MESSAGGIO DI CAPODANNO "HONI SOIT QUI MAL Y PENSE"

Popolo di beoti, pecoroni e ignavi! Figli della connessione a 5 giga ma senza un libro a casa!

Sappiate che il 2018 sta per finire tra breve, non con un solenne botto, ma con una serie di sonore pernacchie e flatulenze, perché in buona parte è stato un anno coprofilo.

Un anno dove, dopo più di mezzo secolo di vita, ho scoperto a quali bassezze riesca ad arrivare l’essere umano, umano… troppo umano… subumano.

Ho visto miserabili strisciare mentre gli sputavano in faccia, e continuare a farlo forbendo deretani con tumide lingue che sino poco prima sciorinavano alti peana di eroismo e indipendenza. Ho visto bifolchi dall’occhio cisposo, stupirsi della luce della civiltà e poi, odiandola, risprofondare nel fango primordiale, dal quale hanno sollevato per un istante un tentacolo ambulacrale, per nuovi, interminabili eoni.

Il pilastro untuoso della vanagloria svetta ritorto sulle schiene viscide dei mediocri che vogliono arrampicarvisi a tutti i costi, chi per un posto d’assessore al nulla, chi per vedere il proprio nome in compagnia di quello più famoso e rifulgere così dell’ombra altrui. Piccoli, cachinnanti mostri privi di mente, incapaci d’un pensiero autonomo, falliti alla nascita in cerca di un’esistenza datagli dagli altri. Servi nati, schiavi contenti delle proprie catene, illusi d’esser liberi.

Vi ho visti… vi avevo già visti… Finti dotti, maestri, sapienti e mistagoghi da operetta di provincia, imbonitori di voi stessi e millantatori d’autocelebrazione. Honi soit qui mal y pense, diceva quell’antico monarca d’Inghilterra, ma voi della maldicenza della falsità, della menzogna e della calunnia vi siete intessuti le vesti che mostrate senza pudicizia. Traditori degli amici, figli della Caina, coraggiosi coi deboli e codardi davanti a tutti gli altri, in nome d’una vostra personalissima meritocrazia, voi che non arrivando all’uva la schifate dicendo che non è matura! Voi, rimasticatori di frasi e concetti altrui, malcompresi e peggio riportati con la vostra firma in calce. E ancora politici esauriti, giunti col fiato corto a fondo corsa, ancora in piedi perché il vento non è forte come la polvere bianca sulle dita; pallide ombre che vanno spegnendosi negli applausi dei caudatari in attesa delle ultime briciole che non mangeranno. Guitti dell’inganno e saltimbanchi del cambio di casacca, in un’Italia colma sino all’orlo di feccia invereconda, tanto da sembrare un orinale rugginoso e maleolente.

Ma dopo l’ennesimo bicchiere di spumante dozzinale, saltellanti come gobbi deformi, nella speranza che – almeno a Capodanno – qualcuna (o qualcuno, visti i tempi) vi si conceda, ritornerete ad essere quello che siete da sempre, un branco ottuso e belante di animali senza forma, convinti d’esser geni e di meritare il Settimo Trono… dove siede sconsolato Saturno.  

E invece no, perché ogni volta che passerete davanti a uno specchio, o a qualsiasi altra superficie che non abbia in disdoro il riflettervi, il misterioso popolo che vive di là, vi sbeffeggerà, irridendovi con gesti e lazzi osceni, perché vedranno, ogni volta passare un asino ragliante e incravattato, dagli occhi porcini e dallo sguardo azzurro e vacuo.

Buon Anno dunque, Paese mio un tempo bellissimo, oggi ridotto a pascolo di lumache e lombrichi senza cervello!

Buon Anno! 

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