Per la Giornata Nazionale dedicata a Dante Alighieri: “Lucevan gli occhi suoi più che la stella”, Inf. II, 55 – Lettura ed analisi di Giovanni Teresi

Nella Commedia il tema della luce è particolarmente presente nel Paradiso, che per questo è stato definito “la cantica della luce”. Nondimeno, il tema è presente in tutto il poema, fin dai primissimi canti.
Dante all’inizio del suo viaggio è in una selva oscura, gravato dal peccato, e ha smarrito la strada del bene; ma già nel secondo canto si annuncia un segno che induce alla speranza. Egli sente tutta la responsabilità di questo percorso, confessa la propria codardia chiedendo a se stesso e alla sua guida il senso di questo cammino: Virgilio risponde prontamente ai quesiti di Dante, affermando con decisione che la strada che percorreranno è stata voluta da Dio e realizzata con il concorso di Maria Santissima, Santa Lucia e Beatrice. Dante introduce per la prima volta Beatrice nel suo poema con questo verso: Lucevan gli occhi suoi più che la stella. Gli occhi sono la porta dell’anima e Beatrice ha gli occhi pieni di luce, quella luce di cui il Poeta ha bisogno per riprendere la diritta via. Dante non è solo nel suo cammino di conversione: lo accompagnerà fino all’ultimo lo sguardo di Beatrice, mandata dal Cielo a soccorrerlo e a guarirlo.
Questa luce che promana da Beatrice è resa in modo mirabile nell’incisione di Dorè: la figura è circonfusa di luce, l’aspetto è giovanile e modesto (nell’immagine).
Dante sta per entrare nell’Inferno vero e proprio, ne l’etterno dolore, ma il motivo del viaggio è la sua salvezza, la salvezza di ogni uomo. Per entrare nella Luce egli ha bisogno di guide e figure di riferimento, piccole, fondamentali luci che lo accompagnano all’incontro con Dio.
 
Il racconto di Virgilio: l'incontro con Beatrice, Canto II, Inferno (43-74)

«S’i’ ho ben la parola tua intesa», 
rispuose del magnanimo quell’ombra; 
«l’anima tua è da viltade offesa;                                     45

la qual molte fiate l’omo ingombra 
sì che d’onrata impresa lo rivolve, 
come falso veder bestia quand’ombra.                        48

Da questa tema acciò che tu ti solve, 
dirotti perch’io venni e quel ch’io ’ntesi 
nel primo punto che di te mi dolve.                                51

Io era tra color che son sospesi, 
e donna mi chiamò beata e bella, 
tal che di comandare io la richiesi.                                54

Lucevan li occhi suoi più che la stella
e cominciommi a dir soave e piana, 
con angelica voce, in sua favella:                                   57

"O anima cortese mantoana, 
di cui la fama ancor nel mondo dura, 
e durerà quanto ’l mondo lontana,                                 60

l’amico mio, e non de la ventura, 
ne la diserta piaggia è impedito 
sì nel cammin, che volt’è per paura;                              63

e temo che non sia già sì smarrito, 
ch’io mi sia tardi al soccorso levata, 
per quel ch’i’ ho di lui nel cielo udito.                             66

Or movi, e con la tua parola ornata 
e con ciò c’ha mestieri al suo campare 
l’aiuta, sì ch’i’ ne sia consolata.                                      69

I’ son Beatrice che ti faccio andare; 
vegno del loco ove tornar disio; 
amor mi mosse, che mi fa parlare.                                72

Quando sarò dinanzi al segnor mio, 
di te mi loderò sovente a lui". 
 
Note: Al v. 44 ombra, sostantivo, è in rima equivoca con ombra, verbo (v. 48).
Alcuni commentatori pensano che al v. 55 Virgilio voglia dire che gli occhi di Beatrice splendono più della «stella diana», cioè di Venere, ma forse è un riferimento generico. Per l'espressione, cfr. Cavalcanti, XLVI, vv. 1-2: In un boschetto trova' pasturella / più che la stella - bella, al mi' parere.
Nel v. 60 lontana è certamente aggettivo, non voce del verbo lontanare (alcuni mss. leggono moto al posto di mondo). Beatrice vuol dire che la fama di Virgilio è destinata a durare quanto durerà il mondo.
Il v. 61 (l'amico mio, e non de la ventura) vuole dire colui che mi amò in modo disinteressato, non quindi per motivi materiali legati alla ventura (fortuna).
 
