Giuseppe Pappalardo, "I versi e le parole" (Ed. Thule) - di Francesca Luzzio

Il pastello riprodotto sulla copertina di questa nuova silloge di Giuseppe Pappalardo propone, con tecnica analogico-figurale e nello stesso tempo metaforica, la valenza semantica del titolo: i "versi", come una mano tesa, sembrano alludere alle vibrazioni dell’animo, al gorgogliare ispirativo, all’input primigenio del sentire che cerca le "parole" che talvolta - come un indice di un’altra mano sollevato in segno di reciso diniego - si oppongono a dargli voce e consistenza perché non si ritengono idonee; sicché versi e parole "fermentano nel cuore/ come un vino che dorme nelle botti/ ... / cercando un cuore opaco in cui brillare" (I versi e le parole, pag. 17). E, in tal caso, strumento dello scintillio diviene la poesia che è per Giuseppe Pappalardo, com'è sostenuto a tal proposito anche da A. Rosselli, "luogo di un'integrale dicibilità, un equivalente del nesso inconscio/coscienza, il luogo nel quale vengono meno i confini tra interno ed esterno in una completa ricollocazione dell’io nel mondo" (R. Luperini, P. Cataldi, F. D’Amely, "Poeti Italiani: il Novecento", Palumbo ed.); una compagna con cui, a tal fine, dialogare nella solitudine che talvolta implica "l’angusta prigione della vita" (Alla poesia, pag. 43).

La poesia concede dunque al poeta il privilegio di leggersi e di leggere, collocandosi nel mondo, la realtà che lo circonda per poi proporre valori che oltrepassano la storia, benché dovrebbero realizzarsi in essa per trascendere verso l’eternità. Infine, sostiene il poeta in uno dei suoi aforismi presenti nella seconda parte della silloge, "solo chi cerca/ l’uomo sulla terra/ trova la strada/ verso l’infinito" (pag. 51), assegnando in tal modo alla parola - come fanno Mario Luzi e, andando molto indietro nel tempo, Dante Alighieri - la funzione di mettere in comunione la sfera del divino con quella dell’umano.

Il relazionarsi con il metafisico e con il sociale trova la sua matrice nella tematica esistenziale che rivela un io attento a leggere nel suo passato e nel suo presente; il quale, se nel suo ieri non può non ricordare i palpiti d’amore quando un sorriso lo "illuminava di chiarore limpido/ come lampara che disvela il fondo/ di un mare cristallino" (Il canto del mattino, pag. 29), oggi non può non dire come ormai "quel tempo geme nel silenzio" e non può, nella solitudine, non rivivere "ogni rovello che tormenta l’animo" e, contemporaneamente, non rilevare il trascorrere inesorabile del tempo di cui restano ormai solo metaforiche "briciole" (Notte clemente, pag. 32). Nel suo espandersi emotivo-sentimentale, l’io trova spesso nella natura un eliotiano correlativo ("con le vele intessute d’illusioni/ cento ho solcato acque procellose" in Sguardo all’indietro, pag. 39) o, attraverso una dannunziana antropomorfizzazione, un’amica confidente con cui condividere sofferenza e gioia ("e tu notte clemente, nell’oblio/ mi addormi e nelle tanto attese lacrime" in Notte clemente, pag. 33).

La strutturazione metrica dei versi è in genere libera, pur non mancando rime, assonanze o consonanze distribuite nel corpo delle poesie, anche tra versi lontani fra loro: blocco/globo (assonanza) in "Alla castagna", pag. 21; vento/tormento (rima) in "Una vita che fugge", pag. 28; invano/mattino (consonanza, quasi rima) in "Il canto del mattino", pag. 29. Non mancano tuttavia le forme metriche tradizionali e, fra queste, non si può non evidenziare la presenza di alcuni sonetti abilmente strutturati nella musicalità ritmica dell’endecasillabo e delle rime.

                                                 

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