"Latino e Volgare" ricerca letteraria di Giovanni Teresi

                      Latino e Volgare

 

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Nonostante nel Medioevo fossero previsti percorsi formativi di vario livello e indirizzo, è indubbio che al volgare fosse riconosciuto più il ruolo di lingua veicolare dell’insegnamento che non di lingua oggetto di una codificazione grammaticale, la quale era rappresentata invece dal latino, lingua della gramatica che con questa finiva antonomasticamente per coincidere. Tale aspetto spiega la scarsità, almeno fino alla prima metà del Quattrocento, di strumenti specificamente rivolti all’apprendimento e al perfezionamento del volgare. Certamente abbiamo testimonianza di libercoli dedicati all’alfabetizzazione primaria, cioè all’insegnamento dei primi rudimenti della scrittura, ma si tratta di materiali spesso costituiti da pochi fogli, per altro raramente sopravvissuti all’usura del tempo. Impiegati probabilmente nelle scuole di mercatura ma anche adibiti a un uso privato, tali strumenti, spesso limitati a una tavola illustrante le lettere dell’alfabeto e recante alcune orazioni, contengono spesso testi e frasi in latino che dovevano agevolare insieme all’apprendimento attivo della scrittura in volgare quello passivo della lettura di brevi formule in latino, ancorché finalizzato esclusivamente all’espletamento delle minime pratiche devozionali cui ciascun buon cristiano era chiamato.

Almeno fino al XV secolo, l’insegnamento del volgare, anche ai livelli più bassi dell’istruzione, è concepito in relazione al latino, o, almeno, non sembrano sussistere nella prassi didattica rigidi steccati tra le due lingue, posto che Santa Croce e Salterio, caratterizzati da un grado più o meno rilevante di commistione latino-volgare, potevano servire indistintamente all’alfabetizzazione in volgare come all’apprendimento del latino. Negli stadi successivi dell’educazione, e in particolare nelle scuole notarili e nell’insegnamento superiore, il ruolo del volgare è condizionato dall’orientamento funzionale della scuola: è probabile che nella formazione notarile la competenza nel volgare fosse altrettanto curata rispetto a quella del latino, anche per il progressivo ampliamento degli spazi d’uso dei volgari italiani nei vari ambiti amministrativi. Se tuttavia ci rivolgiamo all’esame delle testimonianze scolastiche superstiti ci troviamo di fronte a una tipologia di testi piuttosto circoscritta. I glossari bilingui latino-volgare (e più raramente volgare-latino), i temi di versione, gli esercizi di traduzione, le varie grammatiche e annotazioni grammaticali latine con inserti volgari ci dicono molto sulla tradizione grammaticografica latina e sull’insegnamento del latino, mentre su quello che doveva essere il trattamento scolastico del volgare forniscono un minor numero di informazioni, specialmente rispetto a una serie di problemi, come l’eventuale esistenza di una norma e la sua relativa concezione, o la percezione della variazione diatopica. Proprio l’analisi di tale produzione scolastica orientata al latino non ha mancato di fornire indicazioni importanti sulla prassi dell’insegnamento del volgare: oltre a documentare la fisionomia di determinate varietà, apportando interessanti informazioni di àmbito linguistico su volgari non sempre ampiamente documentati, tali strumenti didattici possono costituire un materiale importante per ricostruire le modalità dell’apprendimento del volgare.

Certamente saranno esistiti strumenti più pertinenti per l’istruzione volgare, che magari poteva anche svolgersi in buona parte senza l’ausilio di materiali cartacei e pergamenacei, ad esempio attraverso la sola interazione con il maestro o mediante supporti transitori di scrittura (situazione che del resto caratterizza anche la prassi scolastica successiva, se si pensa alla diffidenza con cui si guardava ai libri di testo ancora nella scuola pre-e postrisorgimentale); tuttavia è probabile pensare che latino e volgare fossero nell’educazione linguistica in un rapporto di mutua e reciproca dipendenza: se il volgare serviva da «accesso semplificato al latino», anche il latino costituiva di fatto, in quanto lingua della riflessione grammaticale e dotata di una tradizione scritta ampiamente articolata, rodata e funzionale ai diversi ambiti dell’attività umana, un sistema di riferimento per l’acquisizione della scrittura volgare. Di tale permeabilità nella prassi didattica rimangono vari indizi in alcune trattazioni grammaticali, che pur essendo principalmente dedicate al latino contengono riflessioni rivolte a illustrare comparativamente la resa di un determinato fenomeno in volgare: talvolta questi riferimenti alla lingua materna degli apprendenti assumono, se non una certa autonomia, un rilievo che va al di là del semplice richiamo contrastivo. Si può pensare quindi che una storia dell’educazione linguistica e degli strumenti didattici nel Medioevo debba passare attraverso un’attenta ricognizione delle grammatiche latine, nonché attraverso una disamina degli inserti volgari e dei riferimenti al volgare in esse contenuti: non è detto infatti che presenze anche minime non possano consentire una visione più chiara del processo di grammaticizzazione del volgare, cioè del suo progressivo ingresso in una dimensione grammaticale, se non ancora normativa, almeno descrittiva.

