XXV Capitolo - "La mia vita" di Antonio Saccà

A considerare il proprio passato talvolta abbiamo  la certezza che  una potenza, una forza, una disposizione distruttiva ci  invade , il fenomeno è studiato ma viverlo nella coscienza sperimentata di sé è atroce. Fu un errore catastrofico non avere accettato di correggere il mio  testo con Alberto Moravia, ma un  secondo errore non lo è meno anzi  maggiormente. L’editore Vito  Laterza mi aveva chiesto di pubblicare il Saggio edito su Nuovi Argomenti nella sua collana. Inviò  Sergio Romagnoli, un docente di Letteratura Italiana , preso atto dei molti errori non solo di battitura ma anche talvolta frasi confuse, intorcinate.Romagnoli  dichiarò che avrebbe posto soluzione, mi abbandonai a questa prospettiva, dopo giorni mi disse che era opportuno fossi io a correggere. In  quel periodo il rapporto con Enrica si intensificava tempestoso e sereno, io lo  rendevo tale, un ritardo agli incontri, al telefono, una uscita di Enrica con la sorella, il fidanzato della sorella e un loro conoscente diventavano drammi  cagneschi. Enrica si  mortificava, tentava delicatamente di riportarmi alla quiete pastorale, ma la vita tranquillizzata non esisteva in me e fuori di me, e se non vi erano reali motivi di drammatizzazione io li suscitato per sostare sul chi vive.La tormentavo, mi ravvedevo, la ritormentavo,una sera che mi accostai alla abitazione dii Enrica e lei tornò in macchina con la sorella, il promesso coniuge della sorella, un altro, basta così’, avevo scoperto la furfanteria, Enrica teneva meandri, legami occulti,  fu un andamento accusatorio a luci in faccia, lei , la sciagurata ingannatrice, sorrideva e mi carezzava le mani, ripetendo che esisteva un  colmo nulla da sospettare, laddove io concepivo orrende nefandezze. In queste vicissitudini sussultorie la correzione del Saggio  si inobliava. Ore, giorni, settimane, mesi, Vito Laterza mi sollecitava,   Paese Sera diede notizia della eveniente pubblicazione , inventai una morte familiare, ritardo momentaneo. Niente, mi scatenai nella vicenda con Enrica ed il mio silenzio resse talmente a lungo che dimenticai di avere a compiere la correzione. Romagnoli si fece sentire, forse capì che qualcosa non era in regola dentro di me. In vero, a comprendermi adesso, io volevo soprattutto vivere, Enrica  mi dava vita anche se tormentosamente per mia eccessiva necessità di vita, io avevo letto, scritto ma niente vita, e la vita era, è l’amore, e l’amore era, è la donna sentita, Mediante Enrica io mi stringeva alla realtà, quella effettiva, Enrica insieme donna e amore, sicchè affamatissimo , cannibalmente mi scagliai su di lei e trascurai il restante. Vi era altro. Stavo per pubblicare il mio ulteriore scritto, che fece scalpore immenso, “La conclusione ”con Vallecchi, massimo editore nella poesia. Inoltre, Alberto Asor Rosa  diede a stampa “Scrittori e Popolo “ che era una elaborazione  ordinatina, scolastica, oggettivata degli stessi autori da me espressi passionalmente. Asor Rosa era molto più in riga con la politica ed il Partito Comunista, anche da critico era collocato, io non avevo sede stabile, ero soltanto io, non “facevo parte di”. E soprattutto mi importava “vivere”. In ogni caso, richiamatissimo da  ogni lato. In uno dei tanti incontri, questo al Centro di Don Giovanni Rossi, i maggiori  intellettuali europei, anche mondiali, mentre io avevo finito un'intervista per  televisione con Franco Simongini mi accostò la signora bionda, dai forti occhi azzurri,  che fuggevolmente avevo incontrato in una conferenza di Pier Paolo Pasolini , a Roma,Mi disse che se tornavo a Roma mi avrebbe dato posto in macchina con lei. Io non guido, né allora né mai,la comodità mi andava, non sapevo chi era la signora, né lei si presentò, certa di essere conosciuta, Amo enormemente cantare, non riesco a non cantare in me o per me,  durante il viaggio suscitai quasi fossi solo un’aria de “Le nozze di Figaro”: “Voi che sapete cos’è ì‘amor”. La signora, pur guidando, si volgeva insistentemente verso di me, il suo volto scoloriva, arrossiva, come se stati emozionali la alterassero, temevo ,che qualche sussulto l’automobile io patisse, io proseguivo a cantare fingendo calma sicura, la signora   mi chiese che si recava a casa di Lei, accettai, così’, tanto per non rifiutare  , dalla campagna umbra di Assisi  alle piane romane ed infine a via di Villa Ada, 4, accanto al grande parco che fu dei Savoia,  via Salaria. Abitazione di media signorilità, un saloncino con libri anche antichi, divani e poltroncine del passato, una saletta accanto al saloncino, per il pranzo, un giardinetto, e a destra altre stanze che non scorgevo. La signora, della quale ignoravo ancora il nome, appena entrati si avvicinò ai libri, ne trasse uno  antico, figurato, lo aprì, lo sfogliò, e capitò in pagine con rappresentazioni erotiche. Mi prese la mano, lasciammo il salone, un piccolo corridoio, la camera da letto. Da quel momento, per otto anni, 1965-1973, io vissi con quella signora, del tutto sconosciuta da me, invece  famosissima fin dagli ultimi anni Trenta.Io ero di molto inferiore in età.

