LE TRADIZIONI POPOLARI SICILIANE – RICERCA STORICA DI GIOVANNI TERESI

 

                                                  Pupi Siciliani 

 

Le tradizioni popolari siciliane sono numerose e diverse, poiché  molte e divergenti colonizzazioni di popoli del Mediterraneo influenzarono gli usi e i costumi locali scontrandosi di volta in volta con le tradizioni preesistenti, a cominciare da quelle autoctone. È importante ricordare, infatti, che l’isola fu via via dominata da Greci, Latini, Bizantini e Arabi, Spagnoli e Francesi. Il folklorista Giuseppe Pitrè dedicò un’opera in venticinque volumi alle tradizioni popolari di quest’area, inglobandovi descrizioni etnografiche e prospettive storiche. Nel dominio delle tradizioni popolari rientrano le parlate siciliane, per quanto sia stato l’unico complesso di dialetti italici che precedette il toscano nell’elevarsi a dignità di lessico letterario, tanto da contendere ad essa il primato, abbastanza lungo, quale lingua nazionale. In pratica, nel siciliano possono distinguersi diverse stratificazioni di dialetti: a livello fonetico si hanno incontri consonantici di orizzonte prelatino e altri che sembrano apparentarsi alle moderne lingue della zona balcanica. L’etimologia, invece, rimanda alla dominazione romana, quella bizantina e soprattutto quella araba. Si hanno inoltre diverse province idiomatiche in cui il siciliano si scontra con determinate caratteristiche locali, e isole linguistiche: e ciò vale per le colonie Albanesi, stanziate prevalentemente nel Peloritano, ma anche a Piana degli Albanesi (vicino Palermo); e per i centri lombardi di Nicosia, Sperlinga, Novara e San Fratello, dove i locali dialetti rivelano derivazioni gallo-italici. Per quanto concerne il patrimonio letterario popolare, va detto che l’ideazione spontanea isolana si muove nell’ambito letterario tanto su temi religiosi o moralistici quanto su soggetti profani, come nel caso dei testi epici del ciclo carolingio del famoso Teatro dei Pupi e della favolistica che presenta sempre uno sviluppo narrativo esemplare.

Al panorama letterario si connettono precisi riferimenti musicali.  Nell’ambito dell’invenzione compositiva spiccano non poche componenti che sembrano derivare dalla musicalità ellenica. La melodia siciliana, per esempio, tende a discendere dall’acuto, anzi dall’acutissimo al grave. Inoltre, di zona in zona, si ha un mutamento caratteristico delle scale impiegate. Le ascendenze saracene si fanno inoltre sentire nelle modalità d’intonazione della voce, sempre tese ed aspre. L’orizzonte culturale ellenico riappare nello strumento principale dell’isola, vale a dire nel mariòlu, del tutto simile all’antica lyra, anche per i poteri terapeutici che si attribuiscono alle sue sonorità.

Al complesso di espressioni menzionato si lega l’arte interpretativa del cantastorie. Un tempo, essa era patrimonio di due gruppi principali: i cantori ambulanti veri e propri, dediti alle ballate cavalleresche e alle storie profane, e i ciechi, specializzati nelle narrazioni e nei canti religiosi e il cui nomadismo era limitato al circondario dei luoghi di pellegrinaggio o alle province. Oggi i primi sopravvivono ancora, ma dall’inizio del secolo la loro funzione ha conosciuto un progressivo impoverimento.