Virgilio risponde accusando Dante di viltà, rinfacciandogli di aver paura proprio come una bestia che si spaventa vedendo la propria ombra. Per convincerlo della necessità di compiere il viaggio, gli spiega chi lo ha inviato in suo soccorso: egli si trovava nel Limbo, tra le anime sospese, quando comparve a lui l’anima di una donna bellissima, dagli occhi lucenti come una stella e che parlava con voce soave, al punto che lui le chiese di comandargli cosa volesse. La donna si era rivolta a lui come al più grande poeta mai vissuto e gli aveva chiesto di soccorrere Dante, l’uomo che lei aveva amato in modo disinteressato: Dante era alle prese con le tre fiere e stava per tornare indietro dalla paura, quindi l’aiuto di Virgilio era quanto mai necessario. La donna si era presentata come Beatrice e aveva detto di provenire dal Paradiso.
 
Il racconto di Beatrice: le tre donne benedette, Canto II, Inferno  (75-120)
Tacette allora, e poi comincia’ io:                                   75

"O donna di virtù, sola per cui 
l’umana spezie eccede ogne contento 
di quel ciel c’ha minor li cerchi sui,                                78

tanto m’aggrada il tuo comandamento, 
che l’ubidir, se già fosse, m’è tardi;               
più non t’è uo' ch'aprirmi il tuo talento.                           81

Ma dimmi la cagion che non ti guardi 
de lo scender qua giuso in questo centro 
de l’ampio loco ove tornar tu ardi".                                 84

"Da che tu vuo’ saver cotanto a dentro, 
dirotti brievemente", mi rispuose, 
"perch’io non temo di venir qua entro.                           87

Temer si dee di sole quelle cose 
c’hanno potenza di fare altrui male; 
de l’altre no, ché non son paurose.                               90

I’ son fatta da Dio, sua mercé, tale, 
che la vostra miseria non mi tange, 
né fiamma d’esto incendio non m’assale.                  93

Donna è gentil nel ciel che si compiange 
di questo ’mpedimento ov’io ti mando, 
sì che duro giudicio là sù frange.                                   96

Questa chiese Lucia in suo dimando 
e disse: - Or ha bisogno il tuo fedele 
di te, e io a te lo raccomando -.                                       99

Lucia, nimica di ciascun crudele, 
si mosse, e venne al loco dov’i’ era, 
che mi sedea con l’antica Rachele.                             102

Disse: - Beatrice, loda di Dio vera, 
ché‚ non soccorri quei che t’amò tanto, 
ch’uscì per te de la volgare schiera?                            105

non odi tu la pieta del suo pianto? 
non vedi tu la morte che ’l combatte 
su la fiumana ove ’l mar non ha vanto? -                     108

Al mondo non fur mai persone ratte 
a far lor pro o a fuggir lor danno, 
com’io, dopo cotai parole fatte,                                      111

venni qua giù del mio beato scanno, 
fidandomi del tuo parlare onesto, 
ch’onora te e quei ch’udito l’hanno".                             114

Poscia che m’ebbe ragionato questo, 
li occhi lucenti lagrimando volse; 
per che mi fece del venir più presto;                             117

e venni a te così com’ella volse; 
d’inanzi a quella fiera ti levai 
che del bel monte il corto andar ti tolse.                      120
 
Note: Il ciel c'ha minor li cerchi sui (v. 78) è quello della Luna, il più basso e vicino alla Terra, al di sotto del quale vi è il mondo materiale: Virgilio intende dire che Beatrice, allegoria della grazia, è la sola in grado di elevare l'uomo al di sopra di esso.
Alcuni mss. leggono il v. 81 più non t'è uopo aprirmi il tuo talento («non hai più bisogno di dirmi quello che vuoi», in quanto Beatrice ha effettivamente espresso la sua richiesta a Virgilio), ma è lezione facile e perciò trascurata.
I vv. 88-90 si rifanno a un principio aristotelico, noto a Dante attraverso la filosofia di san Tommaso d'Aquino, e il riferimento è anche alle paure espresse da Dante all'inizio e altrettanto inconsistenti.
Il v. 96 si riferisce a Maria e indica la sua propensione a intercedere presso Dio in favore dei fedeli.
Beatrice riprenderà il suo seggio nella rosa dei beati accanto a Rachele (v. 102) in Par.,XXXI , 52 ss.; cfr. anche XXXII, 7-9.
Il v. 108 (su la fiumana ove 'l mar non ha vanto) ha dato filo da torcere agli interpreti: lett. vuole dire sul fiume, nel punto in cui il mare non ha potere, quindi sulla foce. Allegoricamente si può interpretare come il fiume del peccato, che trascina nella sua corrente che è più rapinosa nei pressi della foce, quindi santa Lucia vuol dire che Dante è nel gorgo tempestoso del peccato e rischia la dannazione. Certamente il fiume non è l'Arno, né l'Acheronte.
Al v. 116 volse (da «volgere») è in rima equivoca con volse al v. 118 (da «volere»).
La fiera  citata da Virgilio al v. 119 è la lupa  (Canto I, 49 ss.).
 