L'esistenza di Elsa De Giorgi, in origine Elsa Giorgi Alberti, merita una biografia sulle traversie e le modificazioni sussultorie che una persona può subire negli anni e su quel che può incarnare la cosiddetta condizione umana ,sotto quale fardello siamo costretti a vivere. Elsa nacque in una famiglia intellettuale, a quanto ne so, credo che il padre fosse docente o qualcosa del genere. Precoce  bellezza e precoce voglia di affermarsi   , bisogno di apparire, e poiché la bellezza  la favoriva , giovanissima ,in qualche concorso o qualche richiesta cinematografica, non so , cominciò la carriera di attrice e divenne celeberrima, anni 30-40 .Lineamenti rifiniti, gentildonna, naso diritto, occhi ferrei  azzurrissimi,capelli colmi e chiari, talvolta crespati, non  alta ma proporzionatissima  , armoniosa, agile, affluente di parola spedita, ebbe compagni di impresa cinematografica Ruggero  Ruggeri,  Angelo Musco, Osvaldo Valenti, tra i molti che  non conosco, equiparò o superò  Alida Valli, Clara Calamai, Luisa Ferida, oltretutto era  appassionata di cultura soprattutto teatrale. Facile a innamorarsi , portata a relazioni anche esclusivamente erotiche, per curiosità di persone e personaggi, o voglia seduttiva, si giudicava  una salottiera francese  dell’Epoca dei Lumi, troppo emotiva per  esserlo, corteggiatissima, ebbe  posto nella società italiana ,esisteva. Il Fascismo dava importanza al cinematografo, mezzo di comunicazione, di propaganda ,le “dive” erano omaggiate dai gerarchi ,  Elsa  preferiva l’ambito culturale , ed ebbe relazione e poi matrimonio con un uomo del tutto estraneo al cinema, Sandrino Contini Bonacossi, tra i maggiori mercanti d’arte del mondo, e forse con la collezione privata dominante .I Contini Bonacossi mercanteggiavano in specie con gli Stati Uniti, e non soltanto quadri, ai livelli estremi per qualità e  valore economico. Elsa era innamoratissima, mi dichiarava, del coniuge , pare che questo Sandrino fosse divertente  e  capace di combinatorie  e deformazioni linguistiche umoristiche. Il coniuge Sandrino è protagonista quale partecipante alla Resistenza ,del  primo libro di Elsa, pubblicato da Einaudi.Elsa all'apogeo della sua carriera, recitava con Strehler, con Visconti . Siamo nel dopoguerra, a metà degli anni ’50, un punto del mondo  frantuma, l’incredibile accade, Sandrino Contini Bonacossi sparisce, esisteva e  non esiste, no, non muore, non c’è . Elsa disperatissima, incomprensiva dello stupefacente accadimento cerca, chiede, vuol capire, vuol sapere. Cosa mai è accaduto?  La  famiglia Contini Bonacossi fa silenzio e chiede, esige che Elsa ammutolisca.  Elsa insiste, i familiari impongono di tacere, Elsa non tace anzi eleva ricerca, ne sorge guerra, Elsa viene scantonata, minacciata, da Firenze dove viveva principescamente,  si volge a Roma, sostando. Nella mia relazione con Elsa De Giorgi, dal 1965 al 1973 è RIMASTO MISTERIOSO IL MISTERO DELLA SCOMPARSA dI Sandrino Contini Bonacossi.. Quando anni dopo infuocò una sorta di scandalo che veniva dalla relazione di Elsa De Giorgi con  Italo Calvino,consulente della Einaudi il quale decise  la pubblicazione de “I coetanei”,precedente alla fuga di Sandrino Contini Bonacossi, l’occasione derivò dalla pubblicazione di lettere di Italo Calvino alla De Giorgi, Ne congetturarono, molti, che Sandrino Contini Bonacossi sparì per l’inganno di Elsa amante di Italo Calvino. Le rarissime volte che ne parlai con Elsa, le lettere di Calvino erano su di un tavolinetto, Lei negò nettamente quale  causa della scomparsa del coniuge l’essere amante furtiva di Calvino. Mi dichiarava che la relazione con Italo Calvino derivava dalla scomparsa del coniuge, sola, bandita , in pericolo di  annientamento da una potentissima famiglia e altro che dirò, atterrita,  cerca conforto, sostegno, Italo Calvino   la rincorreva da subito, Elsa era una diva, moglie di un ricchissimo mercante d’arte, bellissima, e scriveva con piglio e narratività , Italo Calvino si dimostrava riguardoso, onorato, e una volta abbandonata, lei, sola, sola, riparò in Calvino quale difensore ed amante. Ma, dicevo, quando furono messe in stampa    alcune lettere di Calvino alle De Giorgi, l’opinione corrente fu opposta : Sandrino Contini Bonacossi  fuggì  perché scoprì  la relazione tra Calvino e la De Giorgi. Spero che non siano perdute composizioni poetiche di Elsa che dovrei ancora possedere  nelle quali imperversa il terrore , Elsa ha paura ,vive di possibili mali  contro di lei. Non decifro. Teme la scoperta della relazione? L’avversione  dei Contini Bonacossi?  Indizi fanno credere che la relazione precedesse e fosse movente della sparizione di Sandrino, altre supposizioni sono altrettanto realistiche. Elsa mentì’ dicendomi che Calvino fu suo legame dopo la sparizione di Sandrino Contini Bonacossi? In ogni ipotesi mi trovai in vicissitudini arrischiatissime, quelle descritte sono preludio placido.

