“IL MITO DI ARETUSA E ALFEO” RICERCA MITOLOGIA DI GIOVANNI TERESI

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                                           Il mito di Aretusa e Alfeo 

 

 

Alfeo si era appassionato ad Artemide e, preso dall’amore, quando comprese che né con la persuasione né con le preghiere sarebbe riuscito ad unirsi a lei, si risolse a costringere la dea con la forza; si recò a Letrini, a una festa notturna condotta dalla stessa Artemide e dalle ninfe che erano sue compagne nella danza; dal canto suo, lei, che aveva intuito il disegno di Alfeo, si spalmò la faccia di fango e fecero lo stesso quante delle ninfe erano presenti, di modo che Alfeo, una volta arrivato, non fu in grado di distinguere Artemide dalle altre e non avendola riconosciuta se ne andò, in ragione del fallimento della sua impresa.

È dunque a causa dell’amore che Alfeo ebbe per lei che i Letrinei chiamano Alfeia la dea.

Gli antichi dicono che quando si vuole oltraggiare (ὑβρίζω) qualcuno e schernirlo gli si spalma la faccia (πρόσωπον) con il fango (πηλός).

Amabile Alfeo, dio che porti sulle tue acque corone d’Olimpia e che per le pianure di Pisa serpeggi in mezzo a una nobile polvere, il tuo corso è da principio tranquillo ma quando arrivi alla foce, rapido cadendo sotto i flutti del mare immenso, tu giovane marito (νυμφίος) aprendo a te stesso una via, cercando un tuo proprio canale, ti dirigi in Sicilia verso la fonte Aretusa, languido compagno di letto (ἀκοίτης); e lei accogliendoti spossato e ansimante, dopo averti pulito delle alghe e dei fiori salmastri del mare, congiunge le labbra alla tua bocca; come una sposa novella (νύμφη) che avvolge lo sposo facendolo giacere nell’intreccio di un dolce legame, sul suo grembo addormenta la tua acqua di Olimpia.

«Alfeo quando va da Pisa e attraversa il mare, si dirige verso Aretusa conducendo la sua acqua portatrice di rami d’ulivo silvestre, foglie belle e fiori portando come doni nuziali e polvere sacra, va nel profondo dei flutti, s’insinua nel mare in basso e non mischia la sua acqua a quelle acque e il mare non sa del fiume che lo attraversa. Fanciullo tremendo, perfido maestro di cose terribili, Eros con il suo filtro ha istruito un fiume a nuotare».

La tradizione assegna anche alla sorgente Aretusa un’origine greca, attribuendole la medesima scaturigine del fiume. La leggenda del viaggio sottomarino dalla Grecia alla Sicilia nasce probabilmente da una caratteristica reale dell’Alfeo, che si presenta come un fiume che sprofonda nel sottosuolo, per lunghi tratti, salvo poi riemergere.

Un freddo sudore pervade le membra assediate, / da tutto il corpo stillano gocce azzurrine, / e, se sposto il piede, si forma una pozza, dai capelli / cola rugiada, più celermente di quanto ci metta a dirlo / mi trasformo in acqua. Il fiume riconosce allora / nell’acqua l’amata e, lasciato l’aspetto umano di prima, si muta nella propria acqua, per mescolarla alla mia.

(Ov. Met. 5. 632‐638: occupat obsessos sudor mihi frigidus artus, / caeruleaeque cadunt toto de corpore guttae, / quaque pedem movi, manat lacus, eque capillis / ros cadit, et citius, quam nunc tibi facta renarro, / in latices mutor. sed enim cognoscit amatas / amnis aquas positoque viri, quod sumpserat, ore / vertitur in proprias, et se mihi misceat, undas .

Si rimanda anche alla testimonianza di Paus. 5. 7. 2, che fa di Alfeo e Aretusa due personaggi dediti alla caccia, protagonisti di un amore a senso unico, che li conduce entrambi in Sicilia: lì Aretusa si trasforma in fonte e Alfeo, per amore, in fiume.)

Una ricognizione degli intrecci dedicati all’origine mitica dei corsi d’acqua rivela, in effetti, la persistenza del nesso tematico che mette in relazione l’infrazione del codice sessuale e la nascita di una sorgente. Dalle testimonianze sia greche che romane è tramandata la storia della ragazza che fu colpevole o vittima, a seconda delle varianti, d’incesto, il cui esempio sentenzia Ovidio «mostra come le fanciulle debbano amare solo chi è permesso».

Da lei ebbe origine a Mileto la fonte «lacrime di Biblide», formata dal fiume del suo pianto che le ninfe non fecero mai più inaridire. Più spesso, però, perno di tali racconti sono creature femminili che al pari di Aretusa subiscono le attenzioni di un personaggio maschile, a dispetto della volontà di mantenersi caste.

