“Sindacalismo rivoluzionario, nazionalismo, fascismo” di Ferdinando Bergamaschi

Se Renzo De Felice è stato lo storico del fascismo che si è avvalso per i suoi studi di un approccio prettamente storicistico (e da questo punto di vista rimane insuperato), l’israeliano di estrema sinistra Zeev Sternhell è colui che ha affrontato la storicizzazione del fascismo con un approccio da filosofo della politica. Egli in particolare affronta il tema del fascismo e delle sue origini nei suoi tre capolavori: La Destra rivoluzionaria, Né destra né sinistra e infine Nascita dell’ideologia fascista. In quest’ultimo volume in particolare Sternhell non si limita ad analizzare quale sia stato il terreno d’incubazione del fascismo (che per lo storico israeliano è, culturalmente e geograficamente, da collocare nella Francia di metà e fine Ottocento) ma passa al livello successivo che è quello di considerarne le caratteristiche proprio mentre la creatura di Mussolini inizia a prendere forma. Tema centrale di questa analisi è quindi il rapporto tra sindacalismo rivoluzionario e nazionalismo. Lo storico israeliano coglie perfettamente e meglio di tutti che è da questo rapporto che è stato partorito il fascismo di Mussolini. Da un punto di vista filosofico, ci spiega Sternhell, è Sorel che indica la via che poi politicamente imboccherà Mussolini.

Un intero capitolo del libro di Sternhell, peraltro, è dedicato alla revisione antimaterialista del marxismo da parte di Sorel: pur essendo stato un ardente marxista Sorel, ai primi del secolo, teorizza una sorta di mitizzazione ascetica della lotta di classe e dello sciopero generale ed elabora “un’idea sicuramente geniale: la teoria del mito eroico e della violenza creatrice di morale e di virtù.” (Zeev Sternhell, Nascita dell’ideologia fascista, p.55, Baldini Catoldi Dalai editore, Milano, 2008). Per questa via “da macchina intellettuale pesante, sclerotizzata e impotente, il marxismo ridiventa, corretto, completato e perfezionato da Sorel, una temibile forza di mobilitazione” (Zeev Sternhell, op. cit., p.92). Per Sorel “l’individuo formato nei sindacati è il produttore e il guerriero, nutrito di valori eroici, come lo erano i primi cristiani, i legionari romani, i soldati delle guerre rivoluzionarie o i discepoli di Mazzini.” (Zeev Sternhell, op. cit., p.88). In quanto “figli” di Sorel e delle connesse pulsioni nazionalistiche, i fascisti italiani, qualche anno dopo, creeranno “un tipo di rivoluzione completamente nuovo: una rivoluzione antiliberale e antimarxista, una rivoluzione che recluta le sue truppe non in una soltanto ma in tutte le classi sociali, una rivoluzione morale, intellettuale e politica, una rivoluzione nazionale. Nella Francia del 1914-18, la convergenza dei ribelli del sindacalismo rivoluzionario e del nazionalismo non va oltre lo stadio intellettuale. In Italia, invece, nell’atmosfera di smarrimento che prevale all’indomani dell’armistizio, la nuova sintesi finisce per dar vita a quella che sarà la più grande forza rivoluzionaria del momento”. (Zeev Sternhell, op.cit, pp. 179-180).

Dunque, così come in ambito filosofico Georges Sorel incontra, in virtù di una sorta di illuminazione intuitiva, il nazionalismo francese di Maurras e con esso si compenetra, allo stesso modo e per mezzo della stessa illuminazione intuitiva quasi tutti i sindacalisti rivoluzionari italiani, in ambito politico, incontrano e abbracciano, se non il nazionalismo in senso stretto, il mito patriottico. Come per Sorel è il mito che fa la storia e che dà un senso all’ideale socialista, così per i sindacalisti rivoluzionari italiani (che, a differenza della maggioranza dei socialisti ufficiali, saranno volontari della Grande Guerra) è il mito patriottico che renderà giustizia dell’ideale socialista. Nascono così i fascisti.

Naturalmente su questa strada il sindacalismo rivoluzionario si trasformerà in sindacalismo nazionale e abbandonerà i miti soreliani della lotta di classe e dello sciopero generale per abbracciare il corporativismo fascista e lo Stato sociale mussoliniano. Ma di Sorel nel fascismo di Mussolini rimarrà molto forte non solo la mitizzazione del lavoratore e del lavoro, oltrechè della storia, ma anche il potente e violento attacco ideologico a quel capitalismo che i fascisti chiamavano plutocrazia (cioè quel processo che fa sì che il denaro produca altro denaro – cioè l’usura -  da parte  di pochissimi uomini rappresentanti della speculazione finanziaria e delle grandi banche d’affari che mirano al monopolio e all’oligopolio e a sradicare le coscienze nazionali). Questo attacco  a questo capitalismo però fu mosso dal fascismo appoggiandosi, come si diceva prima, su elementi non marxisti ma nemmeno soreliani:   si appoggiò sul corporativismo fascista e sullo Stato sociale mussoliniano i quali, a ben vedere, hanno molta più affinità con una socialdemocrazia che non con un socialismo di stampo non solo marxista ma anche soreliano. Una socialdemocrazia diretta e autoritaria, naturalmente. Inoltre in questa “socialdemocrazia fascista” erano affermati: 1) l’intangibilità della proprietà privata (che in realtà sosteneva anche Sorel); 2) l’incentivazione dell’onesto profitto individuale; 3) la collaborazione tra le classi;  4) il libero mercato, benchè bilanciato dall’intervento dello Stato quando Mussolini lo riteneva necessario. E’ curioso notare che questi punti erano inconciliabili con il socialismo ufficiale e con il comunismo ufficiale dell’epoca, ma, con molti decenni di ritardo sul fascismo, il socialismo ufficiale e il comunismo ufficiale arriveranno sulle stesse posizioni “socialdemocratiche” del fascismo. E’ questo un simpatico epilogo. 

 

 

Pin It

Potrebbero interessarti

Articoli più letti

Questo sito utilizza Cookies necesari per il corretto funzionamento. Continuando la navigazione viene consentito il loro utilizzo.