Joker. Che lo spettacolo del male abbia inizio!

«Per tutta la vita non ho mai saputo se esistevo veramente… ma esisto, e le persone iniziano a notarlo». Arthur Fleck, affogato nell’insignificanza, cerca la sua identità, il suo posto nel mondo che gli altri hanno sempre cercato di negargli. Vive con la madre che accudisce e non ha un padre; in realtà non sa nemmeno chi sia suo padre. È affetto da disturbi psichici e prorompe spesso in una risata compulsiva e dolorosa, una risata che sale dal profondo, dove sanguina ancora la ferita dell’anima. Arthur vorrebbe soffocarla, nasconderla, perché cerca una risata più vera, che risuoni di vera allegria, di un’allegria che ha voltato le spalle al dolore e ha incontrato la compassione. «Mia madre mi diceva sempre di sorridere e fare una faccia felice. Mi diceva che ho uno scopo: portare risate e gioia nel mondo». Il femminile gli ha dato un’immagine rasserenante, ma è un dolce inganno. Quello che manca ad Arthur è l’immagine che giunge dal maschile. Il pubblico a cui spera di strappare un sorriso, è il suo unico specchio, dove trovare la parte mancante, la sua ombra, ma la gente non lo apprezza e spesso lo deride. L’immagine resta vuota a metà. Si barcolla sospesi sopra un filo tra l’esistenza e la non esistenza.

Il viaggio interiore può condurre l’eroe ad affrontare l’oscurità e infine a “sposarla”, per ricomporre l’immagine nella sua totalità; o invece ad identificarsi con l’ombra ed esserne vinto, e questo è il viaggio dell’eroe tragico. Arthur percorre questa strada e Gotham City con  lui. Cercava il suo vero volto da poter mostrare con fiducia al mondo e invece si ritrova ad indossare una maschera, l’unica con la quale possa manifestare la sua ombra.

Joker matura dall’alienazione e dall’egoismo che hanno portato la società a perdersi. Nelle strade catramose e vocianti, nei toni saturi che accolgono i colori freddi e caldi, si solleva  a poco a poco la cortina dell’abisso, del male che da mormorazione diviene grido che occupa i cieli della città di Gotham. Se non sei fra coloro che hanno «prodotto qualcosa», allora sei solo un’ombra, un’angoscia notturna da scacciare via come un rifiuto maleodorante. Uno sguardo umano, qualcuno che ti voglia veramente bene per ciò che sei: in fondo Arthur è questo che cerca. Lo sguardo del padre che gli dica: «sono orgoglioso di te, figliolo». E così danzare per le strade e sui palcoscenici a testa alta.

La conferma però non trova voce, anzi, i rifiuti e le umiliazioni si fanno sempre più laceranti e chi credeva amico è in realtà solo un meschino bugiardo. Se lo specchio non riflette la luce, allora che tutto si faccia oscurità! E comanda l’illusione che una maschera sopra l’ombra riveli in fondo la sua identità. Gotham cerca un eroe, un simbolo per le forze in rivolta della povera gente oppressa da un governo sempre più tirannico. Il ghigno sul suo volto bianco e penetrante diviene il perfetto sorriso del lato oscuro. «Ho sempre pensato alla mia vita come a una tragedia, adesso vedo che è una commedia», dirà nel compiere il più cinico degli omicidi.

Non all’emulazione, che solo gli sciocchi possono temere e i pazzi desiderare, ci conduce quest’opera, ma all’immedesimazione di un personaggio che scende fin nel fondo della sua ombra, mostrandola tutta, nulla lasciando al pudore. Le morti si susseguono, imbrattando di sangue le strade di una città che vuole celare la sua parte oscura, e noi parteggiamo sempre più per Arthur, ci scopriamo lì, insieme a lui, ad incitarlo. Non è follia: vogliamo che il viaggio non si interrompa, che Arthur ci guidi sino al limite della notte. Non ci può essere redenzione a Gotham, lo abbiamo compreso sin dall’inizio, ma il Bene e la Verità possono prorompere anche dal rovescio del male, come da un negativo si sviluppa una foto. Ma l’immagine deve essere bene impressa sulla pellicola, ogni dettaglio a fuoco.

Guardando Joker, fissiamo il male dritto negli occhi, un male viscerale, che coinvolge un’intera società. La brutalità ritualizzata dove folle urlanti incendiano, distruggono, uccidono, nascoste dietro la maschera di un clown, è la risposta impulsiva che segue all’indifferenza divenuta norma, alla competizione che taglia fuori i “diversi”, alla miseria che è lo spettro del domani. Gotham è in fiamme e il sangue delle vittime pare quasi detergere il sudiciume della sua povertà umana e spirituale. E sopra questa folla che ha abbandonato ogni freno, si solleva il palcoscenico che Arthur aveva sempre agognato. Questo pubblico urla per lui, lo applaude, figura quasi onirica di una città spettrale. Joker danza sul male, leggero e inquietante allo stesso tempo. Un sorriso, un passo, e il pubblico è in visibilio. Che lo spettacolo del male abbia inizio!

Joker è un film che resta non soltanto sugli occhi, ma nelle viscere, perché senza infingimenti, ti conduce nelle oscure stanze dell’anima, dove l’aria è cruda e tagliente. Ti sprofonda nel dolore di chi non riesce a lenire la sua ferita che si fa ogni giorno più grande, umiliazione, dopo umiliazione. Ti fa sostare inerme davanti all’indifferenza e all’egoismo della gente, come davanti ad un plotone di esecuzione. Ti chiude nella tomba di chi non riesce a darsi un volto, perché per tutti è solo un’ombra. Joker è un’opera importante, perché catartica. Abbiamo bisogno della rappresentazione del male, in una società anestetizzata che cerca di negare la sua infelicità. Abbiamo bisogno degli abissi perché siamo assuefatti a sostare nelle secche. Abbiamo bisogno di guardare allo specchio ciò che siamo divenuti anche noi, uomini senza spessore, che attendono solo il coraggio per la rivolta, in una società dove le ingiustizie sono ormai la norma accettata. Per tutto questo, è necessario vedere Joker e vi accorgerete che le fiamme e i fumi maleodoranti di Gotham spuntano già all’angolo dei nostri vicoli. La fine è vicina. Vi auguro allora che dalle vostre maschere non si apra un sorriso, ma scenda una lacrima: just cry!

 

di Massimo Selis

 

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