Altri tipi di generi testuali didattici come i glossari bilingui e gli esercizi di traduzione pongono problemi di natura diversa: si tratta infatti di precise testimonianze dell’uso scolastico del volgare come traducente e come lingua veicolare nell’insegnamento del latino. Tuttaviaanche questi strumenti rivelano a un esame più approfondito una natura ancipite: la direzione della traduzione (latino-italiano o italiano-latino), il tipo di scelte traduttive impiegate, il tipo di testi e di lessemi tradotti costituiscono informazioni preziose per capire quanto e in che modo l’insegnamento del latino abbia potuto influire sull’acquisizione del volgare scritto. Oltre a rappresentare un’importante fonte documentaria, i materiali didattici bilingui, pur nella loro eterogeneità e nel diverso spazio che riservano al volgare, consentono in particolare di riflettere sul grado di vicinanza/distanza percepita tra le due lingue.

Il discorso sulle fonti dell’educazione linguistica medievale deve inoltre anche tener conto delle «fonti occulte», cioè di tutti quei materiali che potevano essere impiegati nell’insegnamento, pur non recandone esplicita menzione o pur non costituendo un tipico ausilio didattico. In una situazione fluida come quella medievale, in cui l’insegnamento poteva avvenire – e avveniva il più delle volte – attraverso canali non sempre organizzati le risorse didattiche potevano coincidere con tipologie testuali che la sensibilità moderna non riconoscerebbe come tali. La questione richiede, a ben vedere, di considerare la concezione didattica medievale e i suoi presupposti culturali e ideologici, che risultano intimamente legati alla sfera morale dell’individuo e ai fondamenti religiosi della società.

 

Giovanni Teresi

 

Bibliografia:

Cahiers de RecherchesMédiévales et Humanistes  -Journal of Medieval and Humanistic Studies

Sugli strumenti di prima alfabetizzazione si veda P. Lucchi, «La santacroce, il salterio e il babuino. Libri per imparare a leggere nel primo secolo della stampa», in Alfabetismo e cultura scritta, ed. A. Bartoli Langeli e A. Petrucci, Quaderni storici, XIII, 2, 1978, p. 593-630, e Grendler, La scuola nel Rinascimento, p. 156-176.

Per la situazione relativa ai libri di lettura in volgare si veda quanto affermato da Grendler, La scuola nel Rinascimento, p. 298 in riferimento all’insegnamento del volgare nelle scuole del Cinquecento: «i testi scolastici erano i libri della cultura volgare adulta […] Questi libri migravano dalla casa alla scuola. Durante l’espansione scolastica della seconda metà del Trecento i maestri avevano bisogno di libri di testo. Ma opere in volgare scritte specificamente per la scuola non esistevano. Per risolvere il problema i genitori davano ai figli un libro o due di casa da portare a scuola. Oppure il maestro portava una copia sua. In entrambi i casi la scuola trovò i suoi testi nella cultura volgare adulta».

Se nelle testimonianze duecentesche, il volgare non «riscuoteva attenzione metalinguistica», come osserva De Blasi, «L’italiano nella scuola», p. 383, nei due secoli successivi, e in particolare nel XV secolo, la trattazione della grammatica latina si accompagna sempre più spesso a riflessioni sulle strutture del volgare.

Se nelle testimonianze duecentesche, il volgare non «riscuoteva attenzione metalinguistica», come osserva De Blasi, «L’italiano nella scuola», p. 383, nei due secoli successivi, e in particolare nel XV secolo, la trattazione della grammatica latina si accompagna sempre più spesso a riflessioni sulle strutture del volgare.

Si pensi in particolare a come le donne e i ceti sociali più bassi potevano avvicinarsi all’alfabetizzazione. D. Balestracci, Cilastro che sapeva leggere: alfabetizzazione e istruzione nelle campagne toscane alla fine del Medioevo, XIV-XVI secolo, Pisa, Pacini, 2004, e M. L. Miglio, Governare l’alfabeto: donne, strutture e libri nel Medioevo, Roma, Viella, 2008.

 

 

 

 

 

 

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