Tommaso Romano, "Filosofia del collezionare" (Ed. Ex Libris) - di Antonio Saccà

 Le stanze di Thule: una eredità di civiltà

 

Può darsi che tra settanta, cento anni la preoccupazione fondamentale sarà quella di sparire e fare posto a dei soggetti non individuali intelligenti, i quali lo saranno talmente al grado di capire che gli esseri umani vogliono sparire come esseri umani, e si impossesseranno del mondo e sostituiranno l’uomo. Non è immaginazione irrealistica. In un mio libro, Il labirinto di Sisifo, supponevo che il superuomo futuro non supererà se stesso in quanto uomo ma si affermerà quale macchina umanizzata, prodotto dalla perfezione tecnologica. Niente di umano. Sta accadendo. L’entusiasmo suicida della nostra generazione, non tutta, ha dell’incredibile, non fosse che nell’uomo vi è anche la disposizione alla morte. In realtà il robot intelligente è la morte: non ha coscienza dell’io, non ha l’angoscia della morte, non percezione del limite umano, non ha intelligenza emotiva peculiare, non ha il sigillo della’ individualità irripetibile, il robot intelligente può moltiplicarsi conservando le stesse caratteristiche, il disumano radicale, l’individuo umano è unico, una sola volta, irripetibile, coscienza dell’io e della propria morte. Che sta esattamente accadendo? La sostituzione funzionale: se l’intelligenza artificiale, il robot con intelligenza artificiale, un ente con intelligenza artificiale sono funzionali più rapidamente ed efficientemente dell’uomo, questo va bene, la società ha trovato il suo tipo ideale, l’ideale della epoca: l’intelligenza funzionale. Bisogna avere coraggio, il coraggio delle nobiltà dello spirito, con estrema tensione, di chi sta precipitando e cerca di impedire, fermare la catastrofe afferrando qualcosa e questo “qualcosa” è la nobiltà della civiltà dell’espressione, non tener conto del pubblico, rivolgersi soltanto a persone che valgono, persone che faticano sulla pagina, curano una sillaba, un accostamento di parole, una frase, una cadenza, tutt’altra faccenda che scrivere come viene e fare una equivalenza privata di alti bassi spostamenti cadute risalite, precipizi ondeggiamenti, secondo la necessità di quanto vuoi rendere. Dico sulla scrittura, ovviamente, dello scrivere la scrittura avverso la condiscendenza esclusivamente comunicativa, quasi che l’espressione fosse in comunicazione e solo la comunicazione come scorre e corre abbia dovere di esistere. È da opporsi, sostenere il contrario, l’espressione è la vera comunicazione giacché modula le variazioni emozionali secondo la opportunità, fa sentire il dolore se intende far sentire il dolore, il rimpianto se intendo far sentire il rimpianto, e l’impeto della gioia se è la gioia che esprimo. Mai venire incontro all’uniforme per facilitare la comunicazione, meglio un individualismo raTOMMASO ROMANO Stanze di Thule Una eredità di civiltà di ANTONIO SACCÀ dicale non compiaciuto di adeguamento al più basso per avere udienza di numero. Stiamo perdendo in tutti i campi il confronto con le epoche passate, il capovolgimento delle cime, il baratro, la coniugazione del venire incontro con gli strumenti di comunicazione di massa desertifica senza erba e fonti d’acqua, la cultura. Se oggi qualcosa si scosta dalla comunicazione come viene viene, diventi aristocratico, orgoglioso, Torre d’Avorio, indemocratico, accuse del genere quando invece ti sforzi di fare alcunché che non sia disprezzabile. Quindi, umiltà. Queste considerazioni alla vista del libro di Tommaso Romano: Filosofia del collezionare (Edizioni Ex Libris). Un piccolo trofeo della cultura, dalla copertina che riproduce una statuetta femminile in un bianco limpidissimo e poi immagini di quadri, sculture, oggettistica, ambienti che li contengono, dal Neoclassicismo al Liberty, che domina, Art Decò, Futurismo, Avanguardie, Neorealismo, in dissonanze armonizzate, comprendenti. Sembra di sostare dentro i luoghi sfogliando le pagine. Arte nel nostro tempo e del passato, vale se vale senza esclusioni. Ritrovo oltretutto circostanze personali. Taluni presenti nel volume con le loro opere li conosco, anzi, amici, Rafael Alberti, ha scritto la Prefazione ad un mio libro di versi, Il silenzio, viaggiammo insieme, veniva a cena da me, io da Lui, estroverso, espansivo, con artigliata vena metaforica ed associazione di parole rigogliose, inconsuete, come sovente gli spagnoli, non professava la pittura piuttosto il disegno, è presente nel libro; Josè Ortega, piccolo, frettoloso, anch’Egli sotto gli occhi, e nel ricordo; quest’altro ha dell’incredibile, addirittura ci conosciamo da ragazzini , Enzo, Enzuccio Migneco, in arte Togo, ho scritto del suo sperimentare, ora lo guardo in un’opera di colori stesi, piani, ben assortiti, ed è presente Giuseppe Migneco, il quale mi suscitò una litografia alquanto aspra, dura, drammatica; a Messina, nell’abitazione del fratello Emilio, padre di Enzuccio, vi era un quadro di Giuseppe Migneco, alto e largo, pescatori, calzoni arrotolati, grani di rena come gusci di ostriche; c’è immancabilmente Renato Guttuso, e Bruno Caruso, entrambi mi diedero opere per miei libri. Emilio Greco, Remo Brindisi li ho conosciuti, senza ulteriori rapporti. Invece Francesco Guadagnuolo è un