Il mondo delle credenze e delle leggende si apparenta al patrimonio favolistico, poetico e musicale delineato, costituendone non di rado la fonte prima. Come quasi in tutte le regioni italiane, in Sicilia si rintracciano componenti pagane e cristiane, più o meno commiste, e superstizioni che toccano tutti gli aspetti della vita umana. Nell’area messinese e in quella palermitana, per esempio, è tuttora vivo il ricordo di Cola Pesce (soggetto di pura invenzione mitologica), ma molti altri personaggi di natura acquatica ricorrono un po’ in tutto il folklore isolano. A prescindere dai più noti ricordi di origine classica, si può  segnalare la sirena che ogni anno, secondo la vecchia credenza di Modica (Ragusa), nelle notti tra il 24 e il 25 gennaio, emerge dal fondo del mare con un canto dolcissimo e pronta a predire il futuro a chi sappia avvicinarla. Immagini e motivi più inquietanti si registrano altresì in ricorrenza o meno di date precise. A Termini Imerese (Palermo) è radicata una leggenda secondo la quale Salomè, la figlia di Erodiade, sarebbe approdata, a suo tempo, in questo paese in cerca d’espiazione per la morte di Giovanni Battista, da lei provocata; fece perciò costruire una chiesa in memoria del martire, ma non appena essa fu terminata sarebbe scaturito dalle viscere della terra un fiume di sangue che tutto inaridiva intorno. La bella peccatrice si sarebbe allora annegata in quei flutti. Similmente, a Noto si parla di un tesoro nascosto sepolto in una grotta e custodito dai fantasmi degli “infedeli” che lì l’avevano sepolto; a Sciacca, si tramanda una fosca storia di sangue che comprende la reiterata resurrezione dei morti, a scopo di vendetta, e così via. Il panorama delle credenze attive non è meno ricco di richiami a tempi precristiani. Per esempio, i doni annuali ai bambini sono elargiti in commemorazione del ritorno dei morti nelle prime notti di novembre. Negli stessi giorni nei locali pasticcieri sono preparano dei dolci, detti appunto dei “morti”. L’usanza in parola e particolarmente viva nel Palermitano e nel Catanese. La festa di Santa Lucia (13 dicembre), e i giorni immediatamente susseguenti, sino alla vigilia di Natale, sono tenuti propizi per trarre oroscopi sull’andamento dell’imminente anno nuovo. Naturalmente, lo stesso può dirsi per le famose celebrazioni palermitane della patrona Santa Rosalia, commemorata in tre date diverse, l’11 gennaio, il 15 luglio e il 14 settembre, con imponenti processioni e con gigantesche vare. Per quanto riguarda taluni aspetti della cultura ergologica, ben noto è il tipico carretto isolano ad alte ruote, solitamente intagliato e dipinto con scene che s’ispirano alle vicende cavalleresche, narrate dai cantastorie e dal Teatro dei Pupi. Negli esemplari antichi le ornamentazioni d’intaglio e le pitture possono essere di soggetto sacro, anziché “carolinge”. Non è certo, tuttavia, questa distinzione iconologica a garantirne l’antichità. Per ciò che concerne l’architettura spontanea osserviamo che essa rientra pienamente nell’orizzonte dello stile mediterraneo, tipico di tutto il Mezzogiorno.

 

                                                               Carrettino Siciliano 

 

Invece, sui costumi popolari si hanno riscontri abbastanza evidenti con le altre regioni del meridione della Penisola. L’abito femminile, infatti, per foggia e colori rassomiglia a quelli della Calabria e della Sardegna, variando ovviamente secondo le età e le occasioni. Lo stesso può dirsi per il costume maschile, più severo e caratterizzato da larghe fasce colorate in funzione di cintura.

Infine, una parte fondamentale della tradizione siciliana riguarda i racconti orali, raccolti nell’Ottocento da Giuseppe Pitrè nella Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane. Si va dai cunti, alle fiabe, ai proverbi, agli scioglilingua. Il personaggio stereotipato di Giufà è il protagonista della maggior parte dei racconti che terminano con una morale.

Esistono tante leggende (come, fratelli Pii, le quattro di Gammazita, Uzeta e Colapesce) che hanno una variante in ogni città, per esempio, della leggenda di Colapesce esistono una trentina di versioni codificate. Così, esiste una vera e propria mitologia siciliana.

Giovanni Teresi

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