XII Capitolo - "La mia vita" di Antonio Saccà

Anna Saccà (sorella di Antonio) e la nipote Irene
Non possiamo, non dobbiamo, non dovremmo vivere di ricordi, ma non possiamo vivere, non dovremmo vivere senza ricordi. Se  potessi, vorrei ricordare istanti di ogni giorno, ogni movimento di luce, la sera che diventa notte di ogni sera,  le farfalle in coppia sbattono le ali, le stringono posandosi sui fiori, i piccoli getti delle onde sulla spiaggia, il sentirsi vivere, niente disperdere, niente perdere,  la maniera per sconfiggere il tempo. Illusoria. Ricordare significa che il passato è passato ma, ecco il “ma” ,dobbiamo, dovremmo, possiamo narrare, il passato è  per se stesso narrazione, successione di eventi. Sì,  fare narrazione dell'esistenza, ciascuno, memoria, di se stesso e di quanto può  e vuole e sente di raccogliere. Non: vivere di passato; non vivere senza passato. Sarebbe come vivere per non vivere, svanire. Una doppia morte. Che di morte ve ne sia una, non durante la vita. Presentiamoci all'aldilà, che per molti è Dio, ciascuno con il proprio memoriale, Dio legge in un istante, sa tutto, ma è una teatralità che dà realtà agli individui, non sparire privi di un testimone della nostra vita ,al buio ,furtivamente. Fantastichiamo. Certo: non lasciare la realtà alla sola realtà: nascere, crescere, sparire. E torno alle vicende.
Un raggruppamento al quale mio patrigno dava sostegno era la famiglia del

fratello maggiore morto anzitempo, architetto, aveva sposato una donna piccola, molto piccola, suscitando quattro figli, tutti  maschi, Beppe (Giuseppe), Mauro , Enrico, Fabio.  Con Mauro soprattutto, finché io restai a Messina, e con Beppe assai meno, a distanza di anni con Enrico, entrambi ormai abitanti fuori dalla Sicilia,  con Mauro, coetanei, ragazzini, amici, ci incontravamo. Subiva la morte del padre, forse, e  l'oppressione della madre, suppongo , ma specialmente della madre del padre ,con la quale egli abitava. Questa  madre del padre era bassina, ridotta forse anche per l'età, un  volto rifinito , nasino, boccuccia, tondino, capelli sparsi   biancogrigi, abiti neri, manine,  aggraziata da giovane, chi sa, abituata ad essere contentata,  comandava, come avesse domestici  che probabilmente o certamente aveva avuto, a quei tempi   comodissimo disporne, e con infimo costo, all'antica. Per sicurezza e compagnia teneva questo nipote Mauro. Mauro , faccia larga, occhi docili, grassottello ,obbediente o costretto all'obbedienza, non reagiva se non obbedendo, appunto, e accresceva insoddisfazione, nessuna libertà, nessuna decisione mossa da lui, annientato, ridico, da sua madre e dalla madre di suo padre, viveva timoroso, in stato di rimprovero, convinto di sbagliare. Ma accadrà un terremoto in questa sudditanza. Mio patrigno  lo prediligeva, e Mauro aveva un padre in mio patrigno, ed era amico   con la mia amicizia.Beppe lo vedevo  scarsamente, Enrico abbastanza,  attaccato al mio patrigno, come gli altri nipoti, ma con un vincolo preciso, il gioco delle carte, il Poker. Lo incontrerò molti anni dopo quel tempo, entrambi ornmai nel “Continente”, io a Roma, lui a Padova. Se vivessi in Grecia, nella Grecia antica, e componessi un testo teatrale, adesso  darei voce al Coro, il grande commentatore degli accadimenti, ed il Coro direbbe quel che scrivo: “Errabondo, l'uomo, nasce  non sapendo che avverrà, solo gli Dei ed il Fato e gli Indovini si addentrano nelle tenebre dell'accadere. Conosci una persona, gli sei fraterno amico o la amavi, ed il Tempo, il superbioso Crono, ci stacca  da chi fu vicino come un fiume si dirama in tante braccia, e  perdi la vista di delle correnti. O sommo Giove perchè non consenti di rivivere quanto ho vissuto, non ricordare ma dico:vivere? L'uomo si affanna a ricordare perchè non vuole morire già vivendo, ma altro è vivere, altro ricordare la vita. Eppure, che  rimane se non la memoria, fingendo eterno quanto è mortale?”. Chiudo il mormorio “greco”.

