Marco Invernizzi, Oscar Sanguinetti, “Conservatori. Storia e attualità di un pensiero politico” (Ed. Ares) – di Antonino Sala

Il 13 novembre 2023 presso la sala convegni del Hotel Joli di Palermo sarà presentato l’ultimo libro di Marco Invernizzi e Oscar Sanguinetti “Conservatori. Storia e attualità di un pensiero politico”. L’incontro è organizzato da Alleanza Cattolica, dalla Fondazione Thule Cultura, dalla Fondazione Giuseppe e Marzio Tricoli e dall’Accademia di Sicilia e vedrà i relatori confrontarsi sul tema del conservatorismo.

Argomento che è al centro del dibattito politico culturale, soprattutto per l’adesione del partito della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni al European Conservatives and Reformists Group. Questa svolta in qualche maniera si rendeva obbligatoria per permettergli di presentarsi nelle cancellerie europee con l’immagine ripulita da quelle scorie nostalgiche che inevitabilmente nel suo ambiente di provenienza c'erano e continuano ad esserci, ma che lei stessa tenta di mettere definitivamente tra parentesi, assumendo un atteggiamento meno estremo, decisamente filo europeo ed atlantista.

In questo clima si innesta l’operazione culturale messa in campo da Invernizzi e Sanguinetti, che con il loro libro tentano di dare struttura e orientamento alla nuova destra meloniana.

I due autori hanno il merito di avere raggruppato le fonti essenziali del pensiero conservatore, i suoi maggiori esponenti e le politiche che esso ha comportato.

Ovviamente lo fanno a modo loro, con un taglio prettamente “controrivoluzionario”, di ispirazione cattolica.

Per i due il punto focale è la rottura tra l’antico regime e i nuovi ceti emergenti che fu la rivoluzione francese del 1789, che fu anche, ma non solo, una terribile vendetta cruenta verso la Monarchia assoluta istituita da Luigi XIV di Borbone, l’aristocrazia imparruccata trastullo dei sovrani, un clero cattolico più attento alle questioni di potere che di spirito e l’intraprendente borghesia che non sopportava più abusi e inettitudini del vecchio sistema istituzionale. Prima di quella francese vanno comunque ricordate quella inglese che tutto sommato non fu cruenta e quella americana che lo fu solo verso i nemici esterni.

Cause complesse fecero sì però che la rivoluzione in America avesse prodotto la libertà e in Francia il terrore, come sostenne anni dopo i fatti Alexis de Tocqueville, che analizzando le istituzioni di oltreoceano riteneva che la possibilità di scelta fosse alla base della pacifica vita sociale nel nuovo mondo a differenza di quello che accadde in Francia.

Tocqueville nel suo celebre trattato La democrazia in America mise in luce che la rivoluzione del 1789 era divisa in due tronconi: da un lato coloro che volevano sostanzialmente un sistema più libero e aperto e dall’altro i feroci giacobini, che ossessionati dal ritorno dell”ancien régime" credettero giusto radere al suolo istituzioni centenarie in maniera violenta compiendo ogni tipo di nefandezza in nome di un “bene superiore”, l’uguaglianza, avendo a modello quello chiuso ed oppressivo di Sparta. Riuscirono questi ultimi a prevalere facendo appello ai più biechi istinti umani quali l’odio, il rancore e l’invidia sociale, il tutto in mezzo a tanto sangue.

Risultò così naturale che nascesse una reazione antirivoluzionaria intesa a riportare in vita l’antico sistema politico istituzionale, inconsapevole però del fatto che gli avvenimenti avevano sconvolto il vecchio mondo a tal punto che una restaurazione piena, oltre che velleitaria si rilevò per molti aspetti persino perniciosa.

Detto questo il conservatore, di cui scrivono Invernizzi e Sanguinetti, è l’uomo che risponde con coraggio, facendo appello a valori immutabili, a chi ha distrutto le precedenti forme istituzionali, è colui che secondo François-René de Chateaubriand, il coniatore del termine, sostiene la religione, la monarchia e la “gente rispettabile”. Ma andando alle cose di casa nostra la domanda, che in qualche misura trova una risposta nel libro, è: in Italia è mai esistito un movimento conservatore?

Antonio Polito sul Corriere della Sera, sostiene una tesi imprecisa su questo tema: cioè che il nostro paese non ha mai avuto un partito conservatore. Bene, ma allora il Partito nazionale monarchico, che aveva senatori e deputati al Parlamento cosa era? E il Fronte dell'Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini? E per certi versi la destra nazionale del Movimento Sociale Italiano e poi Alleanza Nazionale? Non erano forse i “conservatori” del loro tempo? Certo che si.

