Le atrocità del comunismo europeo per sfatare il suo fantasma - di Domenico Bonvegna

Fa scalpore l’avanzata del Partito comunista in Russia, la formazione politica erede del Pcus. In particolare, fa scandalo il 20 percento raccolto dai comunisti proprio nella terra dove il comunismo era nato e dove è caduto trent’anni fa. Pare che non si tratti soltanto di nostalgici, e certamente sono anche voti di protesta contro Putin. Anche se c’erano altri partiti dove potevano incanalarsi i voti di protesta. Tuttavia, secondo Affaritaliani.it, “Il voto per i comunisti ha un significato forte, ideologico, patriottico e rivoluzionario insieme”.

A questo proposito, su Lanuovbq.it, Stefano Magni, scrive: “Il fantasma del comunismo, oltre che in Europa, si aggira per la Russia, dove ha governato con pugno di ferro. Le elezioni sono solo l'ultima parziale dimostrazione di questa tendenza inquietante quanto sottovalutata. Non cresce solo per la tattica del "voto intelligente" contro Putin, ma anche per una cultura stalinista di ritorno”. Infatti, la popolarità di Stalin è in costante crescita: nel maggio scorso, il Levada Center ha rilevato che il 56% dei russi lo ritiene “un grande leader”, circa il doppio rispetto al 2016.

Da almeno un decennio a questa parte, infatti, la cultura storica ufficiale russa è sempre più acritica nei confronti del passato sovietico. Dopo l’ondata di indignazione nei confronti del vecchio regime negli anni 90 e l’apatia degli anni 2000, la storia del comunismo, negli anni ’10, ha incominciato a fondersi con quella dell’impero e della grandeur russa. Di Stalin si ricordano soprattutto la Grande Guerra Patriottica e la modernizzazione, molto più che i Gulag e i venti milioni di morti nelle carestie e nelle deportazioni”. (S. Magni, Il comunismo si sta risvegliando in Russia, 23.9.21, Lanuovbq.it).

Tempo fa leggendo l’ottimo libro, “La vita in uno sguardo. Le vittime del grande terrore staliniano” (Lindau 2012), scritto a quattro mani da Marte Dell’Asta e Lucetta Scaraffia. la Dell’Asta amaramente ammette che «i temi delle repressioni, del totalitarismo, hanno incominciato ad annoiare, a sembrare scontati e infine quasi indecorosi; di fronte alla vita che preme sempre più intensa e complessa, molti giudicano assurdo tirar fuori dall’armadio lo spaventapasseri di Stalin e agitarlo per spaventare e irritare i nuovi borghesi russi».

Se questa è l’attuale situazione politica in Russia, non facciamo male a ricordare le atrocità che hanno contrassegnato gli anni del totalitarismo comunista in Europa. Doveva essere una priorità degli storici spiegare, “come mai la potenza del comunismo sia cresciuta per così tanto tempo, per poi crollare come un castello di carte”. Forse, scrive Martin Malia, il Libro nero del comunismo, potrà provocare un salutare shock, contribuendo a smuovere le acque. Probabilmente è il primo tentativo per determinare globalmente la reale portata dei “crimini, del terrore e della repressione” del leninismo. Per gli storici del Libro nero, il comunismo è stato, “una tragedia di dimensioni planetarie”. In ogni caso, i 100 milioni di morti, causati dal comunismo, “costituisce la più colossale carneficina politica della storia”.

Per Malia, il vero shock è stato “provocato dall’inevitabile confronto con il nazismo, il quale, con le sue vittime stimate a venticinque milioni, è apparso nettamente meno micidiale del comunismo”. E comunque Courtois ha sempre fatto parlare le cifre, “le ha messe esplicitamente a confronto, trasformando così il libro in una bomba”. Il curatore del libro ha messo esplicitamente sullo stesso piano il “genocidio di classe” comunista e il “genocidio di razza” nazista, definendoli entrambi “crimini contro l’umanità”. Ancora più scioccante è che in Occidente, ci sono stati complici con i crimini comunisti di Stalin, Ho Chi Minh, Pol Pot, Fidel Castro. Courtois sottolinea che questi signori anche se hanno abbandonato questi idoli di ieri, lo hanno fatto in silenzio e con molta discrezione.