 Eravamo separati da un ruscelletto  arginato che sboccava sul mare dello Stretto, il Mare Grosso, l'acqua,  scarsa, scendeva da colline che io guardavo dal balcone, costeggiando le fiancate del ruscelletto,il Ponte Americano, neanche cento metri da casa mia, a sinistra, e tornando indietro  dall'altra fiancata  la palazzina  dei nipoti dl mio patrigno, scendendo ancora  fino a Via Giuseppe La Farina, l'abitazione della madre del mio pstrigno. Egli  andava tutte le sere dalla madre, talvolta con me che mi recavo da Mauro o stavo da Mauro.  La madre del mio patrigno.  sbrigativa, contraddicente, se le recava qualcosa, trascurava, o mostrava i dono dell'altro figlio o dell'altro figlio  vantava, i figli.la consorte . Mio pstrigno  taceva, si premurava, ma riceveva dinieghi, trascuratezza, ascoltava, chinava la testa, udiva quel che certamente migliaia di occasioni  aveva udito, anzi, ogni sera da anni, penso, venva da lei come  a riaprire la ferita,il piacere di soffrire. Se non poteva negare quel fare di sua madre, tramutarlo in piacere della sofferenza. Una situazione frequente, la madre, o uno della famiglia, prediligono  figlio o congiunto, e questa madre,nettamemente, prediligeva il figlio notaio, Salvatore La Ferla. Era altissimo, nel mio ricordo, eretto, snello, somigliantissimo alla madre nel piccolo viso rifinito, minuzioso, e modi  garbati, voce serena, con minimi segni di iromia, di superiorità, che rivolgeva in specie al mio patrigno; la consorte lo superava in distinzione, eleganza, appariscenza, non alta, emanava splendore nel corpo colmo, la pelle rosea, gli occhi felici; tre nati , Anna(Nennella), Bepi, Lalla. Nennella era lo stampo della madre del padre, e del padre il quale somigliava alla madre. Viso rifinito di tratti minuziosi. Una bella famiglia, sana, benestante, vistosamente in amorosa armonia, nella loro abitazione si godeva l'agiatezza economica e il conforto del vivere. Salvatore La Ferla aveva pubblicato un formurio notarile  usato in tutta la nazione. Io,  non capivo ma sentivo, o capivo sentendo, assorbendo, assorbivo, appunto, questa condizione di felicità, mi si imprimeva tutto, in quella casa,  bambini ,  genitori, la porta, i tappeti, le sedie, nel respiro mi veniva la certezza della bella vita, quella vita da gioirne vivendola. Altrui. Ma la vita ,la vita! Chi crede in Dio è giusto creda anche al Diavolo, e se argomentassi in teologia sosterrei che la condizione per credere in Dio sta nel credere il Diavolo esistente. Almeno avremmo un responsabile del male. Inauditamente, strafollemente, Gea, si chiamava come la Terra, orribiibilissimamente, inimmaginabilmente, era la salute, bei colori di pelle, bionda castana, prospera,  occhi lietamente vivi, niente ,qualche mese .o che fu, diventa spoglia consumata e inerte,no, no,non basta, il Diavolo completa le sue derelizioni, ancora più incredibilmente il coniuge , elegante , sicuro, ironico , il notai Salvatore La Ferla,  per il dolore della della consorte muore, o per  decisione della Natura. Anche stavolta, Lui, il mio patrigno ad aiutare i figli del fratello, al dunque si addossava i figli del fratello primogenito ,quattro, i tre figli, con i parenti della consorte, del fratello minore, il Notaio, e in gran parte pure noi, tre,sebbene mia madre insegnasse. Generosità, certo, da comprendere,  voglia di essere generoso con un mondo che non era generoso nei suoi confronti, io do e non mi viene dato, io sono buono in un mondo meschino, avaro, ingrato, sicché poteva giustificatamente lagnarsi, accusare, infuriarsi. Questo credo che fosse il moto causativo del suo agire, proveniente forse dalla madre, Lui devoto, Lui che la raggiungeva ogni sera, e Lei difettiva, restia, tacente o, se mai, a vantare il figlio minore, la moglie del figlio minore, i figli del figlio minore.  Con macerato piacere del mio patrigno, confermato che il bene riceve ingratitudine.