In quanto a me raggiungevo l’estremo del periodo giovanile, pubblicai un libro di poesie, “La conclusione”, editore Vallecchi, al tempo la casa editrice della poesia per eccellenza, Prefazione di Mario Luzi, e  cura di Geno Pampaloni e Carlo Betocchi, Ebbe risonanza perfino superiore al Saggio  uscito su Nuovi Argomenti. Mi attribuirono il Premio della Fiera Letteraria con cerimonia all’Opera di Roma, e mi premiò, diciamo, Aldo Palazzeschi. che presiedeva la giuria. Per qualche mese abitai ancora in  via Sicilia  la padrone di casa, era un pensionato ,mi riferì che una donna aveva chiesto di me con tali parole:  “Per favore chieda al Professor Saccà che vuol fare  con me” Io ero ormai tra quei mobili d’epoca ,il piccolo giardino, i libri  in pelle, la voce di Elsa, il suo agitarsi, la sua drammatica sorte, lei come donna corporea, i ristoranti, la borsa con lo champagne, insomma vitalità . Dopo qualche settimana Elsa andò a Parigi, il fratello al quale era attaccatissima, svolgeva compiti di addetto culturale. Fu la partenza a stringermi a lei, mi  sentii disanimato, privato, mancante, le scrissi un telegramma “Il mare cresce, Elsa”, che fu trasmesso nei termini : “Il male cresce, Elsa”, sicchè quando la chiamai  fu  alquanto bisognosa di chiarimento. Era connotata quale seduttrice e spreca uomini  tuttavia non si fece tale opinione di me, anzi  invocava la presenza, che io chiamassi, che lei tornava presto. La mia stessa voglia.  L’inizio, questo. L’accompagnai alla stazione, nel partire, accanto al suo cabinato nel vagone letto vi era Monica Vitti, l’attrice, Elsa fu lieta di incontrarla, la rivedremo da Anna Magnani, una ragazzona  animata, mattacchiona. La distanza trasformò un'avventura in bisogno? Avevo dimenticato Enrica? La volevo dimenticare per non soffrire del suo soffrire .Cosa dire a questa persona  che, ora capivo, si era consegnata alla fiducia  con me, per me ?Ora che non avevo visioni  storte dalla gelosia e dal sospetto capivo che Enrica aveva vissuto per me, la affettuosa, amorevole sopportazione, le sue piccole mani pacificatrici,, la sua fronte  ad occhi chiusi sulle mie labbra, la femminilità concessiva, offerta del suo corpo… Quando chiamò ed io ero nel  pensionato…  risposi No, la chiamai io.. Certo che ci saremmo visti, E la vidi.. Non erano trascorse  due settimane, non più un'altra persona,  i denti si erano scossi, anche i denti, il naso spostato dal luogo nasale, la bocca con labbra discarnate, risucchiate e storte in giù, in cappottino  spiovente per la magrezza, piansi a ruscelli, io, non lacrime, acqua scorrente,, e gli strinse la piccole mani che tanto mi avevano stretto.  Ci vedremo, ci vedremo, le dissi, lo ridissi. Si allontanò come un’ombra lenta e lieve. Quando,  lei con la madre sedevano  gioir e giorni al Cafè de Pars, via Veneto, accanto a via Sicilia, io, passando, non le salutavo, Enrica allargava gli occhi,  lanciava gli occhi,  come a fermarmi, prendermi capire.  Scrisse a mia madre per decenni.  Quando narrai il nostro avvenimento un mio libro, L’Uomo Provvisorio, ebbi l’ardire di porre nella conclusione che vederla era per me indifferente come non vederla, le inviai il libro, e lei mi ringraziò dell’invio! Ma  nella vita non fu così. Ne sento pena da sempre e per  sempre. Non credo che sarei riuscito a continuare ma di certo esistevano altri modi per non continuare. Si chiamava, spero che si chiami ancora, Enrica!

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