 
Virgilio racconta che aveva chiesto a Beatrice perché lei non temesse di scendere nell’Inferno, in mezzo alle anime dannate. La donna aveva risposto che, essendo beata, non doveva temere la miseria dei dannati perché non in grado di nuocerle. In Cielo la Vergine  si era commossa all’idea che Dante corresse pericoli nella selva, quindi aveva incaricato santa Lucia di intervenire in suo favore. Lucia si era rivolta a Beatrice, che sedeva accanto allo scanno di Rachele, e le aveva spiegato che Dante, l’uomo da lei amato, lottava con la morte trascinato in basso dal peccato. Beatrice era stata allora rapida nel lasciare il Paradiso e nel venire a chiedere aiuto a Virgilio: aveva terminato il suo racconto piangendo, cosa che aveva spinto il poeta latino a correre nella selva per portare il suo soccorso a Dante.
 
Interpretazione:
Virgilio accusa  Dante subito di viltà e lo paragona a una bestia che si adombra per dei pericoli inconsistenti, in quanto il suo viaggio è voluto da Dio e quindi il poeta non ha nulla da temere: per convincerlo di questo il poeta latino inizia un lungo flashback, in cui rievoca il suo incontro nel Limbo con Beatrice che è chiaramente da interpretare come allegoria della grazia e della teologia rivelata, senza il cui ausilio è impossibile per l'uomo raggiungere la salvezza eterna (infatti Virgilio, allegoria della ragione naturale dei filosofi antichi, condurrà Dante solo fino alla vetta del Paradiso Terrestre, per scomparire al momento dell'arrivo di Beatrice, come già anticipato nel Canto I). La donna è descritta coi tipici attributi della donna-angelo dello Stilnovo e Virgilio riferisce il discorso con cui lei gli chiede di soccorrere Dante, una sorta di suasoria classica con tanto di captatio benevolentiae: ella lo elogia per i suoi meriti di poeta e la fama destinata a durare fino alla fine dei tempi, quindi gli descrive i pericoli corsi da Dante nella selva dove è impedito nel suo cammino dalle tre fiere, che come sappiamo simboleggiano le tre disposizioni peccaminose che ostacolano l'uomo nel suo percorso di redenzione. Si presenta come Beatrice, venuta espressamente dal Cielo per invocare l'aiuto in favore del suo amico Dante, e sollecita l'intervento di Virgilio con la sua parola ornata, con l'aiuto quindi della sua poesia e delle sue capacità retoriche, promettendo infine di lodare il poeta antico presso Dio quando sarà tornata al Suo cospetto. L'episodio ha un importante significato allegorico, in quanto chiarisce che il viaggio di Dante ha, sì, come guida la ragione naturale, ma essa è subordinata alla grazia santificante che è raffigurata da Beatrice e senza la quale ogni percorso di purificazione morale è destinato a fallire; non a caso Virgilio saluta Beatrice come la donna grazie alla quale solamente la specie umana può sollevarsi al di sopra del mondo terreno e sublunare, quindi come la virtù  in grado si condurre l'uomo alla salvezza eterna (in quanto teologia rivelata, infatti, Beatrice condurrà Dante al possesso delle tre virtù teologali, ignote a Virgilio in quanto pagano e relegato nel Limbo).
La stessa Beatrice opera un flashback narrando il fatto che santa Lucia, a sua volta inviata dalla Vergine Maria, l'aveva sollecitata a salvare Dante (alcuni commentatori hanno visto un senso allegorico anche in queste due figure, che indicherebbero rispettivamente la grazia illuminante e la grazia preveniente): Lucia era comunque una santa cui Dante doveva essere devoto in quanto protettrice della vista, poiché il poeta aveva sofferto di una grave malattia agli occhi come lui stesso racconta nel Convivio (III, 9, 15-16). In ogni caso nel racconto di Beatrice appare chiaro che il viaggio di Dante è voluto da Dio e la «trafila» delle tre donne benedette rimarca il fatto che il suo percorso è tutt'altro che folle, dal momento che il suo destino è oggetto della più ansiosa sollecitudine da parte nientemeno che della Vergine, nei confronti della quale Dante manifesta un particolare culto (cfr. Par., XXIII, 88-90 e XXXIII, 1-39).
 
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