Comunque, anche Malia nota questo peso diverso tra il nazismo e il comunismo. Oggi è un dato di fatto che il nazismo e Hitler sono onnipresenti sulla stampa e sugli schermi televisivi dell’Europa occidentale, mentre Stalin e il comunismo vi compaiono solo sporadicamente. La condizione di ‘ex comunista’ non implica alcuna stigmatizzazione, non si accompagna a nessuna espressione di rammarico, mentre qualsiasi trascorso nazista, anche debole e marginale, è una macchia indelebile”. Più avanti Malia afferma che l’assassinio resta sempre un assassinio, qualunque ne sia la motivazione ideologica. Interessante la tesi di Annah Arendt ne “Le origini del totalitarismo”, i due sistemi nazisti e comunisti, “hanno massacrato le loro vittime non per quello che avevano fatto (resistere al regime, per esempio) ma per quello che erano, che si trattasse di ebrei o di Kulak”.

Peraltro, lo storico americano rileva che nessun campo del gulag è stato trasformato in museo per mantenere viva la memoria delle persone che sono state rinchiuse. In compenso ancora si possono notare diverse statue di Lenin e la sua mummia riposa con tutti gli onori nel suo mausoleo a Mosca. Inoltre, nel mondo ex comunista, nessuno dei responsabili ufficiali è sto giudicato o punito, peraltro i partiti comunisti, tranquillamente partecipano alla vita politica.

Nella seconda parte (All’Est) del Libro nero del comunismo europeo, considera l’occupazione sovietica dell’Estonia, Bulgaria, Romania e RDT. Qui gli autori descrivono i metodi sovietici, quasi sempre gli stessi, di repressione attuati con la complicità dei comunisti di queste nazioni e i movimenti di resistenza anticomunista.

Il saggio sull’Estonia viene redatto da Mart Laar, uno storico estone, che entra subito nel vivo del racconto sul comportamento terroristico dei bolscevichi locali contro le armate bianche, già nel novembre del 1918. Successivamente poi il racconto si focalizza sull’accordo tra i due dittatori (Germania e Urss) che intendevano spartirsi il mondo. Così dopo il Patto tra Ribbentropp-Molotov, i Paesi Baltici passano sotto l’influenza sovietica. L’Armata Rossa, con un esercito impressionante invade i Paesi Baltici. Oltre 165.000 uomini contro la sola Estonia, violando tutti i trattati bilaterali, tra i due Paesi. Una volta conquistato il territorio, si ripete il solito rito dell’occupazione delle sedi delle istituzioni, il controllo dei nodi ferroviari e delle telecomunicazioni. La guardia nazionale e la popolazione vengono disarmate, vietato qualsiasi assembramento. Viene dissolto il Parlamento in carica e si costituisce una assemblea fantoccio agli ordini dei russi. Viene modificata la legge elettorale, per poter svolgere delle elezioni farsa, e dare la maggioranza alla Lega dei Lavoratori, cioè ai comunisti. Poi si organizzarono sommosse di piazza guidate dai comunisti. Dopo quel simulacro di elezioni, il potere rese noti i suoi progetti per il paese. In pratica si preparava il regime di terrore e la politica di genocidio. Chi osava reagire veniva represso nel sangue. Sostanzialmente si ripete lo stesso cliché negli altri due Paesi Baltici. Durante l’estate 1940, inizia l’ondata di terrore, il cui scopo era l’annientamento sistematico dell’èlite nazionale e, in particolare. Di quella politica, militare e intellettuale. Sembra che gli elenchi delle persone da eliminare fossero stati preparati in anticipo. Furono impiantati i tribunali militari sovietici e pochi sfuggirono alla morte. La maggior parte delle figure di primo piano della vita politica repubblicana estone morirono o furono giustiziate nei campi di detenzione. Nel 1941 iniziano le deportazioni sistematiche di intere famiglie, così si poté sovietizzare il territorio estone. La polizia politica redige gli elenchi degli “elementi antisovietici” e così si procede agli arresti e alle deportazioni che avvenivano in piena notte.