amico. Se io, estraneo, mi immedesimo, che deve sentire Tommaso Romano quando sta nella sua creazione, rivedrà i luoghi degli acquisti, vivrà il presente ed il passato, riamerà quanto ha amato, si avvolgerà nel manto dei quadri, delle statue, degli oggetti come atti dello spirito non di possesso o di possesso per amore circondarsi di ciò che piace per rendere la vita gioia di vivere, paternità, poi si espone e diventa spartizione del bello, amicizia nella qualità, museo aristocratico, riumanizzazione dell’interiorità. L’arte è sempre necessariamente per la società. Tommaso Romano è scrittore in tutti i campi della parola, è imprenditore della cultura, ebbe compiti pubblici sempre nella cultura ma questo libro ed il Museo che lo ispira sono un apogeo di qualità offerta alla società, il modo in cui la società diventa o resta civiltà, e comprende che l’arte è lo strumento pedagogico determinante, senza essere pedagogismo ma per virtù espressiva qualitativa. È la qualità espressiva che contiene la vita. E sopravvive. Ed è anche il vivere tra cose sentite, nelle quali ci riconosciamo, fuori di noi e dentro di noi, fuggendo l’estraneità dell’oggettività. Alla soppressione dell’individualità Romano oppone, volitivamente, la scelta del sentire proprio e sfugge, ripeto, l’estraneità della oggettività. Suppongo questo il Suo considerare il collezionismo un atto filosofico, è la determinazione della individualità che si propone come “Io”, ed esposto non si socializza genericamente, non si fa altro da se piuttosto offre “sé” e maggiormente è se stesso massimamente versa agli altri, chi non ha un “sé” non ha da offrire. Di questo libro, Filosofia del collezionare, con il Museo che lo determina, Stanze di Thule, Casa dell’Ammiraglio a Palermo, ho accennato reperti, vi campeggia, dicevo, il Liberty, l’atmosfera è tra Neoclassicismo e Liberty, di una nitidezza ravvivante. A Romano è congeniale l’incontro della borghesia con l’aristocrazia, la borghesia che si dedica non soltanto al profitto ma al bello, alla signorilità, all’estetico, del resto, a quanto Romano dice di sé, nel fluente, variato dialogo con Carlo Guidotti, a sua volta vivace, pressante interlocutore, Romano, appunto, ha nella Sua famiglia radicamenti borghesi ed artistici, e se ne compendiano i risultati. Da annotare, nel libro, l’analitica, minuziosa, competente Prefazione di Ettore Sessa, e similmente Salvo Ferlito, con scrupolosa cognizione, un vero studio, niente trascurato da Guidotti, Sessa, Ferlito. Di mio, nel testo che si aggiunge, rilevo che il collezionare è possesso di amore, possesso per amore. Ed in effetti vorrei strappare a Tommaso Romano il ritratto di Giuseppe Patania, la raffigurazione in stile liberty che Luigi Polverini offre di una giovane donna, un nudo maschile di Michele Cortegiani, un maestoso disegno di Salvatore Fiume, un volto femminile quasi evanescente di Ernesto Treccani, la terracotta statuaria di Giuditta (ed Oloferne), il ritratto spadaccino di Natale Carta, il ritratto di signora impellicciata come una schiuma, di Gdoy, le rocce ossificate di Michele Dixit... Se poi Romano fa asta del quadro di Ehrenfried Graf, una fanciullona seminuda, capelli in volo, membra risonanti, la donna insomma... Come si nota, nomi sovente sconosciuti. Dimostrazione che Tommaso Romano sceglie, non riceve mode e mercato, Ancora un segno di individualità. Una nota non felice, auguro ogni fortuna a Stanze di Thule, la vedrò, ma fosse a Roma sarebbe un luogo da sostare, abbiamo necessità di atmosfere, suggestioni, ci stiamo inoltrando nel vuoto, i sensi periscono, come muscoli non esercitati, non si tratta di vivere nel passato ma di vivere. Ho rilevato solo dei nomi, ma è l’insieme nella specificità singole e l’aura di classe, distinzione, signorilità che penetra. Siamo a rischio di eclissi della nostra interiorità, l’arte resta una via di salute. Stanze di Thule, lo scrigno di Tommaso Romano, è aperto per ridare vita alla vita. Ma sulla relazione del collezionista con il destino della collezione, al dunque la filosofia, il senso che il collezionista dà a quanto colleziona, cito esplicitamente Tommaso Romano. Carlo Guidotti gli chiede come e perché ha ceduto alla Fondazione Ugo Spirito documenti di pregio, l’occasione di conoscere la ventura delle Stanze di Thule. Che avverrà? Tommaso Romano risponde con frasi che vanno al di sopra delle “Stanze di Thule”, divengono pensieri sulla morte, sulla possibilità di una sopravvivenza personale, Romano è un credente assoluto, ma anche incertezza umana. Al dunque, migliaia di libri, vaste raccolte di opere, la vita stessa, che ne sarà? Annoto, tra le possibilità questa evenienza, l’evenienza proviene da Edmond de Concourt, del quale Romano riferisce tale convinzione: «È mio desiderio che queste opere d’arte che sono state la gioia della mia vita non siano consegnate alla fredda tomba di un museo oggetto degli stupidi sguardi, di visitatori indifferenti, desidero che siano disperse all’asta ,cosicché il piacere che mi ha dato l’acquisto di ciascuna di esse si rinnovi ogni volta per qualcuno che abbia ereditato i miei stessi gusti.» Questa è civiltà. Tommaso Romano, erede di Edmond de Goncourt.

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