Ovidio imprime a questo motivo una complessa articolazione laddove tratteggia la figura della ninfa eponima di un altro corso d’acqua, che scorre nei pressi di Ortigia.

Ciane, questo è il suo nome, si presenta nel duplice ruolo di spettatrice impotente di un rapimento erotico (quello di Plutone ai danni di Proserpina) e vittima dello stesso.

La fonte di cui è nume tutelare viene, infatti, profanata dal rapitore che in essa si apre un varco per portare a termine il suo crimine.

«Non puoi essere il genero di Cerere se lei non vuole / dovevi chiederla non rapirla! Se posso paragonare / le piccole cose alle grandi, anch’io fui amata da Anapi: / lo sposai perché pregata (exorata), non come costei, per paura (exterrita)»

“La sposa (ἄλοχος), Clite, non sopravvisse alla morte / di suo marito (πόσιος) ma compì un’altra sciagura / più atroce, passando una corda (βρόχον) intorno al suo collo. / La sua morte la piansero anche le ninfe dei boschi, e di tutte le lacrime versate a terra dai loro occhi, / le dee fecero una sorgente che chiamano Clite, / e serba glorioso il nome della sventurata distesa ai piedi di un monte / si scioglie in lacrime, finché la sorella di Febo, / mossa a pietà del suo amore e del suo dolore, le trasformò il corpo / in fresca fonte, e dissolse le membra in onde eterne.”

Le storie di fanciulle le cui avventure culminano con la metamorfosi in sorgente, non sono altro che l’«espansione» di una metafora: quella volta ad accostare la «donna» e l’«acqua di fonte», sulla scorta dei tratti semantici che entrambi i referenti condividono (purezza e fecondità), almeno nell’ottica degli scrittori antichi.

I Greci considerano l’acqua come un elemento naturalmente puro e come agente purificatore, in special modo quella sorgiva che si rinnova costantemente; della sua virtù vivificatrice parlano già i filosofi presocratici, assegnandole il ruolo di elemento primordiale. La corrispondenza simbolica tra la donna e questo elemento naturale ricorre costantemente nei trattati ippocratici, dove la buona salute del corpo femminile coincide con lo scorrere regolare delle sorgenti.

Di Aretusa e della sua fonte hanno lasciato il ricordo i più noti poeti e scrittori.

 

Un’isola, Ortigia giace
sull’oceano nebbioso di contro
a Trinacria, dove la bocca di Alfeo
gorgoglia mescolandosi con le fonti
della vasta Aretusa

PAUSANIA

 

Di Grecia volve … il greco Alfeo
Che del mare or lungi s’alza
E costanti gli effetti e dolci l’acque
Serba tra quelli della amara Tedi …

PINDEMONTE (Nei sepolcri)

 

“… Ti sovvien della bella Doriese
nomata Siracusa nell’effige d’oro?…

GABRIELE D’ANNUNZIO (L’Oleandro – Laudi)

 

“… alpheum fama est huc Elidis
amnem occultas egisse vias subter mare,
qui nunc ore Arethusa tuo siculis
confunditor undis … »

VIRGILIO (Eneide lib. III 692)

 

“…. Io non cerco che dissonanze Alfeo,
qualcosa di più della perfezione.
…. Non un luogo dell’infanzia cerco,
e seguendo sottomare il fiume,
già prima della foce di Aretusa,
annodare la corda spezzata dell’arrivo”

SALVATORE QUASIMODO (Seguendo l’Alfeo)

 

“Una fonte incredibilmente grande, brulicante di pesci,
e così situata che le onde del mare la sommergerebbero
se non fosse protetta da un massiccio muro di pietra”

CICERONE (nelle Verrine)

 

“Meravigliosa sorgente che s’appella a “An Nabbudi”
(Il nome datole dagli arabi)

EDRIS (Geografo arabo)

 

“Grazie ai vostri sforzi noi ci siamo riforniti di viveri ed acqua,
e sicuramente avendo attinto alla Fonte Aretusa,
la vittoria non ci può mancare”

NELSON 22 Luglio del 1798

(Prima di affrontare in battaglia l’armata napoleonica a Aboukir)

 

“Si deve contemplare il panorama sotto
la luna della Fontana d’Aretusa.
Quello che si sente a Siracusa
è amore per l’Ellade,
la patria di ogni spirito pensoso”

GREGOROVIUS (poeta tedesco dell’800)

 

“Amor, amor, sussurran l’acque;
a Alfeo chiama nei verdi talami Aretusa”

GIOSUE’ CARDUCCI (Primavere elleniche)

 

Giovanni Teresi

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