A parte  gli amici del gioco , mio patrigno riceveva un tipo,  sottomesso, diciamo, un piccolo San Francesco nella sua dimostrazione umana corrente, vestito da poliziotto di quei tempi, la divisa verdina, mi pare, da soldato, segni di vaiolo sul viso di contadino urbanizzato, dal colorito mattone e occhi di un azzurro integro, quasi blu, piccolo di misure, gentilezza spontanea, sentita, premurosa, con questo visitatore mio patrigno si intendeva, ne diceva bene, lo faceva venire, parlavano, tanto, il poliziotto era religiosissimo, mio patrigno no, se ben ricordo, ma era l'aspetto morale, onesto che li univa, in mio patrigno come ideale universale, il poliziotto come adempimento quotidiano. Ragazzino, io, e cominciavo a pencolare in religione, la devozione del poliziotto mi innervosiva, ed un giorno urlai, timidissimo come ero, contro quelle devozioni, il poliziotto mi guardava  non offeso, non rispondendo, gli occhi di serenità indisturbabile. Non scrivo pletoricamente, esistesse un aldilà delle anime coscienti e queste anime coscienti sapessero del mondo, vorrei pentirmi di quel mio agire, non sul credere o non credere, ma sul modo che ebbi di  parlarne. In ogni caso venne ancora da noi, da mio patrigno e di sicuro nell'ufficio del mio patrigno. Un altro “rapporto” di mio pstrigno ebbe effetti su di me, Egli riceveva fascicoli di una pubblicazione, “L'Adunata dei refrattari”, rivista anarchica, percepii che era in fondo un prolungamento del Cristianesimo, dell'amore , della compassione, io stavo  immerso in modo soffocante, per mia natura, per la mia infanzia, per la dedizion di mia madre, nel soffrire per chi soffriva, la sofferenza si trascinava in me, non sopportavo che l'altro patisse, persona o animale, il vivente, chi sente il dolore. Determinò la mia vita. Come agisci, reagisci se l'altro soffre? I “refrattari” non li giudicai quali “indifferenti”, tutt'altro, refrattari alla società degli indifferenti,  degli opprimenti. Gli anarchici compasssionevoli, un cristianesimo soltanto  mondano. Ma anche mia madre,  per l'esemplarità del suo fare, determinò in altro la mia vita,  riceveva una pubblicazione  pedagogia, insegnante come era, non ricordo il nome, bellissima ,per me bellissima, racconti di docenti, consigli per lo studio, testi,  cominciai a conoscere il mondo , consapevolezza che bisogna avere un orientamento avendo appreso le scelte possibili, lo sterminanato universo del sapere. Conoscere, decidere.. La Pedagogia, l'Adunata dei Refrattsri mi consentivano di afferrare conoscenza e scelte. Oscuramente,  dentro la selva, squarci subito offuscati. Ma avevo superato l'Era dei “fumetti”. Adesso, tantissimi anni fuggiti, una pubblicazione di quando ero bambino,  d'epoca, mi grava come la Montagna del Passato. Un peso amatissimo.

Intanto anche mia sorella maggiore, sposata, pensava a generare efficacemente,  la mia prima nipote, Irene,non so come mai il nome Irene, di solito i nomi originano all'interno della famiglia, forse dalla famiglia paterna, o forse per il nome in sé. Robustella, i colori della madre, nerissima di capelli, scurissimo il castano degli occhi, animata, molto, e quando venivano da noi qualche insofferenza per  i suoi  movimenti che io temevo,  saliscendi delle sedie, salti da dvano, pericolosi, non sempre fui  moderato nei suoi confronti. Molti anni dopo mi ricordò  quel mio scorbutico agire. Sbalordii, era piccolissima, però ne mamteneva memoria. Aveva ragione , e mi fece comprendere che  conserviamo tutto, nascendo o forse ancora prima di nascere. Invece mia sorella Anna, di poco maggiore di età di nostra nipote, era di pacificità totale,  divennero amiche oltre che parenti. Ormai il Tempo ci ha sospinto tutti oltre noi stessi, i figli sono padri di figli che hanno figli. Da un tronco rami che gettano rami. Nella mia famiglia originaria , due rami troncati, due ombre  , mio padre  e mia sorella Ermanna. Mia madre riportò a Messina, da Palermo, il corpo di mia sorella,  nel Cimitero, una piccola fiammella “eterna” e la Sua immagine,  i larghi occhi, i capelli lievi, una minima  stortura nelle labbra come per una bevanda acre. E' l'immagine che mia madre teneva nella sua stanza, con una minuscola lampada a illuminarla. Di notte, quando io tornavo a Messina, sentivo mia madre piangere  al vedere l'immagine della figlia. Di giorno mia madre mascherava la notte. Ouell'immagine  sta sul muretto, al Cimitero, Era e resterà una bambina La Sua fotografia di bambina ferma, per sempre bambina. Tanto per conoscere la condizione umana. Anche i bambini muoiono. E tornano nella madre!

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