Ma anche tutto quello che rappresentò nell’Italia appena unificata la Destra Storica è in linea con le idee del proto conservatore Edmund Burke (citato nel volume come uno dei padri di questa visione del mondo), che da whigs (liberale) condannava la rivoluzione francese, esaltava la tradizione in Riflessioni sulla Rivoluzione francese scrivendo che “i popoli che non guardano mai indietro agli antenati non guarderanno nemmeno ai posteri” e contemporaneamente sosteneva le ragioni delle colonie inglesi contro Re Giorgio III, per il principio della rappresentatività degli interessi, proprio come i padri americani reclamavano al grido di “no taxation without representation”.

Nel testo vengono brevemente citati come esempi più nel tempo di conservatori Winston Churchill, che peraltro ebbe a dire con il suo consueto sarcasmo che “il partito conservatore non è un partito ma una cospirazione” e che “il difetto dei conservatori sta nello struggersi per la mediocrità (Il sorriso del bulldog. Maliziose arguzie di Winston Churchill a cura di Dominique Enright, Liberiliberi), Margareth Thatcher, Barry Goldwater e Ronald Reagan.

E’ utile al dibattito ricordare quello che John Ranelagh ci racconta: Margaret Thatcher ad un incontro politico del partito conservatore alla fine degli anni '70 mentre parlava un suo collega “frugò nella sua valigetta e tirò fuori un libro. Era The Constitution of Liberty (La società libera) di Friedrich von Hayek. Interrompendo [l'oratore], sollevò il libro affinché tutti noi potessimo vederlo e disse severamente "questo è ciò in cui crediamo”, e sbatté Hayek sul tavolo." (John Ranelagh, Thatcher's People: An Insider's Account of the Politics, the Power, and the Personalities. HarperCollins)

La stessa Thatcher in The Path to Power, scrisse del pensiero del più grande filosofo liberale del suo secolo che “la critica più potente alla pianificazione socialista e allo stato socialista…..è The Road to Serfdom di F.A. Hayek.”

Questo solo per dire come lo stesso Invernizzi aveva già rilevato nel 2011 e in parte ribadisce nel volume, che di liberalismi almeno ce ne sono due uno continentale e uno anglosassone, in verità sono molti di più, così anche di conservatorismi ce ne sono almeno tre: quello di cui scrivono i nostri due autori di stampo controrivoluzionario e cattolico; quello anglosassone legato al pensiero di Edmund Burke arricchitosi poi anche delle tesi della scuola austriaca di economia di Mises e Hayek; e quello italiano, laico, patriottico, unitario, interpretato da Cavour, anticipato da quel Ruggiero Settimo che voleva restaurare l’antico Regno di Sicilia offrendo la corona a un principe di casa Savoia e da altri pensatori operanti nei regni e negli stati preunitari. Certamente un sentimento che è ancora vivo nella coscienza nazionale, che si desta ogni 4 di novembre e da cui peraltro la stessa Meloni a suo tempo ha tratto il nome del suo partito, Fratelli d’Italia.

Ma tanti altri esempi potrebbero essere richiamati alla mente, come le Centrodestre, di Tommaso Romano, anche lui relatore al convegno di Palermo, un libro essenziale per comprendere come sarebbe mistificante racchiudere in un’unica definizione, la destra,  quello che il pensiero e le azioni umane nel tempo hanno prodotto in fatto di movimenti ideali di questo tipo. Questo anche a sinistra, pensiamo a quanto sia diverso “il socialismo con caratteristiche cinesi” di Deng Xiaoping oggi di Xi Jinping da quello nord coreano o da quello cubano.

Il vero nemico di ogni tradizione è l’omologazione, la riduzione della complessità ad un solo aspetto: quello che si condivide di più.

Per questo il merito del libro è quello di offrire una panoramica ampia di autori, spunti e orientamenti utili a misurarsi sul tema del “conservatorismo", su cui ancora si discute e si dibatte a prescindere dai governi del momento, nella consapevolezza che poi alla lunga ognuno aderisce alla visione che rispecchia la propria più intima essenza.

“La maggior parte di chi non segue la propria natura e affronta ciò che non gli appartiene, non solo ignora chi è veramente, ma anche chi vorrebbe essere." Edmund Burke, Riflessioni sulla Rivoluzione francese, Giubilei Regnani.

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