Nello stesso tempo per sfuggire alle deportazioni, nacquero i primi gruppi di partigiani, armati, conosciuti in Estonia con il nome di “fratelli della foresta”. Poi arriva la guerra contro i tedeschi e il terrore contro la popolazione baltica si fa più selvaggio.

Lo storico estone si sofferma sui metodi di occupazione, e sulla vera e propria “colonizzazione”, russificazione violenta dei territori baltici. “L’obiettivo fondamentale era fare di questi tre popoli delle minoranze nel loro stesso territorio, creando vere e proprie ‘guarnigioni civili’ che sostenessero l’occupazione straniera”. Laar descrive minuziosamente come i russi occupanti con il terrore, mettevano in atto la colonizzazione del territorio. Si crearono delle località completamente russe. Gli immigrati russi naturalmente erano favoriti in materia di alloggio e di lavoro a discapito degli estoni. In ben undici città su trentadue la maggioranza della popolazione era costituita da stranieri.

Il sistema comunista non riconosceva nessun diritto ai popoli di poter disporre delle proprie risorse, naturali e qualsiasi genere. In pratica i sovietici al potere svilupparono “un’economia di rapina brutale, il cui obiettivo era svuotare l’Estonia delle risorse naturali il più velocemente possibile […]”.

Laar descrive il massacro del regime sovietico della natura estone, imponendo l’industria pesante, snaturando il territorio. Il sistema comunista attuò la distruzione dell’ordine sociale e della società civile, annientando la memoria collettiva. Del resto i sovietici attuarono la tesi di George Orwell: solo controllando il passato si può controllare il futuro. “Era necessario far sparire dalla memoria collettiva tutto ciò che ricordava l’Estonia indipendente, cancellare nelle nuove generazioni la possibilità stessa di concepire un universo che differisse dalla realtà sovietica”. Quindi sparirono tutti i monumenti commemorativi, distruzione delle tombe, dei cimiteri. Distruzione di diverse collezioni museali. Bisognava confiscare la memoria del popolo. E poi naturalmente attacco alla libertà di associazione e di culto. La Chiesa per i comunisti rappresentava un serio pericolo.

La lotta contro la società civile comportava la distruzione di qualsiasi vita intellettuale libera; il sistema scolastico controllato dai comunisti, l’istruzione e la cultura dovevano passare attraverso il controllo del partito. Il sistema sovietico comportava anche la distruzione di intere biblioteche di libri. Laar parla di un vero e proprio accanimento contro i libri da parte dei comunisti. Addirittura, si tratta della scomparsa di ben ventisei milioni di volumi. Lo storico estone infine racconta delle giornate del 1988 di liberazione dell’occupante sovietico, quando le bandiere bianco-nero-blu, poterono finalmente sventolare per le strade. Anch’io ho un ricordo personale, quando nel 1990 ho manifestato in Via Orefici a Milano con le bandiere delle nazioni baltiche per la loro indipendenza.

Il Libro nero del comunismo europeo continua con il saggio scritto da tre storici, sulla Bulgaria sotto il gioco comunista. Crimini, resistenze e repressioni. Anche qui si parte dal contesto storico, per giungere all’incoronazione del re Boris III, figlio di Ferdinando che era tra gli sconfitti della Prima Guerra mondiale. Si punta l’attenzione subito sulle mosse del Partito comunista bulgaro, che viene guidato e coordinato da consiglieri sovietici, agenti del KGB. Le caratteristiche del popolo bulgaro, in maggioranza contadino, implica un comportamento diverso dei comunisti rispetto ad altri Paesi. Qui vengono scatenati squadre di attivisti contro i kulak, proprietari terrieri. Tuttavia, anche in Bulgaria si registrano resistenze contro il sistema di sovietizzazione del Paese. Naturalmente di queste resistenze in Occidente non ne abbiamo mai sentito parlare. Si è sempre sostenuto il ritornello che la popolazione avesse accolto a braccia aperte il totalitarismo sovietico comunista.

