La Cucina al tempo dei Borboni - Bruno Di Ciaccio - Cuzzolin Editore | Recensione di Giuseppe Massari

Quanto i Borboni abbiano contribuito ad inserire nella tradizione della cucina dell’epoca elementi innovativi, che ponessero le basi della cucina moderna e di quella mediterranea, con pietanze che in seguito avrebbero invaso le tavole di tutto il mondo e che sono tuttora di grandissima attualità si percepisce chiaramente leggendo la Cucina al tempo dei Borboni. Il tutto nella convinzione che la storia delle abitudini gastronomiche, rappresentino un misuratore efficace dell’evoluzione delle nostre tradizioni come appare chiaramente dalle opere scritte del tempo, in particolare quelle del Corrado e del Cavalcanti, dalle notizie riportate sui giornali e sui diari dei visitatori, dalle testimonianze di cuochi e Monzù e da quelle di una consolidata tradizione orale.Un percorso storico che parte dalla contemporaneità e arriva indietro fino agli anni d'oro della dinastia borbonica, raccontandone gli accadimenti, i fasti, e soprattutto il rapporto con il cibo. Una passeggiata tra i vicoli di una Napoli che tra '700 e '800 è diventava parte di quella che è oggi, tra nascita di nuove tradizioni e pezzi di storia. L'approccio scelto è quello di un saggio storico, raccontato però con un piglio che somiglia a quello della scrittura di un romanzo, o di una biografia. Quella della città e del coprotagonista del suo cambiamento, quel Ferdinando IV che per tutti era il Re Lazzarone.  "La prima sensazione che si percepisce venendo a contatto con la cucina di quel momento storico è di avere a che fare con qualcosa di anacronistico", scrive Di Ciaccio, salvo poi aggiungere che "basta poco per rendersi conto di trovarsi di fronte a un'epoca ricca di elementi innovativi", "dove nacquero pietanze che in seguito avrebbero invaso le tavole di tutto il mondo".E non solo. Dal ragù ai "maccaroni", le pagine regalano l'immagine di una città in difficoltà, nonostante i cambiamenti apportati da questo re un po' gastronomo, uomo interessato al popolo e al suo rapporto con il cibo che, "pur se misero e scarso, era visto come un momento conviviale". I passaggi più interessanti del libro sono quelli accompagnati da testimonianze del tempo, raccolte con dovizia di particolari e che rappresentano il tesoretto di questo libro. Come quella del Marchese De Sade - riportato da Marcello D'Orta - che racconta il rito dell'albero della cuccagna: un lungo palo alla cui sommità era "appeso ogni ben di dio" che scatenava incredibili resse nel popolo affamato, tanto che perfino il marchese lo definì "il più barbaro spettacolo di questo mondo", dopo aver assistito a "un orrore" ovvero due uomini "che si attaccarono per un quarto di bue", in un litigio che finì con un omicidio.Secondo le parole dello stesso De Sade, ad ogni apparizione dell'albero della cuccagna "il numero degli assalitori è di solito non meno di 5-7000 lazzaroni". L'orrore della miseria, ma anche il folklore colorato di un popolo vitale, come quello dove nacque il cibo da strada, quello che oggi per tutti è lo street food. "In tutte le feste - riporta Di Ciaccio - era sempre presente una lunga teoria di affollatissime bancarelle che vendevano fritti, soffritti, frutti di mare, dolciumi di ogni tipo". Un libro la cui sezione di ricette fa parte esso stesso del racconto storico: le rivisitazioni in chiave contemporanea dell'autore fanno da contraltare a pagine di Edoardo De Filippo che racconta il ragù, al racconto della pizza di Mario Stefanile e a interessantissime minute da La cucina teorico-pratica di Ippolito Cavalcanti. Riportate fedelmente, ci danno uno squarcio sull'economia familiare di quel tempo, con i prezzi relativi ad ogni pietanza.

Bruno Di Ciaccio: nato a Gaeta il 24-06-1950, docente di matematica in pensione, è appassionato di cucina e di storia locale e partecipa assiduamente alle attività di associazioni culturali e di gruppi social network. Nel 2015 ha pubblicato il volume: “La cucina di Gaeta”.

 

Giuseppe Massari
 

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