi sopravvisse fu inserito nella «Trudarmia» («armata del lavoro») e alcuni riuscirono a salvare la pelle fino all’avvento di Kruscev, che consentì loro di tornare ad una condizione almeno di sopravvivenza.

Dopo il crollo del comunismo, la Crimea entrò a far parte della Repubblica Ucraina. In contemporanea, sorse l’«Associazione degli Italiani di Crimea» (Associazione CERKIO), che oggi conta più di 400 iscritti.

Tutte le istanze da essa presentate sia al governo ucraino, sia al governo italiano non hanno mai ottenuto risposta. L’ambasciata d’Italia a Kiev (capitale dell’Ucraina) ha continuato a ricevere domande tese a riottenere la cittadinanza italiana, ma, poiché i documenti originali erano scomparsi o era praticamente impossibile trovarli, la risposta è stata sempre negativa. Da qui la conclusione del professor Vignoli al suo libro: «Occorre che l’Ucraina riconosca ufficialmente la deportazione degli italiani, e l’Italia restituisca la cittadinanza agli italiani di Crimea che la richiedono». Che oggi, a tutti gi effetti, è possibile correggere così: «Occorre che la Russia riconosca, eccetera, eccetera ». Ebbene, dopo la visita di Putin a Yalta, tutto fa pensare che qualcosa finalmente si stia muovendo.

da: www.riscossacristiana.it

 

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