Il III capitolo del libro è occupato dal “Sistema repressivo comunista in Romania”, a cura di Romulus Rusan con la collaborazione di altri scrittori.

Anche in questo saggio si ripete il sistema repressivo dei comunisti, del loro apparato, a cominciare dalla famigerata e brutale polizia romena Securitate, sorvegliata fin dall’inizio dai consiglieri dei servizi sovietici.

Nel saggio possiamo leggere una scheda sui metodi di tortura utilizzate durante le inchieste nelle prigioni e nei campi di sterminio. “Chi non è con noi è contro di noi”, lo diceva Lenin. Tutti i regimi comunisti hanno fatto propria questa massima, scatenandosi contro chiunque si opponesse al loro sistema. La Romania non ha fatto eccezione a questa regola. Il testo riporta cifre impressionanti del sistema concentrazionario romeno, confrontate con la popolazione complessiva romena. Il saggio fa i nomi dei vari penitenziari, luoghi di detenzione in Romania, uno su tutti viene considerato pericoloso, si tratta di Sighet, dove nelle settantadue celle è stata rinchiusa tutta la vecchia classe politica, religiosi. Gli autori documentano una serie di arresti arbitrari e di assassinii. “Il racconto dei tormenti inflitti ai detenuti è spaventoso. Torture senza fine, dai pestaggi bestiali alle scosse elettriche, malnutrizione, assenza di cure: nulla fu loro risparmiato”. In alcuni penitenziari si praticava anche la tortura “medica”. Dalla bibliografia, il numero complessivo delle persone transitate nelle prigioni e nei campi di lavoro forzato si avvicina ai due milioni.

Anche la Romania seguiva il modello sovietico, la cui polizia politica sotto la direzione di Lavrentij Berija, era divenuta, la seconda grande utilizzatrice della forza lavoro sovietica. Si tratta degli “internamenti amministrativi”, ovvero si arresta senza mandato e la detenzione senza giudizio, è un sistema largamente utilizzato per l’invio di prigionieri politici nei grandi cantieri in cui il regime utilizzava il lavoro forzato. Gli autori del saggio fanno riferimento al mega cantiere per la costruzione del canale tra il Danubio e il Mar Nero. Qui lavoravano oltre 20.000 persone con la falsa qualifica di “operai volontari”. “Oltre ad essere abusivamente private della libertà, le persone internate nelle ‘colonie di lavoro’ subivano sistematicamente le torture inflitte dal personale di sorveglianza”. Questi luoghi praticamente erano centri di sterminio.

Il sistema comunista prevedeva la rieducazione della popolazione. A questo proposito si fa riferimento al “fenomeno Pitesti”, un carcere tristemente famoso perché si svolgono le mostruose esperienze di rieducazione. Un insieme di tecniche (in quattro fasi) basate su abusi psichiatrici e torture fisiche il cui fine non era soltanto di terrorizzare gli oppositori del regime, bensì di distruggere la personalità dei detenuti. A loro volta questi, dopo il lavaggio del cervello, venivano trasformati a loro volta in aguzzini incaricati di infliggere le peggiori sofferenze ai propri compagni.

Queste esperienze si fondavano sulle teorie del sociologo pedagogista sovietico Anton Makarenko. Secondo Francois Furet, Pitesti fu “una delle peggiori esperienze di disumanizzazione che la nostra epoca abbia conosciuto […]”. In pratica ci si torturava a vicenda: “condividendo la cella con i loro carnefici, le vittime non avevano un attimo di tregua: la carne veniva straziata giorno e notte, fino alla mutilazione definitiva del corpo e all’annientamento dello spirito.

Il saggio dà conto della resistenza anticomunista armata, gruppi di persone scollegate tra loro, una donna in pericolare si è distinta, Elisabeta Rizea. Anche in Romania si evidenzia la repressione delle chiese e l’imbavagliamento della cultura.

Il IV capitolo affronta i crimini politici nella Repubblica Democratica tedesca (RDT). Ma questo tema merita un intervento a parte che farò in seguito.

Il testo curato da Courtois è completato dal comportamento dei comunisti in Occidente, in particolare quello greco e italiano.

 

 

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